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Il folle canto della gratuità
21.01.2006
di Luisito Bianchi (Nato a Vescovato, attualmente svolge funzione di cappellano presso il Monastero di Viboldone. Ha scritto numerosi libri tra cui La messa dell’uomo disarmato, opera di altissimo valore artistico e civile)

Non è che, con la conclusione non poco dolente riguardante le due basiliche innalzate sui corpi di Francesco e Chiara, avessi anch’io chiuso l’utopico e folle impatto che ebbi quest’anno, imprevisto e imprevedibile, col binomio Francesco-Chiara. Sarebbe stato come ammettere che il potere, in qualunque modo si manifesti, abbia sempre l’ultima parola e l’u-topia, una volta dimostratasi un non-luogo secondo il significato etimologico del termine, avesse esaurito la sua forza e la sua spinta a essere realizzata. Avrei, in un certo senso, rinnegato anche certi aspetti della mia storia che risentivano di tale utopia, come dissi nella riflessione precedente.
Riprendo allora il tema per sottolineare alcuni momenti di questo impatto che mi colpirono particolarmente e che possono spiegare, se non proprio giustificare, una paradossale conseguenza. È evidente che io non posso togliere o aggiungere nulla alla conoscenza del folle e utopico binomio. Si tratta solo di moti del cuore, di dolcezza, di tenerezza, di riconoscenza e di orgoglio di appartenenza a una umanità che ha saputo esprimere tanta bellezza. E che i dotti frati che passarono la vita a raccogliere e a interpretare documenti sulla mirabile coppia mi perdonino se entro di straforo in un campo che richiede ben altre attrezzature delle mie e che spetta a loro, in primo luogo, per diritto ereditario.
Leggo che nel 1220 Francesco, dopo un anno passato in Terra Santa coi crociati, rientrò deluso in Italia, allarmato dalle voci di dissensi che serpeggiavano fra i suoi frati. È un fatto che, qualche mese dopo, Francesco rinuncia al governo dell’Ordine e nomina un vicario. I contrasti riguardano il modo di vivere la radicalità evangelica della povertà, non solo personale ma anche comunitaria: una comunità di frati non avrebbe mai potuto possedere. Per Chiara e le sue sorelle questa posizione di «altissima povertà» era un dato talmente acquisito da farle chiedere e ottenere nel 1217, da Innocenzo III, a difesa inespugnabile secondo lei, una bolla d’approvazione, a modo di privilegio. Questo modo d’intendere la povertà radicale era lo stesso che Francesco aveva scelto, secondo la testimonianza di Chiara nel suo Testamento, «per sé e per i suoi frati… né mai, finché visse, se ne allontanò in nessuna maniera, né con la parola né con la vita». Si notino le date. Chiara inizia la sua vita d’unità con Francesco, da farne un solo sentire, nel 1212, quando aveva 18 anni, senza una regola scritta, ma solo con una forma vitae data da Francesco stesso. Sarà compito di Chiara scriverne una dove, naturalmente, inserire questo privilegio della «altissima povertà». Ma sarà proprio questo punto a suscitare l’opposizione della curia, giacché un tipo simile di povertà usciva da ogni schema precedente e da ogni controllo da parte dell’istituzione. Magnifica Chiara!Potrete leggere la continuazione nel numero di gennaio in edicola oppure chiedercela mediante e-mail al seguente indirizzo: redazione@viator.it

Fonte: http://www.viator.it/HTML/teologia.html

mt

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