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13.01.2006
Abbiamo finito di farci del male? Il documento dei Ds
dice di sì
da www.ilriformista.it
Nel corso di queste ultime settimane di passione, quanti
hanno tentato di ragionare - dall'interno dei Ds - sui passi falsi che
li hanno condotti alle attuali difficoltà , si sono sentiti obiettare: a
chi ti dice che sei un ladro, non puoi rispondere con la proposta di un
convegno sui caratteri del capitalismo italiano; prima respingere
l'aggressione - con la necessaria durezza - poi discutere.
Il fatto è
che, anche in questo caso, la politica dei due tempi è parsa fin
dall'inizio inefficace. Ed è un bene che il documento conclusivo della
Direzione Ds - nelle prime righe - lo affermi esplicitamente: «...
individuare con onestà e umiltà errori e contraddizioni è .... il modo
più giusto per respingere la vergognosa aggressione con cui si tenta la
delegittimazione morale e politica dei Ds e dei suoi dirigenti».
Quindi, ribadito che non c'è «questione morale nei Ds» e che la
politica sporca è insita nel fatto che qualcuno - dipendente pubblico e
quindi dipendente del presidente del Consiglio - fornisce illegalmente
al giornale della famiglia dello stesso presidente mezzi utilizzabili
per colpire l'opposizione, il documento cerca di individuarli, quegli
errori e quelle contraddizioni: è stato giusto «affermare la
legittimità della scelta di Unipol di acquisire Bnl», ma l'attivitÃ
della Banca d'Italia «mossa da logiche protezionistiche», il ruolo
nella scalata «di soggetti radicati prevalentemente nella rendita», gli
«intrecci tra diverse scalate», hanno fatto via via «assumere alla
vicenda contorni molto diversi». E sul loro determinarsi «era
necessario un più tempestivo giudizio politico».
C'è anche un
inequivocabile giudizio sui comportamenti e gli atti dei top-manager di
Unipol che sembrano emergere dalle indagini della magistratura:
«inaccettabili sul piano politico ed etico». Ma è significativo che i
Ds abbiano resistito alla tentazione di individuare in questi
comportamenti l'origine unica - o anche solo fondamentale - dei guai in
cui sono precipitati. Della serie: l'operazione era buona e giusta, dal
punto di vista di Unipol; lo era altrettanto dal nostro, perché forniva
un importante - anche se, ovviamente, non decisivo - contributo a
cambiare l'assetto del capitalismo italiano; gli atti dei due top
manager di Unipol che sono oggetto delle inchieste della magistratura
(per altro compiuti, nell'ipotesi accusatoria, prima della scalata Bnl)
hanno rovinato tutto.
I precisi riferimenti al ruolo di Fazio, con la
"sua" difesa della italianità delle banche e a quello degli
immobiliaristi, così come la denuncia degli intrecci tra le tre scalate
estive (Antonveneta - Bnl e Rcs) conferiscono all'analisi critica del
documento un carattere assai più strutturale.
Che di questo si tratti,
è confermato dai passi che seguono: «il prevalere - nell'assetto
proprietario e gestionale di molte grandi imprese private dei patti di
sindacato e del controllo tramite "relazioni" tra ristretti gruppi di
protagonisti del sistema finanziario, è una delle fondamentali cause
del carattere asfittico, poco dinamico e poco competitivo del
capitalismo italiano.
L'apertura alla concorrenza e al protagonismo di
nuovi soggetti - la cooperazione, i fondi pensione, il sistema delle
medie imprese, il sistema del risparmio gestito e dei fondi di
investimento, da separare e distinguere dalle banche - costituisce un
primario interesse nazionale.
E' indispensabile un compiuto progetto di
apertura e modernizzazione del sistema e un impegno - in sede nazionale
e comunitaria - nella definizione delle sue nuove regole di
funzionamento».
A sollecitazione "amica" (non cercate di far entrare
qualche nuovo soggetto nel salotto buono, ma datevi un progetto e
definite le regole per un nuovo assetto del capitalismo italiano), i Ds
rispondono con un impegno inequivoco.
Senza ammettere di essersi fatti
prendere dalla «logica dei grimaldelli, se non dei cavalli di Troia»
(il Riformista del 9 gennaio ), e ribadendo di non aver mai davvero
agito e pensato nella logica dell'«abbiamo una banca», si sono
impegnati a dire presto, con tutto il centrosinistra, «abbiamo una
legge bancaria».
La discussione, ovviamente, ha fatto emergere punti di
vista e accentuazioni anche molto diversi, che daranno luogo - come
sempre capita in questi casi e come (forse) questo stesso articolo
dimostra - al tentativo di tirare dalla propria parte questa o quella
formulazione del testo.
Non sopravvaluto questo rischio, semplicemente
perché vedo un'unica frase - «sottovalutate sono state le decisioni e
le contrarietà espresse da più parti sulla strategia e sulle modalitÃ
dell'acquisizione di Bnl da parte di Unipol» - potenzialmente
iscrivibile a quella teoria della mera «ingenuità » dei Ds che considero
politicamente sterile, se non fuorviante.
Alcuni commentatori, infine,
hanno mostrato delusione e sorpresa per la mancanza, nel documento, di
qualsiasi riferimento alla prospettiva del Partito Democratico: un
rilancio di quel progetto e una sua accelerazione - proposti in questi
giorni da Prodi - appaiono infatti a molti (e a chi scrive)
perfettamente coerenti con una strategia di fuoriuscita dei Ds e del
centro-sinistra dalle difficoltà emerse nella vicenda delle opa
bancarie.
Non bisogna tuttavia sottovalutare - e in ogni caso così mi
sono regolato, durante la Direzione - l'importanza di un voto unitario
- diciamo meglio, unanime - sulla questione Unipol-Bnl. Pretendere
l'inserimento del tema del partito democratico nel documento conclusivo
avrebbe costretto le minoranze di Mussi e Salvi a ribadire il loro
dissenso.
E quando c'è da respingere un'offensiva sulla «questione
morale nei Ds»... Preoccupano, semmai, le «indiscrezioni» su frasi di
dirigenti della maggioranza interna ai Ds che - non pronunciate dalla
tribuna, ma sussurrate ai giornalisti - sembrano far tornare la ruota
allo «sfogo» di D'Alema su Repubblica di sabato scorso. Forse non
abbiamo ancora finito di farci del male.
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