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Poteri di mafia, relativismi di chiesa
18.12.2005
Intervista a Roberto Scarpinato. Paleromo-Adista. Quale relativismo etico più devastante di quello che ‘benedice' indifferentemente vittime e carnefici? Quale difesa della vita più disattesa di quella incapace di stare a fianco della vita calpestata? Quale futuro di Paese, quale futuro di Chiesa senza la linfa vitale del senso della giustizia?
Per riflettere su simili questioni, abbiamo scelto di andare a Palermo. A Palermo: capitale d'Italia, perché qui si è consumato e si consuma il rovescio della storia del potere nazionale. Perché a Palermo c'è stato il coraggio del ‘processo al potere', per saper scegliere tra oppressi e oppressori: in squarci della società civile, nel segno di giudici come Chinnici, Falcone, Borsellino, nella Procura della Repubblica guidata da Gian Carlo Caselli.
Uno dei protagonisti della storia di quella Procura è Roberto Scarpinato, uno dei tre Pubblici Ministeri del processo Andreotti e ora Procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo.
A lui ci siamo rivolti per ragionare sul potere e i suoi patti, nonché sul ruolo della Chiesa circa tali patti. E la sua indicazione di rotta è chiara: costruire democrazia è "tornare ad innamorarsi del destino degli altri".
Di seguito la nostra intervista al Procuratore aggiunto Roberto Scarpinato. (maria rita rendeù)
ADISTA: Procuratore Scarpinato, giustizia e avvento del regno dei cieli trovano nell'annuncio evangelico reciproca implicazione: l'uno senza l'altra è contraddizione in termini. Ciò sembrerebbe implicare che il cattolicesimo italiano, quanto meno nella percezione pubblica che di esso si ha ovvero nelle linee pubbliche della sua leadership, dovrebbe identificarsi come uno dei principali protagonisti di una azione nitida contro la deriva sempre più evidente dello Stato di Diritto, piagato e piegato dalla perdita della sovranità democratica a vantaggio di sovranità altre, come quelle della mafia o della ‘legge' ridotta ad arbitrio, ad et contram personam. Ma al momento questa forza e nettezza d'azione ci sfugge. Qual è la sua riflessione al riguardo?
SCARPINATO: Uno dei problemi che più mi ha occupato, coinvolto, e intrigato in questi lunghi anni di frequentazione degli assassini e dei loro complici è stato il problema del rapporto con Dio e l'atteggiamento della Chiesa cattolica. Ho cercato di dare una risposta a una domanda, che non potevo fare a meno di pormi. E cioè: com'è possibile che vittime e carnefici siedano nello stesso banco della chiesa e preghino lo stesso Dio? Perché quello che mi ha colpito nella mia frequentazione dei mafiosi è l'avere constatato che si tratta in moltissimi casi di cattolici credenti e praticanti, e non c'è simulazione. Gli esempi sono noti: da Nitto Santapaola che si era fatto perfino la cappella nel luogo di latitanza a Piero Aglieri che faceva venire un frate per celebrare messa a tanti altri casi. Come è compatibile il fatto che questi uomini uccidono, sono mafiosi eppure sono in pace con se stessi e con Dio? La conclusione a cui sono arrivato è che in realtà non pregano lo stesso Dio, pregano un Dio diverso. Pregano un Dio diverso perché nella cultura cattolica il rapporto tra il singolo e Dio è gestito da un mediatore culturale: ciascuna articolazione sociale esprime dal suo interno un mediatore. E così abbiamo i sacerdoti della mafia e i sacerdoti dell'antimafia. Abbiamo un padre Puglisi che viene assassinato perché cerca di strappare i ragazzi del suo quartiere a un destino di mafia e abbiamo altri sacerdoti i quali non sono immuni dalla contaminazione della cultura mafiosa e paramafiosa.
Il mafioso ha un rapporto con Dio che non è conflittuale perché il mediatore con Dio che lui stesso sceglie è espressione della sua stessa cultura. Vi sono delle chiese che sono piene la domenica del popolo di mafia, dove ci sono dei sacerdoti che mediano il rapporto con Dio in modo da eliminare qualsiasi attrito e qualsiasi frizione. Per cui la morale resta imperniata su quella sessuale e sul dovere di obbedienza. Questo del resto è un fenomeno universale: anche il dittatore cileno Pinochet, per esempio, crede in Dio e si sente in pace con se stesso e con Dio perché ha un rapporto con Dio mediato da vescovi che la pensano come lui. In Cile, così come in altri Paesi dell'America Latina che hanno subito delle feroci e sanguinose dittature, ci sono i prelati che la pensano come i dittatori ed altri che stanno dalla parte delle vittime che sono state trucidate.
E qui arriviamo all'atteggiamento dei vertici della Chiesa cattolica. Jean Paul Sartre ha scritto che l'etica consiste nello scegliere ("Noi siamo le nostre scelte"). Da questa prospettiva laica si potrebbe forse dire che la Chiesa cattolica ha avuto un atteggiamento antietico perché nel corso della sua storia la sua scelta è stata troppo spesso quella di non scegliere, consentendo così a ciascuno di avere il proprio Dio. E quindi c'è il Dio dell'aristocrazia, il Dio dell'alta borghesia, della media borghesia, della piccola borghesia, il Dio dei dittatori, il Dio delle vittime, il Dio dei mafiosi e il Dio degli antimafiosi. A ciascuno il suo. A ciascuno il suo Dio, con un vertice cattolico che in qualche modo non sceglie quasi mai, e in questo suo non scegliere alimenta una sorta di politeismo segreto e moderno, che consente al Dio degli assassini di convivere con il Dio delle vittime.
ADISTA: Eppure in altre stagioni ecclesiali si tentò la formazione alla responsabilità della scelta. In particolare la cosiddetta scelta religiosa in qualche modo tentò di emancipare la Chiesa italiana dall'indistinta e coatta unità politica dei cattolici: una scelta di laicità che si sostanziava di questioni politiche e culturali perché, per esempio, significava fra l'altro contestare quella tacita situazione per cui qualsiasi consenso elettorale era accettato in nome dell'anticomunismo. Di fatto però quell'unità politica confessionale fu travolta solo più tardi dagli eventi nazionali ed internazionali, perché una scelta diversa rimase minoritaria nell'humus cattolico: il massimo fu teorizzare la autonomia della scelta, ma lo scatto morale nell'attuarla rimase impastoiato in quelle mille prudenze che prepararono il terreno alla normalizzazione inevitabile…
SCARPINATO: Mah, io direi che il nodo fondamentale resta il rapporto della Chiesa col potere.
È lì il punto. È dai tempi dell'imperatore Costantino che c'è questo patto col potere. E come diceva Fabrizio De André non ci sono poteri buoni.
Lo spazio tra Dio e l'uomo è stato spesso sequestrato dal potere, nel corso della storia. Ed è uno spazio di cui è difficile riappropriarsi. Questo potere può essere normalizzatore, può essere repressivo, può essere un potere di una astuzia millenaria che consente a ciascuno di avere il suo Dio: una forma di relativismo etico all'interno della Chiesa cattolica che può consentire di convivere con il delitto, con la violenza, con la mafia.
In una intercettazione abbiamo captato una conversazione di una moglie di un capomafia; a questa donna un altro mafioso comunicava che tizio, pure appartenente a Cosa Nostra, era entrato in una profonda crisi e che forse c'era il pericolo che iniziasse a collaborare. E la moglie del mafioso commentò: lui se si deve pentire si deve pentire dinanzi a Dio e non dinanzi agli uomini.
Cioè, sostanzialmente: lui si deve affidare al mediatore culturale, che evita l'assunzione di responsabilità nei confronti degli altri. Ed è questo il nodo fondamentale. Quando vedo a Palermo vivere e operare sacerdoti e frati che sono contaminati dalla cultura paramafiosa, sacerdoti e frati dell'antimafia e quelli della cosiddetta "palude", e non c'è una scelta netta da parte di chi sta in alto, resto molto perplesso. Perché questa diventa una scelta politica: una scelta di perpetuazione di una Chiesa-potere, che per perpetuarsi non sceglie, e raccoglie consenso da tutti. Mi pare che non si possa da una parte agitare l'icona di Padre Puglisi, come simbolo di tutta la Chiesa, e dall'altro non operare nella quotidianità delle scelte che mettano dinanzi alle loro contraddizioni i preti culturalmente vicini al sentire mafioso.
Questo riguarda anche tutti i cattolici credenti, perché qui nessuno si è mai sentito in colpa, nessuno: né la borghesia mafiosa, né i mafiosi. Ma se non esiste il senso di colpa, e non esiste perché non c'è mai stata contraddizione, allora direi che c'è qualcosa che non ha funzionato e continua a non funzionare nell'ambito della Chiesa cattolica. […]

Per leggere il resto dell’intervista:

http://www.adistaonline.it/?op=articolo&id=15622&PHPSESSID=bc8eb10d182999286f3ed08ecd1a7702

mt

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