21.06.2003
 Carissimi, nelle ultime settimane mi è capitato di pensare "Speriamo che sia femmina". Così, senza motivo. O forse perchè il destino delle donne afgane ci appassiona dal giorno in cui siamo entrati nel loro Paese, molti anni prima che una guerra "umanitaria" ne approfittasse con l'alibi di "liberarle dal burqua", mentre le rendeva vedove. Avevamo dato loro lavoro nei nostri ospedali, anche sotto il regime talebano, e avviato programmi sociali per il sostentamento delle più disperatamente povere. Una goccia nel mare, ovviamente. Ma si può fare molto di più. Ad esempio aiutarle nel portare a termine gravidanze e parti altamente a rischio, come dicono le statistiche. Perciò abbiamo costruito il Centro Maternità ad Anobah, nella Valle del Panshir, e mandato le nostre ostetriche nei villaggi dove non è mai arrivata l'assistenza sanitaria. "Speriamo che sia femmina", pensavo aspettando la notizia del primo parto. E infatti così è stato. E' nata la figlia di Bibi Gulam, di cui non sappiamo dirvi il nome perchè è tradizione in Afganistan decidere il nome del neonato almeno una settimana dopo il lieto evento. D'ora in poi le donne del Panshir potranno partorire in un ambiente protetto, come aveva voluto fare qualche settimana fa Zulai Kha. Il Centro Maternità non era ancora pronto ma lei è venuta da molto lontano a farsi ricoverare nell'ospedale di Emergency. Abbiamo subito capito le sue ragioni. Ha 40 anni, al secondo parto, il primo bambino era nato 20 anni fa e morto poco dopo. Questo bimbo prezioso non doveva correre rischi. Finalmente vi passiamo una notizia tutta improntata alla speranza e all'ottimismo. Grazie al popolo di Emergency, che rende possibile tutto ciò. Grazie alle nonne, ai genitori, agli zii che da oggi, letteralmente, aggiungono un posto a tavola.
Teresa Sarti
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