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Le pietre di Milano (di Giovanna Franco Repellini)
27.10.2005
La metamorfosi ha senso se, al termine, ci sarà possibile camminare, anzi passeggiare per Milano e sentire il piacere di essere a Milano e soltanto a Milano, non in un luogo intercambiabile con altri.
Luca Doninelli


Milano antica o Milano del futuro? Milano con quel che resta dei Navigli, le piccole strade tortuose, i bei cortili di ringhiera, i viali alberati, l’acciottolato e le botteghe o Milano con i grattacieli, strade veloci, sovrappassi e terziario avanzato ovunque?

Questa domanda che si è posta su tutti i giornali a seguito delle accuse/contraccuse tra Celentano e Albertini, (stimati come un antichista contro modernista) non ha in realtà alcun significato, perché oggi non ha senso uno scontro tra antico e moderno, non ci troviamo davanti ad un aut aut come in una fase di precapitalismo.

La città moderna, infatti, è veramente tale, sa guardare il futuro solo se è capace di tenere al proprio interno la propria storia valorizzandone le caratteristiche culturali passate e presenti.

Centri storici, parchi, snodi stradali, centri commerciali e grattacieli convivono perfettamente ma in posti diversi, con funzioni e ruoli urbani diversi. Il traffico convulso invece non convive con niente, non certo con l’antico né tanto meno con il moderno, perché sono la soluzione dei problemi e i livelli di qualità della vita che ci danno gli indici indicatori di progresso, non il numero di veicoli presenti o i metri cubi aggiunti di costruzioni.

Togliere dal centro i poli di attrazione di traffico come nuovi grattacieli, frequentati da migliaia di persone, è un’idea moderna, non una fisima di gente arroccata ad ideali di architettura di tipo nazional populista, fatta di casette con tetti di coppi.

Noi ci battiamo per la diffusione dell’architettura contemporanea, amiamo le grandi possibilità di trasformazione che ci danno le nuove tecnologie, i nuovi materiali, le proposte internazionali, ma questo non significa certo la disponibilità a perdere la bellezza ineguagliabile dei nostri centri storici o metri quadri di giardini nei centri città.

La storia di una città, le sue caratteristiche peculiari si ritrovano nei palazzi, nei parchi e nelle strade, che guarda caso, a Milano sono state particolarmente curate per secoli, pavimentate con acciottolato e carradore e poi con i bei masselli rossi di pietra Cuasso al Monte (località sopra Varese) o grigi, con i toni picchiettati dei graniti. Nel dopoguerra fino a tutti gli anni Ottanta quelle pietre stradali sono parse un retaggio del passato, migliaia di metri quadri di lastre o di acciottolato, furono distrutti per fare posto ad asfaltature più scorrevoli per il traffico incalzante.

Oggi, a ricomprarle, quelle pietre avrebbero un immenso valore, anche perché le cave sono spesso esaurite.

Si pensava però che quel periodo distruttivo fosse ormai superato, che il patrimonio prezioso delle pietre storiche delle pavimentazioni milanesi, fosse riconosciuto come un grande valore architettonico e di cultura materiale. Non è così.

Mentre si discute dei grandi eventi, sotto sotto passano le piccole cose, annunciate con brevi conferenze a stampa: eliminare la pavimentazione a masselli della nostra città è un’operazione uguale a chiudere i Navigli un’altra volta. Ogni volta che si vuol distruggere qualche cosa si invoca la modernità, ma il giochetto ormai suona falso e le invocazioni al progresso sono scientifiche come quelle del mago Otelma.

Sappiamo che ci sono problemi, infatti le pietre sono belle e robuste, uniscono tra di loro gli spazi pubblici dando continuità e coesione ai percorsi e ai luoghi, completano con eleganza e significato i centri storici, ma, si dice, intralciano i veicoli, richiedono una manutenzione più complessa, possono essere molto rumorose se poste in strade di grosso traffico e fastidiose in attraversamenti pedonali per i disabili.

La soluzione migliore, l’unica possibile, consiste in un progetto che analizzi e conti i metri quadri di pietra storica esistente (non confondiamo la pietra storica con i cubetti di porfido che non sono storici per niente) e stenda un programma preciso che stabilisca dove debba essere lasciata, risistemata, tolta e ricollocata negli ambienti più caratteristici e compatibili dentro e fuori il centro storico.

Piazza Sant’Alessando ripavimentata con vecchi masselli è un buon esempio. Il bello è che questo Piano di conservazione e riuso esiste dal 2001 e si tratta solo di utilizzarlo; tra l’altro prevedeva di utilizzare la pietra storica in via Garibaldi: un sogno miseramente svanito.

Giovanna Franco Repellini
www.giovannafrancorepellini.it

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