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Non si vota soltanto con il cervello
24.03.2006
Per molti commentatori lo show di Berlusconi all'Assemblea di Confindustria rappresenterebbe il suo epitaffio.

Razionalmente non si potrebbe dire altro: uno spettacolo penoso di una persona non più padrona dei suoi nervi.

Il paese attraversa una fase difficile ed un elettore razionale non affiderebbe i suoi destini e quelli del paese ad un individuo emotivamente instabile, che per di più, almeno ufficialmente, crede di vivere in un paese dove tutto va bene, grazie non tanto al suo governo, che comprende perciò anche gli alleati, ma a lui stesso in prima persona, che non dorme mai.

Per fortuna siamo vicini alle elezioni, altrimenti si potrebbe pensare che Berlusconi sia un tardivo epigone di quel Presidente argentino, che perse la ragione, ma non essendo possibile la successione, fu rinchiuso nella Casa Rosada ed era informato dello stato del paese da un'unica copia del più importante quotidiano della capitale stampata appositamente solo per lui.

Eppure nello scontro con il Gotha dell'industria e della finanza acquisirà simpatie popolari e di ceti medi marginalizzati, cioé di questi strati della popolazione, cui la sinistra ha cessato da tempo di parlare.

La sinistra italiana moderna e modernizzante disprezza i pezzenti e cerca il contatto con i ceti medi delle professioni e dell'innovazione e con reddito medio-alto, cioé di un gruppo sociale che vota con la testa e quando vota con il cuore, si intende la parte del corpo cui si appoggia il portafoglio.

In quest'epoca di crisi per tutti, compresi i ceti medi tradizionali, non passa un gran feeling tra il popolo lavoratore e la Confindustria, i suoi esponenti azzimati, circondati da bellissime donne e sempre a galla grazie a leggi speciali e salvataggi prelevati dalle tasche degli italiani: la FIAT per tutti é l'emblema dei profitti privati e delle perdite pubbliche.

Quando poi la famiglia Agnelli riacquista il controllo di una FIAT risanata, anche grazie a tagli occupazionali e cassa integrazione, con complicate operazioni finanziarie al limiti della legalità e comunque in assenza di trasparenza, cioé con disprezzo del mercato, molti si irritano.

Gli irritati pensano che, molto flaianamente, i big, chiamiamoli, pure, demagogicamente poteri forti, stiano per andare in soccorso del (probabile) vincitore per presentare il conto fin dall'11 aprile.

Parliamoci chiaro, i nuovi protagonisti come i Ricucci e i Coppola, ed anche Fiorani e Consorte, cui si é strizzato l'occhio da varie parti politiche, si sono rivelati, furbetti del quartierino, o comunque inadeguati e perciò non da li deriverà il rinnovamento del capitalismo italiano.

Diamo tempo al tempo, anche Caltagirone una volta era trattato sprezzantemente come 'palazzinaro' ma con la proprietà del Messaggero ed uno strategico legame familiare con il Presidente della Camera Casini, si é ripulito e non ci si ricorda più che l'origine delle sue fortune era la stessa di Ricucci.

Una forza di sinistra, anche riformista, anzi ancor di più se riformista, non deve mai dimenticare che l'Associazione degli industriali in tutti i paesi europei é la controparte della sinistra, non un alleato od un supporter.

Berlusconi nel confronto con Prodi ha detto che l'aumento del costo della vita é colpa dei commercianti e degli esercenti, non facenti parte della grande distribuzione.

Purtroppo, ha detto Berlusconi, la grande distribuzione controlla appena il 30% del mercato dei consumi.

Il giorno dopo mi sarei aspettato una campagna dell'Unione diretta verso i piccoli commercianti e i piccoli esercizi, specialmente quelli che operano ancora nei paesi e nelle città medio-piccole e nelle periferie delle grandi città per conquistare il loro voto, cioé il voto di una categoria, che ha massicciamente votato finora per il Polo.

Senza demagogia e senza sconti (l'evasione fiscale va combattuta) si doveva contestare che l'incapacità del governo di controllare i prezzi fosse addebitata alle spalle della piccola e media distribuzione.

Non si é fatto perché la sinistra italiana é favorevole alla grande distribuzione, con il marchio Coop é meglio, ma non é importante, i dettaglianti ed i piccoli esercenti sono il vecchio che va modernizzato.

Bottegaio a sinistra é ancora un insulto, dimenticando che all'origine del movimento operaio era il credito dei bottegai a consentire i primi scioperi.

In democrazia da quando é stato abolito il voto censitario (lo rimpiangiamo perché se si votasse per censo il centro-sinistra avrebbe vinto?) vale il principio di una persona un voto. Gli elettori vanno conquistati nella chiarezza, ma mai disprezzati.

A sinistra occorre aver chiaro anche un modello di vita: é opportuno o no che scompaiano gli esercizi di vicinato, che la spesa debba essere fatta con automobile una volta la settimana nei grandi centri commerciali?

Come si possono conciliare le esigenze del consumatore a spendere meno con il mantenimento di una rete distributiva di quartiere o di villaggio?

Quali sono le componenti dei costi maggiori della piccola distribuzione? Si può intervenire per contrarli e fare ricadere i risparmi sui consumatori?

E' possibile con una politica fiscale e con un intervento di moderazione dei fitti dei locali commerciali, così come attraverso l'urbanistica commerciale e la preservazione dei centri storici, mantenere gli insediamenti di artigiani e generi di largo consumo.

D'altro canto occorre che la grande distribuzione paghi i costi sociali indotti dagli insediamenti in termini di viabilità e soprattutto che si tolgano privilegi.

Quanti sanno che la grande distribuzione può legalmente far sparire il 3% del fatturato, come forfetizzazione dei furti di merce, e creare così provviste di denaro, buono per tutti gli usi, anche per il pagamento di 'mazzette' o 'bustarelle' (due espressioni diminutive per una grande corruzione, così come l'espressione 'tangente': nessuno chiamerebbe così una porzione della torta) per ottenere i permessi di insediamento.

Quanto dei margini di prezzo della grande distribuzione dipende dallo sfruttamento della manodopera, di cui si ostacola la sindacalizzazione? Dagli orari di apertura, che nessuna famiglia di esercenti potrebbe sopportare? Da deroghe alla chiusura domenicale, con buona pace di Ruini, che parla contro i PACS, ma non con la stessa enfasi contro il lavoro notturno e festivo o la flessibilità dei turni: eppure anche nostro Signore al settimo giorno si riposò.

La sinistra ha scelto la propria rappresentanza in parlamento, con procedure che sono quel che sono, poco trasparenti e, comunque, interne al ceto politico, ma deve ancora vincere le elezioni e perciò conquistare voti sul terreno, non basta la simpatia dei direttori dei giornali, della Confindustria e della FIAT.

Casalinghe disperate, anziani teledipendenti, giovani disoccupati e precarizzati, bottegai, pensionati depressi in democrazia contano quanto gli imprenditori rampanti, i guru della comunicazione, i rampolli delle vecchie famiglie, i calciatori e le veline, anzi sono di più. Che ne facciamo? Assecondiamo il loro disimpegno dalla politica o cerchiamo di incorporarli in un sistema di valori di solidarietà, che non lascia nessuno solo? Speriamo che non vadano a votare, come nel passato, per Berlusconi o cerchiamo il loro voto sui nostri programmi?

Evidenti domande retoriche, una sinistra vincolata per sempre alla democrazia non può rimanere indifferente all'aumento dell'astensionismo elettorale e una sinistra che rappresenta i più deboli non può rinunciare ad insediarsi nell'elettorato degli emarginati.

Berlusconi ha creato vittime illuse dalle sue promesse, ma é ancora in tempo a far sognare e a parlare a quel popolo, che non ama ricchi e padroni.

Felice Besostri, candidato DS Senato Lombardia

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