6.02.2006
Comicoterapia nelle carceri e nei centri psichiatrici: l’ultima sfida di Lucia Vasini. Intervista di Anna Ceravolo per Viator
Non ha mai avuto vezzi da primadonna né pose da star. Sebbene abbia vissuto da protagonista una stagione memorabile del teatro milanese. Invece ora Lucia Vasini sta studiando gli effetti benefici del teatro sul disagio psichico, senza tralasciare i suoi impegni in palcoscenico. Da qualche stagione sei in scena con “Tutta casa, letto e chiesa” scritto da Dario Fo e Franca Rame negli anni ’70 dove interpreti una casalinga agli albori del femminismo. Ma oggi, per le donne, la situazione è davvero cambiata? Non granché. Credo che nelle grandi città e per la media, alta borghesia quel personaggio sia un ricordo d’altri tempi, mentre è ancora attuale in certe zone d’Italia, come anche per quanto riguarda la situazione di molte donne extracomunitarie. Cosa pensi delle quote rosa in Parlamento? Mi sembra assurdo che occorra una legge perché ci siano più donne in Parlamento, è come iniziare a costruire una casa dall’arredamento e non dalle fondamenta. Sicuramente sta a dimostrare che la situazione non è rosea. Però se non cambia profondamente l’essere umano, con misure del genere si rischia solo una ghettizzazione maggiore. “Gli amici di Lucia” è una rassegna teatrale che si terrà a Milano a marzo. Di che si tratta? La mia compagnia Te quiero presenterà uno spettacolo sul Rwanda con Elisa Canfora e un altro sui desaparecido. Ma non posso dirti di più, il programma non è ancora definito. Come è nata la compagnia? È formata da persone che hanno frequentato i miei corsi. Come sempre succede, all’inizio erano una cinquantina, ora sono rimasti solo i più motivati. L’anno scorso ho lavorato tutte le sere con loro per prepararli, oggi mi piacerebbe che fossero indipendenti.
Avete anche lavorato in carcere. La compagnia è indirizzata al sociale. All’interno del carcere di Bollate abbiamo tenuto un laboratorio teatrale. L’impatto è stato traumatico perché quando entri nell’ambiente carcerario sei carico di tutti i tuoi pregiudizi. Poi il teatro riesce a creare dei rapporti di fiducia, per cui capisci che non ci sono barriere. Sempre in carcere, abbiamo organizzato due serate con tutti i detenuti al completo. Li ho fatti partecipare all’animazione, cantare, il che aveva più senso che proporgli un nostro spettacolo e basta. È stato faticosissimo, ma per loro un grande regalo. E poi c’è la comicoterapia. Sì, un’attività che svolgo insieme a Marisa Miritello e che mi sta coinvolgendo più di ogni altra cosa. Tre anni fa, Anna Maria Fumusa, una psicoterapeuta dell’associazione Il Centro di Cinisello Balsamo, ha pensato di utilizzare il teatro come pratica terapeutica. I risultati sono sorprendenti. La comicoterapia è rivolta a persone in analisi, che sono perlopiù donne e perlopiù colpite da depressione. Attualmente stiamo lavorando con due gruppi, uno appena costituito e uno che ci segue dall’inizio. Partiamo da una problematica di base, quest’anno la paura dell’altro, e la affrontiamo da un punto di vista comico.
Potrete leggere la continuazione nel numero di gennaio in edicola oppure chiedercela mediante e-mail al seguente indirizzo: redazione@viator.it
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