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Torino 21 marzo 2006
18.03.2006
11a giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie

Roma, Niscemi, Reggio Calabria, Corleone, Casarano, Torre Annunziata, Nuoro, Modena, Gela, ancora Roma. E quest’anno Torino. Quasi una via crucis, con stazioni di sofferenze, ma dove il dolore sa anche costruire speranza e promettere nuovo inizio, essere lievito di assunzione di responsabilità, partecipazione e testi­monianza. Portatore di pace. Ma dunque, prima, di memoria e di verità.

La Giornata dell’impegno e della memoria, ospitata questo 21 marzo nel capoluogo piemontese, in certo senso è una “carovana”: perché percorre l’Italia, anno dopo anno, città dopo città, per ricordare e ricordarci la lunga schiera di nomi, il tragico elenco di vite spezzate dalle mafie e dalla criminalità; ma “karavan” anche perché presuppone lo stare assieme, si fonda su sen­sibilità e obiettivi che accomunano. Su una cultura tesa a unire, a ricucire ferite e lacerazioni, nella verità e nella chiarezza. Indirettamente e così indicando i rischi connessi all’enfatizzazione dell’individualismo, della competizione, dell’arrivismo. Di quell’egoismo pre­potente esibito e anzi urlato che troppo spesso viene proposto ai giovani, da certa televisione e certa politica, come modello, come obiettivo cui tendere. E che, in certi casi e in determinati contesti, si traduce nell’in­cultura mafiosa della sopraffazione violenta.

Solo camminando insieme, invece, possiamo traversa­re il deserto per sfuggire all’ingiustizia e fondare una nuova città, una comunità dell’uomo e per l’uomo. Lo diciamo con pazienza e perseveranza da molti anni, nelle scuole, nelle nostre associazioni, sul territorio. Lo diciamo, da 11 anni, in questa giornata simbolica ma viva e rivolta al futuro che è il 21 marzo: insieme, per la legalità, la democrazia, la solidarietà, la re­sponsabilità di una buona e nuova politica. Insieme, con il dovere della memoria da trasmettere alle nuove generazioni e da assolvere noi stessi, senza retorica ma senza rimozioni. Il 21 marzo, come in ogni altro giorno dell’anno, perché legalità, solidarietà e giustizia non possono essere “usate”, ridotte a parole da pro­nunciare dai palchi, né confinate in un angolo. Perché l’una senza le altre risulta monca e sterile, comodo e ipocrita paravento.

Solo l’alleanza tra gli uomini e le donne di buona vo­lontà, che operano con coerenza, che tengono stretta­mente unite le parole e i comportamenti, può erigere fondamenta robuste che sostengano la casa comune, la società in cui tutti viviamo e che vorremmo vedere

più attenta e capace di sostenere chi fa fatica, gli ultimi della fila, le vittime della violenza e dell’ingiustizia.

Perciò il 21 marzo siamo a Torino in un momento che non vuole essere ricorrenza, ma presenza, non manifestazione bensì testimonianza. Un momento vero e pieno, fatto di parole ma anche del silenzio della commozione, di istituzioni ma pure e soprattutto di cittadini. Che hanno imparato a partecipare, che sanno e vogliono agire in prima persona. E vogliono farlo insieme.

Sono 11 gli anni di vita di questa manifestazione, voluta da “Libera” e da “Avviso pubblico”, ma che è riuscita a diventare momento condiviso da molti, oltre i prota­gonismi, le sigle, le appartenenze o le etichette. Un fatto corale, dove ogni voce è importante e trova il suo posto, dove ogni tonalità si intreccia alle altre sino a comporre un insieme armonico, che è assai più forte, alto e resistente delle singole componenti.

È questa, del resto, l’ispirazione originaria di “Libera”: fare rete, costruire alleanze, lavorare insieme, essere uniti. Società e istituzioni, giovani e adulti, insegnanti e studenti, associazioni e politica, credenti e laici.

Torino, in qualche modo, è anche fare memoria delle radici.

In questa città sono scolpite le tracce di molti che hanno dato la vita per le loro idee, per i valori della democrazia e della legalità. Dal procuratore Bruno Caccia, ucciso dalle mafie catanesi e cui ora è intitola­to il palazzo di giustizia, al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, fucilato con sua moglie Emanuela a Palermo dai sicari di Cosa nostra.

Saveria Antiochia a Torino è nata, ma è morta a Paler­mo. Nello stesso istante in cui suo figlio Roberto, che faceva da scorta al commissario Cassarà, veniva col­pito dai proiettili mafiosi: quando ti uccidono un figlio sparano anche su di te, diceva spesso la compianta Saveria in questi anni di impegno comune.

Mauro Rostagno nella città della FIAT è cresciuto, per seguire poi la sua strada. Una strada mai diritta ma sempre onesta e generosa; sino a cadere ucciso a Tra­pani, davanti alla sua comunità di Lenzi, dove regalava la sua passione e il suo amore a tanti ragazzi inciam­pati nelle droghe e nelle dipendenze. A Torino, vicino a noi, ancora vivono e lavorano i suoi cari, le figlie, la compagna, la sorella, a tenere salde le radici e le me­morie, rese più sofferte dall’impunità degli assassini.

Al carcere Le Vallette di Torino aveva prestato servizio

Giuseppe Moltalto, agente di polizia penitenziaria poi trasferito all’Ucciardone di Palermo. La mafia lo ha ucciso a Trapani due giorni prima del Natale 1995. Non ha potuto conoscere la seconda delle sue figlie, Ilenia, nata due mesi dopo la sua uccisione.

Ma tanti e troppi sono i nomi di vittime, del Nord come del Mezzogiorno. Nomi magari meno noti ma tutti cari. Tutti saranno ricordati il 21 marzo e tutti sono scritti nelle pagine indelebili dell’impegno per la giustizia e la democrazia, del dovere civico, della testimonianza umana.

A Torino è nata anche una rivista che, da oltre un decennio, supporta la nostra riflessione e accresce la nostra informazione su questi temi. Si chiama “Nar­comafie”: magari è una piccola esperienza, non tutti la conoscono, ma anch’essa è un seme importante, faticosamente coltivato che non manca di frutti.

«Città industriali, città industriose, città giuste» dicono i manifesti di questa Giornata, che è di memoria ma anche e insieme di impegno. Impegno a capire e a cambiare. A capire il cambiamento. E forse Torino è la città che sta cambiando maggiormente. Costretta a trasformazioni repentine e profonde dalla crisi indu­striale e dal superamento dei modelli del Novecento, del monolitismo della “one company town”, della fabbrica madre e matrigna, Torino non ha però perso l’anima e i valori. Ce lo dicono i quartieri che hanno mutato volto, le infrastrutture, le opere, le Olimpiadi, il lavoro che cambia e il territorio che si adegua ma senza rinunciare all’identità, alla antica laboriosità, alla capacità di anticipazione e sperimentazione. Un’identi­tà divenuta plurale, multiforme e multicolore, animata da lingue e culture diverse. Perciò ancora più ricca e più bella. Ce lo dicono le sue associazioni, il volonta­riato, le parrocchie, le istituzioni locali, il mondo del lavoro, i cittadini tutti.

A Torino l’undicesima Giornata. motivata dalla memo­ria e dall’impegno ma articolata sui temi del presente: Economia, Politica, Informazione, Migranti, Sport. Come a dire: vita, i tanti fronti dell’attenzione neces­saria che dobbiamo porre a ciò che ci sta attorno. A chi ci sta attorno, anche se questi rimane in silenzio e magari non ha le parole per chiedere aiuto o per rivendicare giustizia.

Il 21 marzo, nel primo giorno di primavera, lo faremo anche con lui e per lui. Tutti insieme. Da 11 anni a questa parte.

11 anni aveva Claudio Domino, quando è stato assas­sinato a Palermo da una criminalità che non arretra davanti a nulla. Pochi anni di più aveva Giuseppe Di Matteo, sequestrato, torturato e sciolto nell’acido per punire la collaborazione del padre con i magistrati da parte di uomini senza onore.

Lo scorso 21 marzo Rosaria Schifani non è potuta venire a Roma a ricordare assieme con noi suo marito, gli altri uomini della scorta di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e tutte le altre vittime. Ha voluto però mandarmi una lettera, per essere egualmente assie­me e uniti, anche quel giorno. Le sue parole si conclu­devano così: «Quello che ti chiedo, come cristiana e come cittadina, è di far capire tutto ciò alle istituzioni: che ci governino con legalità e con giustizia, che diano un esempio».

Questo voglio ripetere un anno dopo a Torino, perché di questo, in effetti abbiamo bisogno: di un esempio e di un impegno limpidi che vengano dalle istituzioni. Ne ha bisogno Rosaria e i tanti parenti degli uccisi, ne abbiamo bisogno tutti. Verità e coerenza. Trasparenza e onestà. Servizio ai cittadini e attenzione ai più deboli. Rispetto delle regole e primato dell’interesse pubbli­co. Questo deve tornare a essere la politica e questo debbono garantire le istituzioni.

Questo dobbiamo non solo chiedere ma anche saper costruire tutti. Insieme. Uniti.

Luigi Ciotti

Fonte: http://www.liberapiemonte.it/

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