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Bilanci, che cosa é cambiato? di Enrico Morando
13.01.2006
Abbiamo finito di farci del male? Il documento dei Ds dice di sì
da www.ilriformista.it

Nel corso di queste ultime settimane di passione, quanti hanno tentato di ragionare - dall'interno dei Ds - sui passi falsi che li hanno condotti alle attuali difficoltà, si sono sentiti obiettare: a chi ti dice che sei un ladro, non puoi rispondere con la proposta di un convegno sui caratteri del capitalismo italiano; prima respingere l'aggressione - con la necessaria durezza - poi discutere.

Il fatto è che, anche in questo caso, la politica dei due tempi è parsa fin dall'inizio inefficace. Ed è un bene che il documento conclusivo della Direzione Ds - nelle prime righe - lo affermi esplicitamente: «... individuare con onestà e umiltà errori e contraddizioni è .... il modo più giusto per respingere la vergognosa aggressione con cui si tenta la delegittimazione morale e politica dei Ds e dei suoi dirigenti».

Quindi, ribadito che non c'è «questione morale nei Ds» e che la politica sporca è insita nel fatto che qualcuno - dipendente pubblico e quindi dipendente del presidente del Consiglio - fornisce illegalmente al giornale della famiglia dello stesso presidente mezzi utilizzabili per colpire l'opposizione, il documento cerca di individuarli, quegli errori e quelle contraddizioni: è stato giusto «affermare la legittimità della scelta di Unipol di acquisire Bnl», ma l'attività della Banca d'Italia «mossa da logiche protezionistiche», il ruolo nella scalata «di soggetti radicati prevalentemente nella rendita», gli «intrecci tra diverse scalate», hanno fatto via via «assumere alla vicenda contorni molto diversi». E sul loro determinarsi «era necessario un più tempestivo giudizio politico».

C'è anche un inequivocabile giudizio sui comportamenti e gli atti dei top-manager di Unipol che sembrano emergere dalle indagini della magistratura: «inaccettabili sul piano politico ed etico». Ma è significativo che i Ds abbiano resistito alla tentazione di individuare in questi comportamenti l'origine unica - o anche solo fondamentale - dei guai in cui sono precipitati. Della serie: l'operazione era buona e giusta, dal punto di vista di Unipol; lo era altrettanto dal nostro, perché forniva un importante - anche se, ovviamente, non decisivo - contributo a cambiare l'assetto del capitalismo italiano; gli atti dei due top manager di Unipol che sono oggetto delle inchieste della magistratura (per altro compiuti, nell'ipotesi accusatoria, prima della scalata Bnl) hanno rovinato tutto.

I precisi riferimenti al ruolo di Fazio, con la "sua" difesa della italianità delle banche e a quello degli immobiliaristi, così come la denuncia degli intrecci tra le tre scalate estive (Antonveneta - Bnl e Rcs) conferiscono all'analisi critica del documento un carattere assai più strutturale.

Che di questo si tratti, è confermato dai passi che seguono: «il prevalere - nell'assetto proprietario e gestionale di molte grandi imprese private dei patti di sindacato e del controllo tramite "relazioni" tra ristretti gruppi di protagonisti del sistema finanziario, è una delle fondamentali cause del carattere asfittico, poco dinamico e poco competitivo del capitalismo italiano.

L'apertura alla concorrenza e al protagonismo di nuovi soggetti - la cooperazione, i fondi pensione, il sistema delle medie imprese, il sistema del risparmio gestito e dei fondi di investimento, da separare e distinguere dalle banche - costituisce un primario interesse nazionale.

E' indispensabile un compiuto progetto di apertura e modernizzazione del sistema e un impegno - in sede nazionale e comunitaria - nella definizione delle sue nuove regole di funzionamento».

A sollecitazione "amica" (non cercate di far entrare qualche nuovo soggetto nel salotto buono, ma datevi un progetto e definite le regole per un nuovo assetto del capitalismo italiano), i Ds rispondono con un impegno inequivoco.

Senza ammettere di essersi fatti prendere dalla «logica dei grimaldelli, se non dei cavalli di Troia» (il Riformista del 9 gennaio ), e ribadendo di non aver mai davvero agito e pensato nella logica dell'«abbiamo una banca», si sono impegnati a dire presto, con tutto il centrosinistra, «abbiamo una legge bancaria».

La discussione, ovviamente, ha fatto emergere punti di vista e accentuazioni anche molto diversi, che daranno luogo - come sempre capita in questi casi e come (forse) questo stesso articolo dimostra - al tentativo di tirare dalla propria parte questa o quella formulazione del testo.

Non sopravvaluto questo rischio, semplicemente perché vedo un'unica frase - «sottovalutate sono state le decisioni e le contrarietà espresse da più parti sulla strategia e sulle modalità dell'acquisizione di Bnl da parte di Unipol» - potenzialmente iscrivibile a quella teoria della mera «ingenuità» dei Ds che considero politicamente sterile, se non fuorviante.

Alcuni commentatori, infine, hanno mostrato delusione e sorpresa per la mancanza, nel documento, di qualsiasi riferimento alla prospettiva del Partito Democratico: un rilancio di quel progetto e una sua accelerazione - proposti in questi giorni da Prodi - appaiono infatti a molti (e a chi scrive) perfettamente coerenti con una strategia di fuoriuscita dei Ds e del centro-sinistra dalle difficoltà emerse nella vicenda delle opa bancarie.

Non bisogna tuttavia sottovalutare - e in ogni caso così mi sono regolato, durante la Direzione - l'importanza di un voto unitario - diciamo meglio, unanime - sulla questione Unipol-Bnl. Pretendere l'inserimento del tema del partito democratico nel documento conclusivo avrebbe costretto le minoranze di Mussi e Salvi a ribadire il loro dissenso.

E quando c'è da respingere un'offensiva sulla «questione morale nei Ds»... Preoccupano, semmai, le «indiscrezioni» su frasi di dirigenti della maggioranza interna ai Ds che - non pronunciate dalla tribuna, ma sussurrate ai giornalisti - sembrano far tornare la ruota allo «sfogo» di D'Alema su Repubblica di sabato scorso. Forse non abbiamo ancora finito di farci del male.

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