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Una mamma single francese *Siamo noi a dover aprire la strada*
9.12.2005
FINESTRA APERTA - Intervista: una mamma single francese “Siamo noi a dover aprire la strada” (da www.webgiornale.de)
Rubrica di vita quotidiana italiana in Germania a cura di Cristina Rocchetto, mamma singola, consulente psicologica e ricercatrice. I lettori possono proporre direttamente dei temi o mandare i propri commenti sugli argomenti trattati.

Oggi vi voglio portare in Francia. Lì ho da tanti e tanti anni una cara amica, conosciuta tra l’altro proprio qui in Germania nel lontano 1988. Dopo dieci anni e diverse peripezie, eravamo entrambe in attesa dei nostri tesori, che sono nati ad un mese di distanza l’uno dall’altra: la sua bimba in terra francese, da papà inglese; il mio, in terra inglese, da papà multietnico. Ogni tanto, pur essendoci riviste fisicamente una sola volta, comunichiamo e ci aggiorniamo sulla nostra situazione, che per entrambe è ora quella di mamme singole, scrittrici, dall’esperienza variegata in vari Paesi occidentali – la mia amica ha vissuto qualche anno anche negli Stati Uniti. Tra noi si parla in Inglese, anche se lei può un po’ leggere l’Italiano.
Ora che scrivo su questa rubrica, le ho chiesto di provare a riportare con me la storia della sua bambina alla scuola materna.

D-Allora, eccoci qui. Sono ormai passati tre anni: vogliamo raccontare a chi legge cosa è successo alla tua piccola tre anni fa?
R-Volentieri. Prima di tutto c’è da fare una premessa su come è organizzato il nostro sistema. A tre anni, i nostri bambini entrano in un asilo che da noi è effettivamente una “scuola” materna e che dura per tutti tre anni. Al secondo anno, cominciano a scrivere e prepararsi per la scuola. Il bambino segue questo ciclo con il suo gruppo, ma cambia la maestra ogni anno. La scuola materna non è formalmente obbligatoria, ma lo è praticamente, dal momento che a sei anni il bambino deve cominciare le elementari e la materna fornisce ormai una preparazione per esse.

D-Il primo anno non ci sono stati problemi…
R-No, tutto regolare. Io ho sempre avuto una bella vita sociale, con tante amiche con figli; la bimba ha sempre visto il suo papà ogni secondo weekend, tutto era tranquillo.

D-Cosa è accaduto poi?
R-Al secondo anno, la nuova maestra ha preso subito la bambina in antipatia, la trattava con aggressività. La bambina ha reagito chiudendosi nel suo mondo, rifiutandosi di cooperare. La maestra ha subito deciso di vederla “strana”. Così, un giorno mi ha preso in disparte e, davanti alla bambina, mi ha detto che c’erano problemi e che la bimba era ritardata. Mi ha dunque offerto un appuntamento per un colloquio. Pensa, erano passati solo due mesi dall’inizio del nuovo anno, e la bimba non era partita con una segnalazione precedente.

D-Oh, be’….c’è chi dà di queste diagnosi anche dopo tre soli giorni di scuola! Sei andata sola al colloquio?
R-Sì. Lì mi sono travata davanti ad una persona che ha esordito dicendo che, essendo mamma singola, ovviamente avevo problemi, che lei mi capiva, che sapeva che è difficile vivere da sole maternità. Ha continuato con il dirmi che la bambina aveva seri problemi di ritardo mentale, che non si integrava e non giocava con gli altri, che non capiva nulla di ciò che lei le diceva.

D-Come hai reagito?
R-Io ho cercato di spiegarle che la bimba fuori dall’asilo era molto comunicativa, che non aveva problemi con gli altri, che la sua descrizione non corrispondeva al modo in cui io la vedo. Ma questa giovane insegnante cercava di convincermi che lei sapeva su mia figlia più di quanto sapessi io, è stato terribile…

D-Come ti sei sentita?
R-Disgustata, frustrata; alla fine, totalmente impotente. Infatti, sono anche scoppiata in lacrime: non riuscivo a farmi ascoltare, sembrava che lei non mi credesse. Così lei ha ottenuto da quella conversazione ciò che voleva: ridurmi a quel tipo di mamma fragile e piangente che lei aveva dato per scontato che io fossi.

D-In un libro, “Power in the helping profession”, di Guggenbuehl-Craig, una dinamica simile è spiegata nei termini jungiani di proiezione delle proprie aspettative negative sull’altro: un gioco di potere pericolosissimo, che porta l’altro infine a comportarsi esattamente nel modo dato per scontato. Nel caso del rapporto insegnante-bambino la cosa è particolarmente deleteria. Il discorso contrario varrebbe per le aspettative “positive”.
R-Per l’appunto. Figurati la bambina come poteva comportarsi con un’insegnante portata ad impostare i rapporti umani in tal modo…Ovviamente, non capiva nulla! Io, però, sapevo che lei è normale…

D-Cosa hai fatto?
R-Ho accettato di vedere la psicologa legata alla scuola, dove lei mi ha indirizzata…

D-E ti è andata bene….
R-Sì, devo dire di sì. Mi sono trovata di fronte una persona gentile e competente, che ha offerto di vedere in sedute di un’ora e mezza la bambina. A volte io ero presente, altre no. In ogni caso, dopo i primi tre appuntamenti, la signora mi disse che non c’era assolutamente bisogno che la bimba continuasse ad andare da lei: si trattava, mi ha detto, infatti di una bambina tutt’altro che ritardata, ma anzi più matura della sua età e dalle reazioni molto chiare e sane, dal momento che si rifiutava di lavorare con una persona che non dimostrava di avere simpatia nei suoi confronti attraverso il tono della voce ed il linguaggio del corpo.

D-Cosa è successo poi?
R-La psicologa ha richiesto un colloquio con la maestra, che è stata ripresa; la psicologa le fece capire che era lei a dover fare uno sforzo per integrare la bambina, che la bambina stava reagendo ad un disagio che dipendeva dall’ambiente a scuola, non da me. Quest’insegnante era partita dal presupposto di voler per forza catalogare la bimba in qualche categoria: sai, quando si dice “cheap psychology” (psicologia da quattro soldi). E’ vero, è una bambina diversa dagli altri: ogni bambino, nel suo, lo è…In seguito, per un breve periodo ha provato ad avere maggior disponibilità per la piccola, ma la cosa non è durata a lungo, anche perché la bambina ha continuato a rifiutarsi di lavorare con lei. Per fortuna, l’anno dopo l’insegnante è stata diversa ed il tutto si è riequilibrato.

D-Diversa come?
R-Si trattava di una persona autenticamente disponibile verso i bambini, figurati che accettò di integrare un bambino autistico, nato e scappato dall’Inghilterra proprio per la difficoltà che la madre aveva lì di farlo integrare in istituzioni normali. Anche in Francia non è semplice, per bambini così esistono istituti speciali…ma la maestra diede una stupenda opportunità a questa famiglia, in un anno il bambino è migliorato e, pur ovviamente rimanendo autistico, oggi frequenta una scuola normale…

D-A proposito, come funziona in Francia: avete qualcosa di simile alla scuola differenziale ancora esistente in Germania e da poche altre parti?
R - Non sono molto informata su cosa esattamente sia la “Sonderschule” di cui parli. In Francia esistono istituti speciali per bimbi con problemi mentali evidenti (Sindrome di Down o autismo, per esempio), dove l’insegnante lavora in collaborazione con medici specialisti. Non abbiamo istituti dove vengono inseriti bimbi che non corrispondano ad un modello dato dalle aspettative sociali: questo no…

D-Ritornando a tua figlia, oggi lei frequenta la seconda elementare. Come va?
R-Benissimo. Certo, la scuola non è il suo elemento, non lo è mai stato neppure per me, io non mi preoccupo: l’importante è che non ci siano problemi. Per il resto, lei ama dipingere, leggere e scrivere, ha il suo mondo di storie, i suoi compagnetti di giochi: è una bambina tranquilla, ma molto portata ad avere immaginazione.

D-La cosa mi suona familiare: insomma, o ci assomigliamo, o qui si copia… (ridiamo)
R-Anche la psicologa della scuola materna disse che non c’è nulla di negativo nell’aver fantasia e che fuggire nel mondo dell’immaginazione è uno dei tanti modi di autodifesa che hanno gli esseri umani: certi bambini reagiscono alla pressione scaricando aggressività; lei non sopporta questo tipo di atmosfere ed anche a scuola le capita di avere atteggiamenti più introversi di quando invece sta tra la gente con cui si sente completamente a suo agio…

D-Credi che la situazione sia stata determinata dalla tua condizione di mamma singola?
R-Assolutamente sì. Ora che ho un partner, l’impatto che il nostro nucleo familiare ha sulla gente è totalmente diverso. Eppure sanno tutti che il mio compagno non è il padre della bimba (la bimba vede anche il suo papà, ovviamente)! Pensa che alla scuola materna fui tacciata di iperprotettività quando preferii ed insistetti di volerla a casa il pomeriggio: lei al pomeriggio allora dormiva, all’asilo non c’erano lettini disponibili, io stavo a casa…Insomma, perché no? A me fecero un lungo problema per questa mia decisione; ma alle mamme non singole, proprio a causa della poca disponibilità di lettini, invece chiedevano di portare i figli a casa!!!! Oppure, un altro piccolo particolare: quando cambiammo casa e ci spostammo per poco dall’area, mi comunicarono che la bimba non avrebbe più avuto diritto al posto per il terzo anno; io andai all’Ufficio apposito, mi informai, seppi non solo che non era vero, ma che la stessa scuola materna aveva tante famiglie iscritte provenienti da zone al di fuori della sua circoscrizione…

D-Insomma, non eravate “ben accette”…
R-Questa è la mia conclusione. Io ho in qualche modo messo in discussione il sistema, ho fatto riprendere un’insegnante, mi sono rifiutata di iscrivere la bimba al doposcuola, ero, insieme ad una sola altra mamma, una mamma singola, scrivo e non ho lavori fissi, la bambina ha fantasia e si è rifiutata di fare ciò che volevano lei facesse…Insomma… Da quando ho un compagno, siamo diventate tutte e due “normali”, il fatto che io scriva e non svolga una professione regolare fuori casa non sembra disturbare più nessuno….

D-Come concludiamo quest’intervista?
R-Forse dicendo alle altre mamme singole di avere coraggio: siamo la prima generazione di mamme singole di massa, siamo noi a dover “aprire la breccia” e fare strada: quelle che verranno dopo di noi raccoglieranno i frutti della nostra esperienza…

D-Già: ed i nostri figli potranno anche dire, domani, di aver potuto avere anche loro un’infanzia felice…
R-Già: e poi, mamme come noi…mica siamo venute fuori dai libri…

D-No: noi i libri semmai li scriviamo!…

____________

Cristina Rocchetto, bluewords@t-online.d e (de.it.press)

http://www.webgiornale.de

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