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Primus inter pares?
20.11.2005
Nella Chiesa Pietro non può fare a meno di Paolo. Lettera aperta al Papa di un intellettuale cattolico canadese

MONTREAL-ADISTA. La Chiesa cattolica potrà reggere le sfide della società contemporanea? Certamente no, se il papa continuerà a comportarsi da sovrano assoluto, che impone alla Chiesa un "pensiero unico". Lo afferma, in una lunga lettera aperta a papa Benedetto XVI, intitolata "Souverain absolu? Le premier parmi des égaux?", l'intellettuale cattolico canadese Jean-Paul Lefèbvre. Nato nel 1926 (e dunque più o meno coetaneo del papa), ha ricoperto numerose cariche: è stato segretario della Lega operaia cattolica alla fine degli anni ‘40, direttore del settore educazione della Confederazione dei lavoratori cattolici del Canada negli anni ‘50, animatore di diverse trasmissioni educative radiotelevisive tra gli anni '50 e '60, e negli stessi anni direttore delle relazioni esterne presso la Confederazione dei sindacati nazionali nonché direttore del quotidiano le Travail. Negli anni ‘60 ha creato il servizio di educazione agli adulti presso la Commissione delle scuole cattoliche di Montréal, mentre nel ‘66 è stato eletto deputato liberale. In seguito ha ricoperto posizioni di rilievo in alcuni ministeri, per proseguire poi la sua attività come scrittore e saggista a partire dal 1986. Di seguito pubblichiamo alcuni estratti della lettera, in una nostra traduzione dal francese.

SOVRANO ASSOLUTO O PRIMUS INTER PARES? Lettera al papa di Jean-Paul Lefebvre

Santissimo Padre,
il suo pontificato si apre mentre la Chiesa attraversa una crisi molto profonda. Le fastose cerimonie che hanno circondato la morte di papa Giovanni Paolo II e la Sua elezione al seggio di Roma sono state mediatizzate nel mondo intero come nessun altro avvenimento dall'avvento della televisione. Per tutti e tutte coloro che sono interessati al futuro del cristianesimo, questo passaggio da un pontificato, durato più di un quarto di secolo, al Suo, che non potrà avere questa longevità, costituisce l'occasione per porre una domanda: il cristianesimo ha futuro nel mondo moderno? Per essere più precisi, occorrerebbe chiedersi: la cultura ecclesiastica e monarchica in seno alla quale la Chiesa è immersa a partire dal quarto secolo sono percorribili, in particolare in Occidente? (…)
Nella maggioranza dei Paesi occidentali, in cui le comunità cristiane erano saldamente radicate fino a metà del ventesimo secolo, avviene che queste comunità siano ora segnate dalla diserzione di un gran numero di battezzati, laici, preti, religiosi e religiose. Quanto alle giovani generazioni, esse restano da parte, salvo che per la loro partecipazione occasionale alle grandi manifestazioni mondiali concepite da papa Giovanni Paolo II, i cui effetti pastorali duraturi sono incerti e i cui costi esorbitanti. Ci si può chiedere, d'altron-de, se queste apparizioni spettacolari e periodiche del "curato del pianeta" non rendano banali le cerimonie religiose presiedute dal prete della parrocchia di ognuno di questi "pellegrini". Dotato com'è di uno dei più potenti sistemi di informazione del mondo, Lei ha certamente a portata di mano dati precisi riguardo a questo fenomeno. Le superstar, che siano artisti, leader politici o papi, attirano facilmente le folle. Sarebbe tempo, dopo venticinque anni di esperienze costosissime, di chiedersi quale sia il frutto pastorale dello sfruttamento dei talenti di un papa superstar. (…)

Il bavaglio del pensiero unico
Affinché possiamo percepire un nuovo volto di Cristo, occorrerà che ci appaia un nuovo volto del papa e della gerarchia della Chiesa. Siamo milioni di cattolici, Santo Padre, a credere che il papato e la Curia romana, per il peso della disciplina ecclesiastica, e per i numerosi abusi di autorità, hanno completamente imbavagliato non solo un buon numero di teologi, ma anche la gran maggioranza dei vescovi, nonostante siano successori degli apostoli. Basterebbe rievocare l'abbondante corrispondenza tra il Vaticano e i vescovi tedeschi! Per quanto ne so io, Roma ha tagliato, talvolta in modo brutale, tutte le discussioni: quella sulla comunione ai divorziati risposati, quella sui consultori per le donne che pensavano ad un aborto, quello della missione pastorale delle Chiese locali… In tutti i casi, i giudizi burocratici della Curia hanno prevalso sulle opinioni delle persone che vivevano sul posto, non nei palazzi ovattati del Vaticano, ma in seno al popolo di cui erano in grado di valutare meglio le esigenze di quanto lo fossero i funzionari romani, e il papa stesso. Conservo un ricordo particolare della Sua polemica pubblica con il Suo compatriota il cardinale Kasper, sulla natura della Chiesa locale. Devo confessarLe che la prospettiva di quest'ultimo mi sembrava più pastorale, più evangelica della Sua.
Oggi Lei guida una Chiesa di cui Cristo è norma e modello; una Chiesa alla quale "Pietro" ha imposto, nel corso dell'ultimo quarto di secolo, un pensiero unico, concepito in Vaticano, che non tiene in alcun conto le differenze culturali più rilevanti tra le comunità cattoliche sparse nel vasto mondo. Impedire ai brasiliani di danzare durante la messa è come vietare a un pescatore di pescare! Vietare il sacerdozio femminile, con il pretesto che Cristo non ha scelto donne tra i suoi apostoli, significa dare per scontato che i cristiani attualmente non sono abbastanza informati per valutare la condizione della donna, nella società occidentale di oggi, in rapporto a ciò che era nella Samaria al tempo di Cristo. Purtroppo non c'è stato un successore di "Paolo" che tenesse testa a Pietro, come l'apostolo dei Gentili ha fatto sulla questione della circoncisione!
Soffermandosi unicamente sugli eccessi della modernità, il papa e la sua Curia generalmente si sono schierati a favore di una restaurazione dei valori antichi mentre molti teologi, vescovi e fedeli, profondamente impegnati nella Chiesa, non hanno temuto di segnalare le debolezze della posizione romana di fronte a certi valori della cultura di oggi, l'uguaglianza dell'uomo e della donna, per esempio. Nessuno l'ha fatto con la forza e la determinazione necessarie per contestare efficacemente l'ostinazione di Roma. (…)
Nella rivista "Le monde des religions", n. 12, Henri Tincq traccia un primo bilancio del Suo pontificato. Scrive: "La prima preoccupazione del nuovo papa è stata di far comprendere alla sua Chiesa e al mondo che intendeva rimettere al centro l'‘essenziale' del potere pontificio. Non è una critica implicita al suo predecessore, all'ipertrofia della funzione di cui Giovanni Paolo II era diventato il simbolo, incoraggiato da movimenti chiassosi di ‘riconquista cattolica' o di ‘nuova evangelizzazione' dal quale il futuro Benedetto XVI aveva già saputo mantenere le distanze. Questa scelta di modestia è legata alla sua età, 78 anni, alle sue forze, al tempo che gli sarà concesso, ma soprattutto alla sua concezione del ministero papale, ad una visione apparentemente giusta dei progressi della collegialità e dell'ecumeni-smo (riavvicinamento tra le Chiese cristiane) che hanno come premessa un esercizio meno autoritario del primato pontificio".
Henri Tincq fonda la sua analisi in buona parte sulla Sua omelia del 7 maggio, nella cattedrale di San Giovanni in Laterano. In quell'occasione, Lei ha lungamente esposto in modo dettagliato la sua concezione del ruolo dell'arcive-scovo di Roma nel momento in cui Lei prendeva, per la prima volta, la parola nella cattedrale che è sede del vescovo di Roma. Ho letto col massimo interesse questa omelia di cui riporterò una frase molto importante alla quale do un senso ed una portata diversi dall'interpretazione di Henri Tincq. Lei ha detto: "Il papa non è un sovrano assoluto il cui pensiero e volontà sono la legge. Il ministero del papa è la garanzia dell'obbedienza a Cristo e alla sua parola. Il suo potere non è al di sopra, ma al servizio della parola di Dio".
La questione, mi sembra, è di sapere se il sovrano pontefice è il solo interprete di questa parola o se, piuttosto, non deve diventare, nel mondo di oggi, un caposquadra e, occasionalmente, l'arbitro delle interpretazioni accettabili a seconda degli ambienti e delle culture. Faccio un esempio. La Chiesa è legittimata a predicare il rispetto della vita umana. Questo implica necessariamente che una donna che è stata violentata da venti soldati di un esercito nemico, in una prospettiva di "pulizia etnica", debba, in coscienza, tenere il bambino che potrebbe nascere in tali circostanze? Il papa è il solo a poter giudicare una situazione del genere? Può imporre la sua opinione personale a tutti i teologi, a tutti i vescovi… alla coscienza di tutte le donne direttamente interessate? È ciò che è avvenuto sotto il Suo predecessore per un quarto di secolo e che è stato contestato con discrezione, con troppa discrezione, da un buon numero di vescovi e di teologi. Secondo la mia interpretazione delle tre importanti frasi estratte dalla Sua omelia, Lei non ha intenzione di mettere in dubbio la libertà assoluta del papa di decidere da solo della portata della Parola di Dio! Mi permetta di ritenere che questo costituisce un problema. Perché la Chiesa sia credibile nel mondo di oggi e perché possa essere leader dell'unità dei cristiani - ciò che essa dev'essere per missione - l'autorità del papa non può che essere esercitata in un contesto di collegialità. (…)

Dopo i grandi monologhi di Wojtyla, è tempo di tornare al dialogo di Gesù
Credo che esista già un ampio consenso tra i teologi, i preti ed i vescovi, sul fatto che non si debba privare della comunione persone di cui non si può nemmeno valutare la parte di responsabilità avuta nel fallimento del loro primo matrimonio. D'altronde si può difendere questo divieto quando la Chiesa ha lasciato per anni che preti pedofili celebrassero l'eucaristia? Il Magistero della Chiesa, in consultazione con i fedeli, dovrebbe intraprendere una riflessione fondamentale sulla formazione delle coscienze piuttosto che sul loro controllo. Non vi sarebbe forse motivo di mettere a confronto la Sua posizione più recente con l'atteggiamento di Cristo nei confronti della donna adultera, del figliol prodigo, del levita che prosegue il suo cammino davanti all'uomo ferito da un brigante e del Buon Samaritano che si occupa dello sfortunato? Si rifiuta forse la comunione ad una coppia che vive in libera unione? Ad un ladro? A un uomo che picchia sua moglie? A una donna che picchia suo marito? Cristo rifiutava di parlare con persone che avrebbe giudicato indegne di parlare con Lui?
Torno ai divorziati risposati. Supponiamo che entrambi siano responsabili del loro fallimento: è un peccato imperdonabile? (…)
Lei avrebbe interesse, mi sembra, a rompere con lo stile delle grandi manifestazioni spettacolari e molto costose per le Chiese locali, alle quali era tanto affezionato Giovanni Paolo II. È stato il papa dei grandi monologhi. Lei potrebbe diventare il papa del dialogo con i vescovi, i preti, i religiosi e le religiose e i fedeli, giovani e meno giovani. Non sente il bisogno di ascoltarli, di dialogare con loro per assolvere bene alla Sua funzione di guida spirituale? In particolare, in ragione del fatto che Lei, dall'inizio della sua lunga residenza in Vaticano, si è allontanato dalla base. Ma anche perché il pontificato di Giovanni Paolo II, se è stato spettacolare, è stato causa di molte sofferenze per le Chiese locali, con le quali non vi erano contatti reali. Come Lei sa, egli rifiutava il dialogo, soprattutto se si trattava di "discutere"!
Sono gli scambi tra piccoli gruppi, raccontanti nei vangeli, a trasmetterci l'essenza della pedagogia (catechesi) di Gesù. Questo tipo di contatti molteplici e prolungati con le Chiese locali permetterebbero di apprezzare l'urgenza di creare nuovi ministeri ordinati per i giovani già preparati per portare avanti missioni pastorali molto variegate, ben diverse dalle responsabilità multiple del prete tradizionale.

Alle soglie della modernità o con i piedi ancora nel passato?
Se la nostra Chiesa resta fissa al celibato ecclesiastico maschile, assumerà, nel contesto della società moderna, l'aria di una setta. Cosa di cui viene già accusata, peraltro. La Chiesa cattolica, per la propria sopravvivenza e per realizzare il suo mandato naturale di riunire tutti i cristiani, non può semplicemente rifiutare di ordinare giovani uomini sposati e giovani donne, sposate o no. Questo è un passo difficile da compiere, ma è indispensabile per la sopravvivenza della Chiesa in molti Paesi, e per la sua credibilità come animatrice dell'unità dei cristiani. Se il Cristo tornasse tra noi per aggiornare la Buona Novella della salvezza dell'umanità tramite la via dell'amore per il prossimo, potrebbe prescindere dalle donne? La risposta è evidente. Al cuore della modernità, nel mondo occidentale, le donne sono veramente pari agli uomini. È giunto il momento di riconoscerlo. La creazione di nuovi ministeri ordinati sarebbe un buon modo per introdurre questa novità, che in realtà novità non è. Nella storia antica della Chiesa ci sono state almeno diaconesse, e sappiamo tutti che ci furono uomini sposati ordinati preti e vescovi, in gran numero. Fu papa Benedetto VIII che propose al Sinodo di Pavia, nel 1022, il celibato ecclesiastico: per evitare che i figli dei preti ereditassero i beni della Chiesa. Sarebbe stato più semplice adottare un regolamento o una legge per distinguere i beni della Chiesa dai beni ecclesiastici. Tocca a Lei, Santo Padre, rivedere la cattiva scelta del Suo lontano predecessore!
Lei crede, Santo Padre, che il sacramento del matrimonio sia incompatibile con il sacramento dell'Ordine? E veramente ci tiene a che il papa sia "… il supremo amministratore e dispensatore di tutti i beni ecclesiastici"? Il canone 1273 non è particolarmente conforme allo spirito evangelico! (…)
Arrivo alla cosa più difficile da fare. Essa è tuttavia essenziale se Lei non vuole che il papa continui ad essere un monarca dei tempi andati. Poiché è così, realmente, oggi, in ragione del giuramento di fedeltà richiesto ai vescovi, ai curati e ai decani delle Facoltà di teologia, giuramento che li obbliga a pensare come il papa e a parlare come il papa su ogni punto! Il Suo predecessore si è accertato di coprire con questa cappa di piombo tutti i vescovi, vecchi e nuovi, iscrivendo al diritto canonico un "motu proprio" che obbliga al silenzio tutti coloro che non la pensavano come lui, come se avessero prestato giuramento. Ad onore della Chiesa, c'è stato qualche coraggioso che ha osato la libertà nella fede. Quella che Lei reclamava per se stesso e per i Suoi colleghi teologi nel 1969! Salvo errore da parte mia (che sarebbe possibile), questa legge resterà in vigore fintantoché Lei non decreterà una moratoria alla sua applicazione o semplicemente la sua archiviazione. Immagini l'impatto sull'episcopato cattolico e sui vescovi delle altre confessioni. In quel caso, la porta sarebbe veramente aperta ad un discorso di collegialità e alla ridefinizione del famoso "primus inter pares". In alcuni anni di dialogo serio, Lei avrebbe ridefinito la collegialità che ha avuto senso solo per il tempo di un Concilio. E avrebbe fatto un grande passo verso l'unità di tutte le Chiese cristiane. (…)

La fede nasce e sopravvive solo nella libertà
La lunga lista dei "peccati della carne" che figura nel Catechismo ufficiale della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, e il modo con cui questi peccati vengono trattati, non è più accettata in pratica da nessuno. È lì che risiede la accanita resistenza dei fedeli alla confessione individuale. Si potrebbe riempire una grande biblioteca con le numerose opere che trattano dell'abuso di potere commesso nel confessionale!
Il celibato ecclesiastico è un serio handicap per la Chiesa nella sua catechesi sul matrimonio. La sessualità è all'origine della vita, ed il miglior modo di affrontarla non è nella prospettiva del peccato ma in quella dell'amore, dello sviluppo degli esseri umani e della loro felicità. Una delle meraviglie della creazione è il fenomeno della sessualità, presente nel regno vegetale, animale e umano. E il creatore ha voluto che nel caso degli umani, dotati di un cervello più sviluppato rispetto agli altri esseri viventi, la sessualità fosse anch'essa più sviluppata. L'espressione "due in una sola carne" è molto significativa. Una coppia che riesce nel suo matrimonio è davvero trasformata dall'amore. La relazione affettiva e carnale è il legame più solido che permette una condivisione di tutte le altre esperienze: genitoriali, culturali, professionali. Perché questa trasformazione di "due persone in una sola carne" sia possibile, la natura ha voluto che l'attrazione sessuale sia costante negli umani piuttosto che periodica, come negli animali. Fintantoché la Chiesa non avrà operato una seria revisione della sua pastorale del matrimonio - e questo non potrà avvenire prima dell'eliminazione del celibato obbligatorio per l'accesso ai ministeri ordinati - essa deve rinunciare alla confessione individuale. La cultura ecclesiastica che prevale da secoli rende il dialogo tra preti e fedeli impossibile su questo tema. (…)
Non è perché la Chiesa è orientata verso l'eternità che può permettersi di essere arcaica nelle sue strutture e nei suoi modi di agire. Il Suo predecessore era carismatico, ma molto autoritario. Ha parlato moltissimo, ma aveva scarsa capacità di ascolto. La Chiesa ha un grande bisogno di essere ascoltata. E a questo riguardo, Le auguro di avere la pazienza di Cristo.
Ho appena saputo che Lei ha fatto erigere in piazza San Pietro una imponente statua del fondatore dell'Opus Dei. Lei certo non ignora che questo nuovo santo non gode di una venerazione universale. Posso suggerirLe, Santo Padre, di chiedere che si stabilisca un certo equilibrio erigendo un monumento almeno altrettanto imponente alla memoria di Giovanni XXIII, il papa che ha dato alla Chiesa il suo ultimo Concilio, in seno al quale Lei ha svolto un ruolo giudicato positivamente dagli osservatori dell'epoca?
Lei è il 265.mo papa. Dopo di Lei, ci saranno molti altri papi. Ma, al di là delle tendenze pastorali e teologiche dei papi, non vi è che un solo Cristo. Non siamo papisti, siamo cristiani. Non lo diranno né lo scriveranno tutti, ma sono convinto che molti cristiani contino su di Lei per realizzare l'unione di tutti i cristiani in un'unica comunione, nel rispetto della libertà di coscienza degli uni e degli altri. È vero oggi quanto lo era al tempo di Cristo. La fede non può nascere e sopravvivere che nella libertà. Senza di essa, vi è soltanto sottomissione e dipendenza. Se si risale alla Chiesa primitiva, si constata che Paolo è stato un sostegno essenziale per Pietro. Senza la sua insistenza sulla libertà dei Gentili riguardo alla circoncisione, la Chiesa sarebbe rimasta limitata alla Palestina!
Oggi il mondo è molto più complesso che al tempo di Cristo. Le culture sono infinitamente più varie. Tutte le donne, tutti gli uomini che popolano la terra sono chiamati al Regno di Dio, senza dover diventare identici dal punto di vista culturale. Ecco perché il vescovo di Roma ha bisogno di tutti i "Paolo" di cui dispone: ossia dei vescovi diocesani, successori degli apostoli.

Fonte: http://www.adistaonline.it/?op=articolo&id=13403

mt

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