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*Impegno dell’Unione per investire in cultura*
23.12.2005
Vittoria Franco è, da poco prima dell’estate, la responsabile Ds per la cultura. Nata in Calabria, è toscana d’adozione. Gentile, riservata, parla senza concedere nulla all’enfasi, ma è pronta a pungere se viene provocata. Accade quando le si ricorda che Sandro Curzi ha dichiarato di vedere poca cultura nei programmi dell’Unione.

“Si vede che Curzi si è distratto - risponde - perché l’attenzione alla cultura è ben presente. E lo posso dire come coordinatrice, in questo campo, del programma dell’Unione. Siamo tutti d’accordo nel voler riportare la cultura al centro dell’attenzione politica. Un primo segnale, se vinceremo le elezioni, sarà quello di riportare il Fus 2007 ai livelli del 2001, cioè a circa 527 milioni di euro. Poi c’impegniamo, nell’arco della legislatura, ad investire in cultura l’1% del bilancio statale. Ma questo è solo un aspetto del problema. Non possiamo dipendere tutti gli anni dalla Finanziaria e dalla conseguente precarietà del Fus, quando lo spettacolo ha bisogno di certezze. Dobbiamo trovare risorse alternative e non suscettibili di oscillazioni. Come Unione abbiamo indicato diverse vie, tra le quali una quota dell’8 per mille da destinare alla cultura, così come una quota delle estrazioni settimanali del lotto e le risorse dell’Arcus. Per noi la cultura è strategica e deve divenire uno dei fattori di sviluppo del Paese. Investendo in cultura si può ottenere un ritorno in termini di coesione sociale, di crescita del senso civico, di sviluppo dei talenti che sono presenti in questo Paese; lo ha ricordato di recente anche il presidente Ciampi”.

Parliamo di cinema: i Ds hanno annunciato una nuova legge.
“Sì, è una riforma molto innovativa, che presenteremo nella prossima legislatura. Vogliamo lasciare al ministero dei Beni e delle Attività Culturali le funzioni di indirizzo e controllo, mentre tutta la gestione delle risorse passa ad un centro nazionale di cinematografia. Le cose cambiano anche per il reperimento delle risorse; prevediamo un prelievo sulle transazioni pubblicitarie delle emittenti televisive, compresa Sky. Alla tv chiediamo, inoltre, un impegno sulla promozione prevedendo una programmazione riservata ai film nazionali ed europei. Altre fonti di finanziamento sono i provider e le compagnie telefoniche, cioè quanti usano i contenuti del cinema. La gestione unitaria di tutte le risorse sarà a cura del centro nazionale. Prevediamo infine una normativa antitrust che sblocchi il duopolio Rai-Mediaset e apra il mercato ad altri interlocutori per ricreare un’industria cinematografica e rimettere in moto energie intellettuali e professionali”.

La Margherita considera il reference system un elemento di moralizzazione nei sistemi di finanziamento al cinema. E voi?
“Sul principio si può discutere, si può correggerlo. Non è sbagliato di per sé ma il punto è che la legge Urbani non ha portato vantaggi al cinema. Anzi, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale che ha censurato parte della legge, i fondi sono stati a lungo bloccati, e questo non ha certo giovato al cinema italiano. Gli stessi produttori indipendenti, che si aspettavano vantaggi, hanno dichiarato che il mercato si è praticamente chiuso il giorno dopo l’approvazione della legge”.

Parliamo di lirica: al recente convegno di Cagliari, il sottosegretario Bono ha affermato che le Fondazioni spendono troppo in stipendi, cachet e allestimenti. Carlo Fontana gli ha risposto che i privati non vengono incoraggiati con adeguate misure fiscali e quindi il problema è politico. Lei cosa pensa?
“E’ un settore importante. Dovremo rimettere le mani sulla legge che istituisce le Fondazioni, approvata nella precedente legislatura. Anche qui, il principio di base è buono: creare una fondazione capace di reperire risorse private. Ma non possiamo nasconderci che non ha prodotto i buoni risultati sperati. Credo che un incentivo fiscale sia uno dei mezzi per correggere il sistema. Dobbiamo però essere consapevoli che il privato in Italia non funziona molto bene e quindi capire come intervenire. E poi bisognerà proseguire sul piano della razionalizzazione delle risorse, cioè vedere dove si può ancora risparmiare sulle spese delle Fondazioni, anche se si sono già fatti passi in avanti. In ogni caso, non bisogna mettere a rischio la qualità delle produzioni, che è il nostro obiettivo principale e che fa di alcuni nostri teatri lirici i più importanti del mondo”.

La prosa continua a mancare di una riforma. Malgrado la proposta Rositani, che giace alla Camera, abbia ricevuto diversi consensi.
“Non è la legge perfetta, ma si può ripartire di lì per arrivare ad una legge quadro che è necessaria. Anche qui, però, il problema è rappresentato dalle risorse che, come ho già detto, non devono essere troppo dipendenti dalla Finanziaria e, quindi, dalle mutevoli contingenze. Dobbiamo poter assicurare al settore innanzitutto la possibilità di fare una programmazione triennale e poi risorse certe, che possono essere attinte dai capitoli che citavo prima: l’8 per mille, i fondi del lotto e quelli di Arcus. Per quanto riguarda Arcus, occorre garantire una logica di maggiore trasparenza nella selezione degli obiettivi. Deve esserci, inoltre, una reale concertazione tra il ministro dei Lavori Pubblici, che oggi esercita ampia discrezionalità su quei fondi, e quello delle Attività Culturali. Bisogna arrivare ad una gestione unitaria di tutte le risorse”.

Il presidente dell’Agis, Francesconi, ha lanciato l’idea di ricostituire il ministero dello Spettacolo e Curzi ha parlato di un unico, grande ministero tra Comunicazione e Cultura.
“Sono ipotesi che potranno essere esaminate. E’ chiaro che il ministero delle Attività Culturali, così com’è stato riformato dal centrodestra, non funziona: è una struttura elefantiaca, burocratizzata, non in grado di interloquire con i territori e con le regioni. Bisognerà snellirlo anche nelle competenze. Ho già fatto l’esempio del cinema, rispetto al quale il ministero dovrebbe conservare solo i compiti di indirizzo e controllo e non di gestione, mentre nel campo dei beni culturali occorrerebbe dare più competenze ai soprintendenti che sono in grado di assicurare una migliore “governance” del territorio”.

Partiti del centrosinistra hanno già avanzato candidature sul ministero, in caso di vittoria elettorale; Rifondazione comunista propone Fuksas o Sanguineti, la Margherita ci vedrebbe bene Rutelli. E i Ds?
“Personalmente, il ministro lo sceglierei sicuramente tra i Ds, sia perché stiamo lavorando a far diventare strategica la cultura (ricordo il nostro recente convegno “Valore cultura”), sia perché abbiamo già dimostrato, con Veltroni e Melandri, di avere persone in grado di ricoprire ottimamente quel ruolo. Lo farebbero con grande passione, competenza e anche capacità di innovazione”.

Al di là delle divisioni di schieramento e dei governi che si sono succeduti, permane il fatto che l’Italia spende per la cultura lo 0,33% del bilancio contro l’1,5 della Francia e percentuali simili di altri paesi europei. E’ la dimostrazione della disattenzione della politica?
“Intanto mi lasci affermare che il governo di centrodestra ha dato un colpo finale a questa politica di progressiva riduzione della spesa, costringendo lo spettacolo al primo sciopero unitario. Però è vero che è diffusa l’opinione che della cultura si possa fare a meno, soprattutto nei momenti di crisi economica. Questo è un modo di pensare che noi, come Unione, vogliamo cambiare perché siamo sul serio convinti che l'investimento in cultura produca ricchezza economica oltre che arricchimento sociale. Per questo ci impegneremo a raggiungere, nel corso della legislatura, un investimento in cultura pari ad almeno l’1% del bilancio dello Stato. E’ scritto nel documento del gruppo cultura dell’Unione, consegnato a Prodi. E Prodi si è detto d’accordo con noi”.

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