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L'Europa che lascio e quella che sogno
21.10.2005
L'Europa che lascio e quella che sogno (Gerhard Schroeder da www.repubblica.it)

CHI CERCHI un luogo adatto per riflettere sul futuro dell'Europa dovrebbe avventurarsi sul Bund, il famoso lungofiume di Shanghai, e da lì lasciar vagare lo sguardo sullo straordinario skyline della città. Shanghai e la sua architettura futuristica incarnano l'enorme dinamismo economico e sociale che si è impadronito della Cina e dell'Asia, e che dovrebbe far meditare noi europei. La potenza economica emergente dell'Asia offre opportunità che dovremmo cogliere. E tuttavia l'equilibrio mondiale delle nostre società rischia di esserne scosso.

Siamo testimoni di sviluppi economici, tecnologici e sociali che ridisegneranno l'ordine mondiale. L'aspra concorrenza per i mercati, per le risorse e per le nuove tecnologie renderà sempre più arduo per i Paesi europei ad alto salario garantire il finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale. Le società europee stanno vivendo un drammatico processo di invecchiamento e calo della popolazione. In meno di un decennio, la Scandinavia avrà meno abitanti di Shanghai.

A questi cambiamenti radicali dobbiamo contrapporre una politica intelligente. In Germania con l'agenda 2010 si è riusciti ad avviare le riforme necessarie ad assicurare la concorrenzialità del nostro Paese, e a creare una base solida al nostro sistema di sicurezza sociale. Eppure, noi tedeschi non dobbiamo cedere all'illusione che tutto sia nelle nostre mani. A fronte delle dimensioni del cambiamento che si profila, noi europei dobbiamo operare insieme affinché l'ordine globale del Ventunesimo secolo si fondi sui principi che fin dall'Umanesimo e dall'Illuminismo si associano al nostro continente: rispetto della dignità del singolo individuo, libertà, stato di diritto, democrazia, giustizia e tolleranza sociale.

L'Unione Europea dopo cinquant'anni di successi, affronta oggi il più arduo banco di prova. Il premier britannico Tony Blair a nome della presidenza britannica dell'Unione ha indetto per la prossima settimana un incontro informale dei capi di Stato e di governo a Londra.

Al centro del dibattito sarà il modello sociale europeo. Le società del continente europeo sono basate sul consenso. Sono accomunate dal desiderio di coniugare le esigenze di efficienza economica e una politica in grado di garantire la coesione sociale. I cittadini sono pronti al cambiamento ma vogliono che esso avvenga con misura e nel rispetto dell'equilibrio sociale. Lo ha evidenziato anche l'esito delle elezioni il 18 settembre in Germania. Solo se la razionalità economica e il senso civico sociale si integrano potremo garantire una pace sociale durevole. Essa è l'irrinunciabile presupposto del successo economico, del pluralismo e della convivenza tollerante in una società aperta.

Noi in Europa ci troviamo di fronte ad un interrogativo fondamentale. Il mercato e le relative istanze di una sempre più estesa liberalizzazione devono diventare il criterio ultimo per l'azione politica? Oppure noi europei restiamo fedeli alla convinzione che la politica persegue l'obiettivo sancito dal punto di vista normativo di impostare la nostra realtà di vita sulla responsabilità sociale?

Su questo punto non possono esistere ambiguità.

La gente è pronta a rischiare l'iniziativa privata ma non vuole la destatalizzazione totale. Non serve rammentare New Orleans per capirlo. La gente in Europa non vuole e non può privatizzare completamente il rischio, ma vuole uno Stato che, in parole povere, non gli stia davanti al naso, ma a fianco. Sono queste le aspettative cui ci orienteremo noi in Europa. Che finora questo obiettivo non sia stato raggiunto lo dimostra l'esito dei referendum sulla costituzione europea in Francia e in Olanda. La Ue è entrata così in una grave crisi. È giunto il tempo di un dibattito di principio sugli obiettivi e i compiti della politica europea e della sua dimensione sociale.

Non si tratta di reinventare l'Unione europea.

Il progetto Europa è nato negli Anni Cinquanta del secolo scorso per superare l'antagonismo delle nazioni nel cuore dell'Europa, in particolare l'inimicizia fra la Francia e la Germania. Inoltre, l'Unione avrebbe dovuto contribuire a creare le condizioni basilari per la ricostruzione economica del continente dopo le devastazioni causate dalla Seconda guerra mondiale. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti. E con l'adesione di dieci nuovi Stati membri nel maggio 2004 abbiamo superato la divisione del continente una volta per tutte.

La decisione di entrare in un negoziato con la Turchia per la sua adesione alla Ue ha dato un'ulteriore dimensione di fondamentale importanza geostrategica alla promessa di pace e stabilità fatta dall'Europa.

Niente ha dato tanto slancio alle forze riformiste in Turchia quanto la prospettiva di una futura appartenenza del paese alla Ue: non soltanto produrrà un cambiamento profondo della Turchia stessa, ma avrà anche ripercussioni sui Paesi confinanti e contribuirà a istituire un nuovo dialogo tra Occidente ed Oriente ispirato ai principi dell'Illuminismo.

Rimane la domanda se la Ue sia istituzionalmente preparata ad una tale adesione della Turchia. E prima ancora: le strutture decisionali comunitarie sono riuscite a metabolizzare l'aumento degli Stati Membri a 25?

Non vedo alcun motivo per prendere le distanze dal trattato costituzionale, che nel frattempo è stato ratificato da una maggioranza di 13 stati. Attraverso un ampio dibattito dobbiamo invece trovare un'intesa sugli obiettivi ed i compiti, le competenze ed i limiti dell'Unione allargata, e accordarci su come i nostri sforzi per le riforme in ambito nazionale - in particolare nell'area dell'Euro - possano essere combinati in modo più efficace.

Chi parla dell'Europa con la gente, sa che sono ben pochi coloro che hanno un atteggiamento fondamentalmente contrario al progetto d'integrazione europea. La stragrande maggioranza, invece, attribuisce responsabilità all'Europa laddove si tratta delle grandi sfide per il futuro. Gli uomini e le donne vogliono che l'Europa rappresenti i propri interessi nella realizzazione del futuro ordine economico mondiale, vogliono che l'Europa parli nel mondo con una sola voce e che, ove necessario, ad esempio nei Balcani, si assuma anche una responsabilità di tipo militare. Non ho trovato nessuno che mettesse in dubbio il ruolo dell'Europa nella lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata o il traffico di esseri umani. E tutti capiscono all'istante che potremo avvicinarci agli obiettivi di una tutela efficace del clima soltanto grazie ad uno sforzo europeo congiunto.

Noi sosteniamo una politica europea che tenti di creare in Europa le condizioni necessarie perché le nostre società - nonostante la sempre maggiore concorrenza globale e l'invecchiamento della popolazione - possano vivere in una situazione di libertà, benessere e giustizia sociale. In virtù del suo peso economico e politico, la Germania ha una responsabilità particolare in ambito europeo, ma non abbiamo mai rivendicato un ruolo da comandante in capo. Puntiamo piuttosto sul fatto di approfondire il progetto di integrazione attraverso una stretta cooperazione con i nostri amici e partner nell'Unione europea.

La collaborazione con la Francia riveste un ruolo-chiave in questo senso.

Abbiamo voglia e bisogno di un'Europa forte, capace di affrontare le sfide e i cambiamenti radicali del nostro tempo. I presupposti sono buoni. Mi auguro che, fra una generazione, quando dei giovani cinesi, indiani o anche americani verranno in Europa, troveranno un continente nel quale libertà, democrazia, forza economica e coesione sociale si fondono in una sintesi valida per il futuro, che possa rappresentare un modello anche per altre regioni della terra.

20 ottobre 2005

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