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Movimenti e politica
17.03.2006

La diffusione in tutto il paese di movimenti no-qualcosa (no-tav, no-mose, no-ponte, ecc.) è solo l’ultimo sintomo - però molto grave - della crisi della democrazia parlamentare in Italia. Non è consolante sapere che questa crisi coinvolge gran parte del mondo occidentale.

La politica tradizionale dei partiti, nonostante la corruzione, l’inefficienza e l’ipocrisia, in qualche misura è riuscita a rappresentare per una lunga fase storica la volontà degli elettori. Oggi cresce la sensazione (o la consapevolezza...) di non essere rappresentati, e con essa l’astensione.

La collusione tra il personale politico nel suo insieme e il mondo dei manager, dei consulenti, dei professionisti, ecc. è giunta ad un livello insopportabile per i lavoratori ed i cittadini più deboli. La corsa bipartisan all’elettorato di centro nasconde un atteggiamento che considera normale e magari utile l’esclusione dall’area elettorale di quelle fasce di elettori che sono portatori di richieste contrarie agli interessi del personale politico e dei privilegi dei grandi gruppi imprenditoriali. Questo è chiaro nelle parole di Lunardi quando dice che la Val Susa - dove ci sono già stati molti voti Notav alle provinciali, più gli astenuti - è solo un problema di ordine pubblico. Ma ce ne sono molti indizi anche nel centro sinistra: lo smaccato centrismo di Rutelli e D’Alema, la corsa a recuperare l’Udeur e i socialisti-radicali e la fretta con cui lo stesso Prodi dopo le elezioni regionali revocò le primarie nazionali. E le primarie in Puglia e in Sicilia sono avvenute nonostante i partiti e non grazie ad essi. Ciliegia sulla torta: “Il tav si farà perché lo decido io”.

Tuttavia, lasciando da parte il tradizionale qualunquismo italiota, non è il caso di compiacerci di questa fine della politica dei partiti, annunciata e ri-annunciata in Italia da oltre trent’anni. Dobbiamo invece renderci conto che la politica è una delle cose che ci hanno rubato, da cui ci hanno escluso. E il furto rischia presto di assumere dimensioni anche più grandi. La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum quest’anno rischia infatti di rafforzare l’esecutivo (e il primo ministro) a danno del ruolo del parlamento e dell’opposizione, e di indebolire l’indipendenza della Corte Costituzionale. Insieme ad una serie di legge sulla magistratura, sui media, sulle rogatorie internazionali, sulla responsabilità per il falso in bilancio, ecc. farà massa critica al punto di trasformare la nostra repubblica democratica in un regime populistico mediatico e plebiscitario, in cui sarà molto difficile svolgere una critica indipendente e diffonderla efficacemente.

In questo senso sono validi e urgenti gli appelli al voto come quello di Umberto Eco (Salviamo la democrazia, pubblicato inizialmente dal sito Libertàgiustizia) e di Renato Solmi (Elezioni e costituzione, appena apparso anche in Fuoriregistro del didaweb): nonostante la sua insensibilità alla nostra voce di elettori, l’Unione per lo meno è contraria a quella trasformazione istituzionale che renderebbe il governo ancora più impermeabile ai controlli e toglierebbe ancora più voce alla società civile. Tuttavia i cittadini liberi, i lavoratori organizzati, i movimenti-no e le associazioni democratiche della società civile devono uscire dalla linea puramente difensiva dell’opposizione alla lacerazione della costituzione, alla devastazione del territorio, allo spreco e al furto delle risorse, ecc. Seguendo l’esempio delle associazioni di insegnanti, genitori e studenti che hanno promosso dal basso una legge sulla scuola, possono tentare la via delle leggi di iniziativa popolare. Questo è solo un modo per piazzare un piede nel piatto della politica senza rinunciare alla propria indipendenza - anche se spero che ci siano altri modi più efficaci che al momento non riesco a immaginare.

I movimenti Notav, NoPonte, NoMose, ecc., le associazioni ambientaliste, le asso-ciazioni che lottano contro la mafia o contro il degrado ambientale (come Libera o Legambiente) sono oggi in grado di esercitare una significativa pressione sull’Unione. C’è oggi una diffusa coscienza, grazie anche agli interventi di Cicconi, di Travaglio, di Barba-cetto e di altri intellettuali e giornalisti, e anturalmente grazie alle agitazioni della Val di Susa, del significato della “legge obiettivo” di Lunardi. Essa ha portato alla perfezione una legislazione ed una prassi precedenti, e ha fatto del suo meglio per porre le grandi opere fuori dal controllo sia dei tecnici indipendenti che dei cittadini comuni e delle amministrazioni locali.

Cicconi ha mostrato come le grandi opere in mano a general contractor, già prima di Lunardi e ancor di più dopo il suo avvento, hanno avuto un aumento fuori controllo dei tempi e dei costi. Come egli ci racconta, l’idea di un general contractor privato, che si occupi anche del reperimento dei fondi necessari, è stata introdotta già dal geniale Cirino Pomicino, ispirandosi ad una prassi diffusa in Europa da quando c’è la priorità della riduzione della spesa pubblica. La mega-impresa privata che ottiene l’appalto è interessata a trovare i fondi e a costruire al meglio e nel tempo più breve possibile la grande opera perché il suo profitto deriva - in una percentuale significativa - dalla gestione per un certo numero di anni dell’opera stessa: più presto e meglio l’opera sarà condotta a termine, prima e in maggior quantità arriveranno i profitti. È proprio la clausola della gestione che attenua l’inconveniente della drastica riduzione della concorrenza che deriva da una mega-gara d’appalto a cui possono partecipare di fatto solo un ridottissimo numero di mega-imprese.

A Pomicino e ai governi a cavallo degli anni ottanta e novanta parve forse che tale clausola fosse un gesto di sfiducia eccessiva nei confronti delle nostre buone vecchie imprese nazionali (a cui fu riservato il primo mega-concorso per le tratte tav da Napoli a Milano) e non la vollero. Non la volle neppure Lunardi, che fissò in modo sistematico il principio del general contractor (anche se era ormai inevitabile ammettere la concorrenza europea). E in più, come è forse più noto, diede un taglio al sistema di controllo e di opposizione da parte delle amministrazioni locali e ridimensionò (se non azzerò) l’importanza della Valutazione di Impatto Ambientale. La ciliegia sulla torta è stata la possibilità, in questo quadro, per società di diritto privato, di contrarre debiti (non al tasso del capitale di rischio, ma al tasso bancario ordinario, data la scarsa propensione del mercato a finanziare le opere) garantiti dallo Stato, ma non (ancora) contabilizzati nel suo bilancio. Questi debiti, sia detto per inciso, costituiscono un serio rischio e una dura ipoteca per il nostro bilancio pubblico (cfr. Cicconi, Le grandi opere del Cavaliere, Koiné nuove edizioni, 2004, pp. 84-87).

Come si vede, si tratta di temi assai gravi e complessi, in cui la competenza degli intellettuali e dei tecnici indipendenti, gli interessi legittimi delle istituzioni locali e la forza e la sensibilità dei movimenti dovrebbero incontrarsi per dar vita ad una politica a-partisan di tipo nuovo e per incalzare i politici dell’Unione.Una legge popolare sulla trasparenza degli appalti e sulle opere pubbliche è necessaria ed urgente. Certo, tale legge potrà essere ignorata, oppure stravolta, dal parlamento e, una volta passata, potrà essere elusa dai regolamenti applicativi. Come sempre finora, non si tratta di cercare la vittoria campale nella battaglia decisiva. Quello che un’iniziativa per una legge popolare di quel tipo, adeguatamente supportata, può fare è (speriamo):

- imporre, con adeguate pressioni, l’agenda della discussione ai media e al parlamento
- proporre un obiettivo positivo comune ai movimenti-no nazionali, cosa che li aiuterebbe ad uscire dall’isolamento in cui i media allineati cercano di chiuderli
- incoraggiare gli intellettuali indipendenti a unirsi in un “comitato per la legge popolare su appalti e lavori pubblici” che dia uno sbocco pratico alle loro critiche (diventate ormai cultura del movimento),
- consolidare un’alleanza con grosse associazioni come Legambiente, Libera o l’Arci, contrarie alla legge Lunardi, e con comuni, comunità montane e varie istituzioni locali nel paese.

In caso di vittoria del centro sinistra, dobbiamo provare a imporre la riscrittura da zero di tale legge, della quale, non dimentichiamolo, non si parla esplicitamente nel programma dell’Unione.

Federico Repetto

Fonte: http://www.girodivite.it/Movimenti-e-politica-per-una-legge.html

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