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Inquinamento, stentano le bonifiche
19.02.2006
In Italia le aree censite come potenzialmente inquinate sono circa 12mila, mentre quelle dove la contaminazione è già accertata sono 4.400. Di queste soltanto il 10% è stato finora bonificato, mentre il 60% è ancora fermo alla fase di caratterizzazione (ovvero all’analisi preliminare) e gli interventi di bonifica sono stati effettivamente avviati solo nel 30% dei casi. Le tecnologie per il recupero dei siti contaminati non mancano, anzi sono sempre più avanzate, ma i costi per la loro applicazione sono ancora troppo elevati e la legislazione in materia non sempre adeguata.
È quanto hanno riferito gli esperti in apertura della Conferenza internazionale sulla bonifica dei siti contaminati Bosicon 2006, in corso fino a domani presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma. L’evento è promosso dal Centro Interuniversitario di Tecnologia e Chimica dell'Ambiente (C.I.T.C.A.) con il supporto del Ministero dell'Ambiente e il patrocinio della Presidenza della Camera dei Deputati. Le cifre delle aree inquinate (fornite dall’Apat, l’Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) si riferiscono al 2004 ma da allora la situazione del risanamento non ha fatto grandi passi avanti. In alcune zone della Penisola, soprattutto quelle ad alta concentrazione industriale, l’allarme resta alto. «Emblematico il caso della Rada di Augusta in Sicilia - afferma il professor Carlo Merli, direttore del C.I.T.C.A. - dove è accertato che le concentrazioni di mercurio sono 1.000 volte superiori ai limiti ambientali».
A rischio anche la situazione dei 50 siti di interesse nazionale (Sin) su cui ha competenza il Ministero dell’Ambiente: corrispondono a circa il 2% dell’intero territorio nazionale e sono prevalentemente aree industriali utilizzate per produzioni petrolifere, petrolchimiche o minerometallurgiche, da Manfredonia a Porto Marghera, da Napoli Orientale a Taranto.
Ma chi paga per il danno ambientale? «Il decreto 471/99 stabilisce l’obbligo di bonifica per il soggetto che ha provocato l’inquinamento - prosegue il professor Merli - In alcuni casi le responsabilità sono certe, ma in presenza di una contaminazione generalizzata, come per esempio nel Golfo di La Spezia, non è possibile risalire al diretto responsabile, perché le attività industriali nell’area sono molteplici e la contaminazione è presente da anni. Dunque gli interventi di risanamento ricadono sulle casse dello Stato».
Gli esperti parlano di almeno 2.800 milioni di euro necessari al completamento delle principali attività di bonifica a livello nazionale, ma i fondi sinora stanziati dalla Pubblica Amministrazione ammontano a circa 550 milioni di euro.

Fonte: http://www.lanuovaecologia.it/inquinamento/acqua/5381.php

mt

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