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Un appuntamento con la storia di G.Frazzica
18.02.2006

UN APPUNTAMENTO CON LA STORIA
di Giovanni Frazzica

Il nuovo secolo è incominciato ormai da 6 anni, ma è come se nulla fosse cambiato. Il “secolo breve”, il secolo delle guerre mondiali e dell’olocausto, ha forse chiesto una proroga di mandato? Quanti anni si prenderà? Dieci, venti, chi può saperlo, e soprattutto chi può accorgersene. Ci sarà un giorno in cui un analista, uno storico o qualcuno autorevole, che comunque se ne intende, certificherà che la nuova svolta è avvenuta a seguito di quella scoperta scientifica, o di una particolare innovazione tecnologica o di un evento politico, un po’ come avvenne con la scoperta della polvere da sparo o con la rivoluzione francese.
Io amerei che l’inizio di questa nuova era di modernità e di progresso, di cui siamo in attesa, non venisse contrassegnato da qualche modello straordinario di telefonino, ma da una svolta politica, da uno di quei cambiamenti di tendenza che riescono a incarnare le nuove esigenze della gente e, qualunque sia il luogo in cui si realizzano, sono capaci di portare un contagio, di generare degli effetti emulativi, dei moltiplicatori, superando i confini degli stati, le barriere delle consuetudini e delle culture della conservazione.
E dopo, dopo nulla sarà più come prima. E non penso, credetemi, ad una rivoluzione convenzionale, ad un plateale cambio di bandiere sui pennoni di edifici pubblici, né ad eventi televisivi con sottofondi musicali. Penso ad un cambio di mentalità, a un enorme processo interiore collettivo che faccia maturare le coscienze e che le porti ad agire in maniera diversa da come facevano prima, orientandole, attraverso un binario invisibile, verso una finalità accettata.
Sempre più spesso ci accorgiamo infatti che, anche nel momento in cui sembriamo più lucidi, ci muoviamo per obiettivi, raggiunti o falliti i quali, si ricomincia da capo. E come se all’agire sociale mancasse la coesione, una finalità alta, qualcosa di diverso dagli stessi consueti programmi, che, spesso, non sono altro che la sommatoria di diversi obiettivi.
Messe in crisi le ideologie, l’uomo ha comunque bisogno di guardare lontano, verso una finalità strategica, di vedere il suo futuro proiettato in una prospettiva più elevata rispetto all’orizzonte visibile.
In questo momento, grazie anche ai supporti che la scienza e la cultura sono in grado di fornirci, sappiamo abbastanza bene chi siamo e da dove veniamo. Non altrettanto bene sappiamo dove stiamo andando, atteso che stiamo andando da qualche parte e che, invece, non ci scopriamo fermi in un bivacco di durata biblica.
Il dinamismo che oggi attraversa e pervade l’umanità appare prevalentemente di tipo economico, finanziario, tecnologico, scientifico e militare.
Di più tenue potenza appaiono invece i fremiti che attraversano la sfera sociale, politica, filosofica e morale.
Ma sono proprio questi gli ambiti in cui maturano i cambiamenti più profondi, più autentici, quelli che determinano le svolte, che mettono in movimento le masse.
Se siamo nella coda del vecchio secolo, difficilmente possiamo sperare che si materializzi un nuovo Gandhi, un Luther King o un’atra suor Teresa. Ma, al di là del calcolo delle probabilità, nulla ci impedisce di sperare e di sognare, soprattutto in relazione agli spazi del nostro vivere quotidiano.
Questo appuntamento con la Storia, nel mio sognare da siciliano, io lo immagino così: senza clamori, senza ostentazione, in tanti che ci muoviamo verso un unico punto, con lo stesso sguardo carico di speranza e di fiducia, predisposti a sentire la parola nuova che ci aiuti a tirar fuori le cose che già sentiamo dentro e che vogliono manifestarsi. Troppe sono state le sofferenze, i silenzi, le colpe e gli errori e troppo incerto appare il futuro, se è la mera proiezione di questo presente.
In effetti sotto la spessa coltre di cenere, che da sempre noi siciliani usiamo per coprire i sentimenti veri, sotto l’apatia e l’indifferenza che ostentiamo per non ammettere che, in realtà, alcune cose, pur volendole, non le possiamo fare, cova un fuoco ardente, un potente bisogno di liberazione. In verità negli ultimi duecento anni ci hanno “liberati” due volte. Garibaldini e americani sono venuti con le armi in pugno e hanno cacciato i vecchi governanti, ma non ci hanno liberati da noi stessi, o per meglio dire, non ci hanno liberati da quel male antico e sottile, da quella mentalità, da quella concezione e interpretazione del potere che, come ormai è evidente a tutti, è solo una zavorra inutile che schiaccia sotto il suo peso le coscienze e l’economia.
Riflettendo su questo elemento della liberazione, tra le tante figure che solcano i mari, spesso inutilmente agitati, della politica siciliana, negli ultimi tempi, una più di altre mi ha dato la sensazione di potere essere nella sintonia giusta con questo tema: Rita Borsellino. Mi ha trasmesso forti emozioni, mi ha fatto sperare, non in Lei in quanto depositaria di dottrine o di culture particolari, ma in Lei come persona assolutamente credibile, dotata di una enorme forza interiore capace di attrarre istintivamente fiducia.
Si dovrebbe evitare che questa preziosa goccia di antidoto, generata dallo stesso organismo avvelenato in un conato di inutile e feroce violenza, possa essere usata come un comune prodotto di consumo elettorale nello scontro in atto tra i Poli.
Considerata la particolarità della Sicilia, l’impegno e la disponibilità di Rita Borsellino dovrebbero essere considerati una risorsa per tutti, perché lei appare alla gente come una guida perfetta per fare superare a tutti, non solo a quelli che vinceranno le elezioni, una condizione di prolungata anomalia, alimentata da mille paure e da un ininterrotto sonno della coscienza.
La Sicilia sente ormai come improcrastinabile il bisogno di risalire la china.
Le migliaia di persone che sono andate a votare Borsellino alle primarie non si sono mosse solo nella speranza di vedere degli atti amministrativi migliori di quelli sin qui prodotti dai precedenti governi, volevano un “esempio vivente” che rappresentasse un cambiamento reale di mentalità e un conseguente agire nelle istituzioni, e nella società.
Quel giorno attorno ai seggi c’era un inebriante e indimenticabile profumo di moralità nell’aria.
E ciò mi fa ritenere che, in questa appendice del secolo vecchio, o in questo vero inizio del nuovo secolo, potremmo forse essere testimoni privilegiati di uno straordinario evento: il popolo siciliano che si rimette in cammino.

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