10.10.2005
di Stefano Olivieri / inMovimento.it
“Fermi nell’etica, lungimiranti nella politica, coraggiosi nell’economia, fedeli alla nostra Costituzione” Efficaci come uno slogan e pesanti come un programma politico sono le parole con cui Romano Prodi conclude il suo appassionato discorso a piazza del popolo, in una mattina calda di sole e piena di bandiere. Parole che purtroppo ascolto soltanto attraverso la radio dell’auto, avendo lasciato la piazza da pochi minuti per far fronte ad una improvvisa quanto inopportuna emergenza familiare (la serratura rotta del cancelletto di ingresso ha bloccato in casa il resto della famiglia, cani compresi). Ma è stato comunque bellissimo ritornare in piazza anche se per poco tempo, sentire di nuovo il profumo della democrazia. Sono partito da casa alle 9,30 stamane. Per strada traffico scorrevole, nessuno ha fretta me compreso. Il cielo è terso e un sole così caldo da riportare indietro il calendario. Eravamo in tanti nei giorni scorsi a temere che la pioggia, ininterrotta a Roma da tre o quattro giorni, potesse scoraggiare le migliaia di cittadini provenienti da tutta Italia. Invece no, già a piazza Mancini - dove ho parcheggiato l’auto e ho preso il tram per piazza del Popolo, si vedeva gente con le bandiere in mano, in particolare un plotone di verdi appena usciti dalla sede che si trova sul lungotevere, a pochi passi dalla piazza. Salgo sul tram e riesco persino a trovare posto a sedere, una meraviglia. Fa già caldo e sarei tentato di togliermi il soprabito, ma la manovra è resa complicata dalle tasche appesantite dalla videocamera e dal miniregistratore, così desisto dal tentativo e mi concentro sul conducente: una ragazza giovane e bionda, con un fisico da pin up e due meravigliosi occhi verdi. I nostri sguardi si incrociano per un attimo nel suo specchietto retrovisore ma lei non sorride né sembra imbarazzata, deve essere abituata alla attenzione della gente. Sorrido pensando a come altre coetanee molto meno in forma di lei si affannino a rifarsi il seno, fare books fotografici e frequentare casting per tentare entrare nell’esercito delle veline televisive, mentre lei che ne avrebbe tutti i numeri è lì a guidare il tram. La corsa dura una decina di minuti e siamo già arrivati. Scendo e attraverso piazzale flaminio per raggiungere gli archi di accesso alla piazza. E’ già una festa di colori, palloncini e striscioni dovunque, sul lato sinistro della piazza il grande palco a cui già è impossibile avvicinarsi, tanta è la folla. Scatto qualche foto e faccio un paio di telefonate per tentare di rintracciare qualche amico. La gente attorno è serena, sorridente, contenta di essere lì. Tanti bambini in carrozzina, tanti cani al guinzaglio con la bandana arcobaleno che si guardano attorno un po’ spaesati. Il gazebo di Scalfarotto pieno di gente, che mi ricorda come le primarie della prossima settimana non saranno una passeggiata per Prodi. Intravedo nella folla Ruotolo e Santoro e mi fermo a salutarli, stringo la mano a Giulietto Chiesa e faccio per chiedergli qualcosa, ma il suo telefonino squilla e lui si allontana per parlare, peccato, un’occasione persa. Mi guardo attorno, comincia a fare davvero caldo e tanta gente continua ad entrare in piazza. E’ una fiumana lenta e festosa, che soprattutto da via di Ripetta e via del Corso alimenta di continuo la folla che continua a schiacciarsi in direzione del palco. A un certo punto un megafono e qualche fischio, sono i disobbedienti che sfilano al centro della piazza con i passamontagna arcobaleno dei senzavolto. Mi infilo nel corteo improvvisato per tentare di raggiungere una postazione migliore, ma inutilmente : piazza del popolo è già stracolma. Dagli altoparlanti del palco arriva finalmente una voce femminile, si percepisce appena la parola “centomila” accolta da un boato della folla e dallo sventolìo delle bandiere. E’ il popolo della sinistra “troglodita” come la definirà astiosamente Cicchetto. Intravedo del movimento alla base del palco, bene, fra poco si comincia. Mi avventuro sulla scalinata della chiesa che si trova accanto agli archi di accesso, chiedo permesso e faccio attenzione a non calpestare nessuno. Finalmente riesco ad appoggiare la schiena alla parete della chiesa, da lì la visuale non è proprio il massimo ma almeno vedo bene il maxischermo tv e la faccia di Pecoraro Scanio. E a questo punto arriva inaspettata la telefonata. La serratura di casa ha improvvisamente tirato le cuoia, sento al telefono i cani abbaiare imbestialiti perché vogliono uscire dopo tre giorni di pioggia, mia moglie disperata che mi chiede che cosa fare. Penso in fretta ad una soluzione ma non la trovo, e così mi bevo con gli occhi per l’ultima volta la folla e la festa, spengo la videocamera e mi appresto a tornare. Sono già in auto sulla Flaminia quando mi arriva la telefonata di Aldo, il figlio dell’amico Giovanni Pecora. Mi sta cercando in piazza per darmi il “passi” per salire sul palco, gli rispondo scusandomi dell’imprevisto che mi costringe a ritornare a casa e in cuor mio maledico tutte le serrature del mondo. Ci facciamo gli auguri e chiudo il telefonino perché non ho nemmeno l’auricolare. Per stemperare il nervosismo accendo la radio e cerco una stazione collegata con la piazza. Appena in tempo per seguire la fine del discorso di Romano, interrotto dagli applausi. Mi torna il buonumore e la speranza, coraggio che ormai manca poco, fra qualche mese saremo di nuovo tutti a casa.
Fonte: http://www.inmovimento.it/05_ottobre/9_olivieri.php
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