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La guerra di Piero
26.11.2005
La dignità di un essere umano, molte volte, è semplicemente avere un lavoro. Farlo bene ed essere pagato regolarmente per svolgerlo. E gli occhi sorridenti di tuo figlio, che forse ti ringraziano.
di Piero Buscemi / Girodivite

Piero è sposato, con due figli. Piccoli. Da non capire la tristezza del padre. La sera, seduti a cena, con non molta voglia di giocare. Anche se loro lo hanno aspettato tutto il giorno, per farlo.

Piero si sforza ad esternare un’espressione compiaciuta, forse anche solo normale, mentre il figlio gli fa scivolare sul braccio la macchinina. Ford Focus grigio metalizzata. Il bambino se la sogna tutti i giorni. E forse, anche Piero la sogna. Gliel’ha promessa una sera di capricci, in cambio del suo silenzio.

Perché, anche la famiglia di Piero è una famiglia che sogna. Poi la mattina si sveglia e un lavoro precario e sottopagato gli custodisce il sogno. Fino alla notte successiva. Un lavoro che Piero esegue con passione. Fa il “tubista” da quando aveva quattordici anni. Andava da don Michele, il pomeriggio, dopo la scuola. Era solo un gioco, da imparare bene. Ora, è una necessità.

Suo padre glielo diceva che, prima di rassegnarsi per sempre, doveva prendersi il “pezzo di carta”. Per non fare la sua fine. Sfruttato sotto padrone. E Piero me lo racconta, lasciando scappare un sorriso su quella parola “fine”. Quasi a svelarmi i significati nascosti di quel modo triste di pronunciarla in siciliano, mi dice: “Un diploma e un tozzo di pane, in Italia, non si nega a nessuno”.

“In Italia”, mi ripete con un “tse” sarcastico. In Italia, ma non in Sicilia. Lui l’ha preso il pezzo di carta. Come voleva suo padre. Poi è tornato sulla sua strada, per fare la sua stessa fine: sfruttato e sotto padrone. Perché non c’era di meglio, nonostante il diploma di perito industriale. Perché, quando a ventidue anni, gli era nato il primo figlio, Piero non aveva pensato di essere stato pazzo e irresponsabile. Come gli dicevano tutti. Ed anche suo padre.

Perché, cosa c’è di folle nella normalità di una notte d’amore? Cosa, se oggi la sua “fine” è nascondere le dita e le preoccupazioni tra i capelli del figlio? Ma in Sicilia, anche questa “normalità” diventa pazzia. Nelle alzate mattutine, alle sei. Per poter raccontarsi di vedere il sorgere del sole, da dietro lo scoglio dei “Due frati”. Tutti i giorni.

Perché il sole, qui, lo puoi vedere tutti i giorni. I turisti ci vengono, ogni anno. Per il sole. Il sole che dora gli scogli e si specchia sulle guance di Piero. Illuminate da rabbia e rassegnazione. O forse dal freddo. Perché l’inverno è freddo anche in Sicilia. Nonostante il sole.

Piero ci è andato tutte le mattine, a guardarlo. Prima di andare a fare il tubista per dodici ore al giorno. Per mille euro al mese e quattrocento prenotate dal padrone di casa. Ovunque gli comunicasse il suo capo mastro, che dice “gli vuole bene” e a Natale gli regala pure, il panettone e la bottiglia di spumante. Lo tiene in nero. Senza contributi. Senza assicurazione. Senza assegni familiari. E se Piero si fa male, ha un contratto formazione lavoro con scadenza a dodici mesi, nel cassetto della scrivania. Già compilato e pronto per essere firmato. Ma comunque, gli vuole bene.

Si, Piero ci è andato tutte le mattine. A salutare il sole, o il mare se il sole era in ritardo. Poi, l’anno scorso a marzo, ha voluto provare a non rassegnarsi. E’ partito per Pisa, con la sua cassetta degli attrezzi, a fare il tubista per una impresa edile. Un contratto a tempo determinato a sei mesi. Forse, rinnovabile.

Ha lavorato fino ad agosto, tra le rassicurazioni dei colleghi e le promesse del nuovo datore di lavoro. Ha condiviso un appartamento con altri tre ragazzi siciliani. Ha anticipato le spese, ma era fiducioso perché nel contratto c’era scritto chiaro: 65 € al giorno, vitto e alloggio a carico della ditta.

Poi è arrivato settembre. Qualche problema c’era stato con le ultime due mensilità non riscosse. Piccoli ritardi “tecnici” dovuti al mancato saldo delle commesse, ma tutto si sarebbe risolto. Dicevano. Piero è tornato in Sicilia, con la speranza di un immediato rinnovo contrattuale e due stipendi ancora da riscuotere.

I mesi passavano, ma di un nuovo contratto e degli arretrati, nessun segnale. Con i suoi tre colleghi siciliani, che avevano subito lo stesso trattamento, si è rivolto ad un sindacato che, per avviare la pratica di recupero delle somme, gli ha chiesto la copia del contratto e le buste paghe.

Piero non l’aveva la copia del contratto perché nessuno gliela aveva mai data. Non aveva neanche le buste paghe, perché era stato sempre pagato in contanti, senza troppe tracce da lasciare incustodite. Dopo una breve diatriba burocratica, nonostante tutto, ha ricevuto quanto dovuto. Forse per paura di ritorsioni legali, l’imprenditore ha pagato. Auspicare in un nuovo contratto: azzardato. Ma Piero si sarebbe accontentato di aver riscosso gli stipendi arretrati. Senza altre complicazioni.

A settembre di quest’anno, Piero e gli altri tre ragazzi hanno ricevuto una raccomandata. All’interno, una comunicazione dai toni minacciosi, li informava di una denuncia ai loro danni, per “estorsione”. Le indagini condotte da un avvocato, messo a disposizione dal sindacato, hanno rivelato che, l’imprenditore non è l’effettivo titolare dell’impresa edile, ma che questa faceva riferimento ad una sua ex-convivente.

Grazie al suo stato di disoccupazione, Piero non ha dovuto preoccuparsi della parcella del difensore, che lo sosterrà alle udienze per difendersi da questa infamante ed assurda accusa. Questo non gli impedirà, però, lo sborso di un ingente somma per pagarsi i viaggi e le spese di soggiorno ad Arezzo, sede legale del processo.

Adesso, Piero è tornato a fare il tubista con il suo vecchio datore di lavoro. Lo ha ripreso con sé, in nero. Senza contributi, senza assicurazione e senza assegni familiari. Ma ha tenuto a dirgli che lui, continuerà a volergli bene. Anche il panettone e lo spumante, sembrano sicuri per il prossimo Natale.

Fonte: http://www.girodivite.it/article.php3?id_article=3268

mt

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