Contratto entro l’anno. Questo è l’obiettivo dei sindacati dei metalmeccanici. Anche se per raggiungerlo sarà necessaria ancora la mobilitazione massiccia dei lavoratori. Chiamati allo sciopero e a una manifestazione di almeno centomila persone per la data “storica” del 2 dicembre.
In cinquemila - tra quadri e delegati di Fim, Fiom e Uilm - venerdì hanno ribadito i punti fermi di una vertenza chiave non solo per oltre un milione e seicentomila famiglie, ma anche per il futuro dell’economia italiana, chiamata a scegliere tra l’espediente della compressione di salari e diritti e la sfida dell’innovazione. La prima certezza è l’unità sindacale, sancita ieri con un attivo unitario sei anni dopo quello di Bologna. «Quella volta - ricorda il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini - riuscimmo a ottenere il contratto che volevamo. E anche oggi decidiamo insieme le iniziative di lotta per chiudere questa vertenza. È necessario chiudere entro l'anno, perché poi saremo già in campagna elettorale - sottolinea - ci dicano ora e chiaramente i partiti se stanno con i metalmeccanici o con la Confindustria; i lavoratori hanno diritto di sapere come la pensano delle loro lotte e della loro situazione le persone per cui andranno a votare». Una sollecitazione raccolta immediatamente dai Ds, che attraverso Cesare Damiano, responsabile lavoro, «confermano il loro sostegno alle rivendicazioni dei metalmeccanici», e anche da Rifondazione comunista.
Nel merito della trattativa, i leader delle tute blu sottolineano che non è ancora stata imboccata la dirittura d’arrivo, ma che è il momento di aumentare la pressione: dopo lo sciopero generale del 25 novembre contro la finanziaria (protesta alla quale i metalmeccanici chiedono di aggiungere la propria vertenza e aggiungono due ore di assemblee) e la grande mobilitazione del 2 dicembre, la lotta potrebbe estendersi allo sciopero della flessibilità degli straordinari.
Al momento, tuttavia, le distanze tra la piattaforma sindacale e le offerte di Federmeccanica rimangono enormi: gli industriali non sono disposti a ritoccare la proposta di 60 euro, contro i 105 più 25 chiesti da Fiom, Fim e Uilm. «Ma si tolgano dalla testa di poter chiudere con un’offerta di 70 o 80 euro», taglia corto Rinaldini. «Finora il sindacato ha dimostrato di sapersi confrontare sui temi della competitività perché è un argomento che sta a cuore ai lavoratori e perché sono sempre loro a pagare con la crisi, il tempo però sta finendo e se non ci sarà il contratto finirà quella collaborazione», ammonisce il segretario generale della Uilm, Antonio Regazzi. E il leader della Fim, Giorgio Caprioli aggiunge: «E non rinunciamo alla seconda parte della nostra richiesta, i 25 euro, che sono una cifra piccola ma di grande significato perché interessa chi è più debole fra di noi, i lavoratori che non hanno la contrattazione integrativa». Il braccio di ferro si estende anche ai tavoli in cui si discute di flessibilità e orari di lavoro. Su questo terreno anche i sindacati hanno qualche punto di vista differente attorno al quale lavorare. Ma con un punto fermo importante: il ruolo delle Rsu non si tocca, «le aziende si scordino di poter decidere unilateralmente».