27.01.2006
Dal Brasile un libro che raccoglie le denunce di ex membri dell’Opera
BRASILIA-ADISTA. Rigido indottrinamento, pressioni psicologiche, rinuncia a qualsiasi iniziativa personale, controlli incessanti su ogni attività della vita, obbedienza cieca, autoflagellazione: questi e altri sono gli ingredienti della vita all'ombra dell'Opus Dei, secondo il racconto che, per la prima volta in Brasile, ne fanno tre ex membri della Prelatura - il professore ordinario di Filosofia e Storia dellall'Università di São Paulo Jean Lauand, il giudice Marcio Fernandes da Silva e il cardiologo Dario Fortes Ferreira - in un libro, lanciato alla fine di ottobre, dal titolo Opus Dei - Os bastidores (Dietro le quinte). Gli stessi ingredienti che si incontrano nelle tante testimonianze raccolte da un sito - www.opuslivre.org - destinato proprio, come si legge nell'home page, a chi vuole uscire dall'Opus Dei o ha dubbi se entrare, o è stato membro dell'Opera e ha bisogno di aiuto, o cerca informazioni, o ha figli che frequentano un centro o collegio dell'istituzione (con un interessante avviso: "se questo sito scomparirà ‘miracolosamente', o smetterà di funzionare ‘miracolosamente', pensate alla ‘santa intransigenza' (…) e ai santi tentacoli. Di fronte a tali ‘miracoli', ne apriremo un altro"). "Dopo aver scoperto di essere stati manipolati per anni - spiega Lauand in un'intervista rilasciata alla rivista brasiliana Epoca - abbiamo lasciato l'Opera con un grande senso di colpa, con problemi psicologici. Gli ex membri sono trattati come morti. Fotografie e registri sono soppressi dagli archivi. Il loro nome non può essere citato. Abbiamo creato il sito perché le persone potessero incontrarsi e scambiare esperienze. A un certo punto, pensammo di fermarci. Allora Dario ha detto: ‘non voglio che i miei figli siano ingannati dall'Opus Dei per mancanza di informazioni'. Abbiamo raccolto 150 testimonianze. Il libro è stato pronto in sei mesi". Lauand ha militato nell'Opus Dei per 35 anni, dai 16 ai 51. Quando, due anni fa, è uscito, aveva donato all'istituzione un milione di reais (più di 300mila euro). Negli anni della sua appartenenza all'Opus, per due ore al giorno indossava il cilicio; una volta a settimana si autoflagellava con una frusta mentre recitava il salve-regina. Ma, al di là di tali pratiche, la vita di un numerario dell'Opera (di chi, cioè, vive nelle residenze della Prelatura, fa voto di celibato e dona beni all'istituzione) è segnata da innumerevoli regole e divieti: di viaggiare, uscire di notte, avere il cellulare, giocare a scacchi, leggere determinati autori ecc. E dall'obbligo di consultare i superiori su tutto, persino su una visita ai familiari. Non a caso, il libro pubblica la lettera dei genitori di un numerario che ringraziano ironicamente l'Opus per la distruzione della loro famiglia, che prima "era felice, normale e cattolica". Frequenti tra i numerari, secondo gli autori, anche disturbi psicologici e sintomi depressivi, conseguenti al tipo di vita condotto dai membri dell'istituzione: una vita, si legge nel libro, "in cui ‘non esistono piccole disobbedienze' e non esiste neppure una vita propriamente individuale". Perché "i direttori assumono, di fronte al numerario, una dignità divina. I direttori devono essere obbediti senza batter ciglio, e quelli che obbediscono dovranno dire che obbediscono perché volevano e vogliono obbedire sempre". È quanto emerge, per esempio, da una delle testimonianze presenti nel sito e raccolte dal libro, quella di Marcio Fernandes da Silva, di cui qui di seguito riportiamo ampi stralci in una nostra traduzione dal portoghese. (claudia fanti)
Fonte: http://www.adistaonline.it/?op=articolo&id=16429&PHPSESSID=8e58e8097e95d1c20bfc0e59f5091a23
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