21.06.2003
Stefano Ceccanti è docente di Diritto costituzionale comparato all’Università di Bologna. Ed è tra i quaranta giuristi che hanno sottoscritto un appello per chiedere a Ciampi di non firmare il «lodo Schifani», che prevede la sospensione dei processi a carico delle più alte cariche dello Stato. Secondo il presidente del Consiglio Berlusconi con questo provvedimento l’Italia si è messa in linea con gli altri paesi europei.
Professor Ceccanti, è effettivamente così? «In realtà no. Garanzie di questo tipo, nei paesi dove esistono, riguardano soprattutto il capo dello Stato, non i capi di governo». Secondo Maccanico, autore del lodo originario, la nostra Carta conterrebbe comunque potenziali conflitti da risolvere... «Questo è vero: da una parte la nostra Costituzione riconosce con forza l’autonomia e l’indipendenza della magistratura (art. 104) e l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112); dall’altra viene sottolineato in modo altrettanto forte la sovranità popolare (art. 1). Quindi è vero che c’è il rischio che le due cose entrino in conflitto. Ma come si può pensare che uno scontro tra due principi della Costituzione possa essere risolto, quasi di soppiatto, con una legge ordinaria?». Ci sono a suo giudizio altre anomalie che interessano questo provvedimento? «Anomalie? Paradossi, piuttosto. Nella Costituzione, agli articoli 90 e 96, viene già posto il problema dei reati cosiddetti ministeriali, quelli cioè che i ministri compiono nell’esercizio delle loro funzioni. Questi reati sono perseguibili previa autorizzazione delle Camere». Quale sarebbe il paradosso? «Dopo l’approvazione di questo provvedimento i reati ministeriali sono protetti peggio di quelli, che so, di omicidio, furto e cose del genere». Può spiegare meglio? «Facile: se uno commette un reato ministeriale può essere perseguito (certo con il passaggio attraverso il Parlamento, perché la Costituzione vuole rispettare la sovranità popolare, vuole impedire che sia abbattuto per via giudiziaria un capo di Stato, o di governo o anche un ministro per attività legate al suo mandato). Viceversa, per i reati compiuti prima, che non c’entrano nulla col mandato, non si può procedere. Se non è paradossale questo...». Questi giudizi sono condivisi tra i giuristi? «Un’ampia maggioranza dei costituzionalisti ha giudicato incostituzionale questo provvedimento. Ci sono state alcune rare eccezioni, come i professori Casavola e Vassalli. Però questa è una delle rare volte in cui c’è un così ampio accordo». Ampio accordo tra i costituzionalisti... L’opposizione sembra in buona compagnia nel contestare questa legge. «È importante però non eccedere. Lo dico nei confronti delle reazioni dell’opposizione. E primo, non eccedere nei confronti del Quirinale». Scusi, ma lei non è tra i quaranta costituzionalisti che hanno chiesto a Ciampi di non firmare? «Sì, e ognuno di noi che ha sottoscritto quel documento se fosse al Quirinale non firmerebbe quella legge. Però so anche che il presidente, trovandosi di fronte a una larga maggioranza ma non all’unanimità degli studiosi, può anche ritenere doveroso firmarla, sapendo che poi ci sarà il giudizio della Corte costituzionale». Sta dicendo che sarebbe meglio non tirare giacche? «Dico: si stia attenti a non eccedere in idee peregrine, come fare girotondi attorno al Quirinale e cose del genere. Se il capo dello Stato firma, non è perché pensa sia una buona legge o perché pensa a priori che i dubbi sollevati siano infondati. Semplicemente, ritiene che spetta alla Corte costituzionale dare quel tipo di giudizio. Insisto, chi di noi pensa che il presidente non debba firmare fa benissimo a dirlo, e lo abbiamo detto anche noi. Però bisogna rispettare anche il fatto che la valutazione del Quirinale possa essere diversa». E dell’idea di alcuni esponenti del centrosinistra di promuovere un referendum abrogativo di questa legge, che ne pensa? «Se pensiamo che sia incostituzionale lasciamo che si pronunci la Corte. È illogico dire: la legge è incostituzionale, facciamo il referendum. Contro le leggi incostituzionali si propongono i ricorsi alla Consulta. I referendum si fanno invece contro leggi costituzionali, ma di cui non si condividono i contenuti». Ma il pronunciamento della Corte costituzionale dopo quanto tempo arriverebbe? «La Corte ha una certa sovranità su come impostare i suoi lavori, quindi potrebbe metterci alcune settimane o alcuni mesi». Sicuramente ha tempi più brevi dello svolgimento del referendum. «Sì, ma non della raccolta delle firme, che si può fare fino al 30 settembre. Il che vuol dire che la raccolta delle firme potrebbe assumere il significato assolutamente antipatico di una sorta di pressione sulla Corte. Quindi, niente vieta di fare il referendum l’anno prossimo. Ma finché è pendente la causa di fronte alla Corte è meglio evitare qualsiasi iniziativa». La Corte potrebbe anche decidere entro il semestre? «Perché no? Tutti stanno dando per supposto che decida dopo, però non è detto. Potrebbe anche farlo, che so, entro novembre. E la maggioranza otterrebbe il brillante risultato di essere sconfessata durante il semestre di presidenza europeo».
da www.unita.it
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