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Lezioni di francese
31.03.2006
Fabio Malagnini / Socialpress.

Le occupazioni universitarie e le proteste anti-CPE che si stanno svolgendo in Francia, indipendentemente dall’esito della mediazione che, in queste ore, sembra prendere forma tra le rappresentanze che si sono trovate in queste settimane scavalcate dalla piazza (governo, sarkoziani,socialisti, sindacato), riguardano direttamente l’Europa e chiamano in causa il nostro futuro. Ormai lo hanno capito tutti, tranne i politici italiani, impegnati in una campagna elettorale sempre più surreale e fantasmagorica.

La legge sul CPE (Contrat Premier Embauche, cioè contratto primo impiego) che il primo ministro Dominique de Villepin ha fatto approvare in Parlamento prevede che un i neoassunti fino a 26 anni possano essere licenziati dal datore di lavoro senza giusta causa o particolari restrizioni riguardo alla motivazione del lavoratore. In pratica, niente di diverso da quello che un lavoratore italiano puo’ aspettarsi in un azienda fino a 18 dipendenti, e per tutta la vita, un “pannicello caldo”, verrebbe da dire, se paragonato alla situazione di casa nostra, alla fattispecie del co.co.pro. (ex co.co.co.) , alla generalizzazione dei contratti di stage per dottorandi e laureati, alla somministrazione di lavoro interinale e alle cooperative di comodo per giovani diplomati e non specializzati. Senza contare il lavoro nero, da sempre primo datore di lavoro nel Sud del Paese, senza neppure bisogno degli incentivi statali.

"Precariato" non è "flessibilità": è il declassamento del lavoro come forma di reddito e come stile di vita residuale. Anche in Francia, il paese della sicurezza sociale "rigida", i contratti a tempo determinato non sono certo una novità e si sono diffusi senza aspettare Villepin, oggi infatti snobbato persino dalla confindustra francese. Come dimostra la recente rivolta delle banlieue, cresce inoltre il disagio dei della comunità mussulmana che, dopo quattro generazioni, si trova all’esterno o ai margini di questa sicurezza sociale. La nuova legge formalizza però in modo sfacciato un prelievo sociale ai danni dei lavoratori, che si pretenderebbe ancora mediazione statalista: la rivolta nasce da qui. Fatte le dovute proporzioni, in ogni caso, se i giovani francesi della generazione flessibile per tutta risposta al Cpe hanno occupato la Sorbona e ridicolizzato l’orgoglio gollista di Chirac, i loro coetanei italiani dovrebbero, come minimo, aver già fatto cadere un paio di governi, magari facendosi aiutare dai loro padri, madri e zie.

In Italia, infatti, siamo per lo meno alla seconda generazione precaria e chi andrà in pensione nel 2020 fara’ già parte di una strana avanguardia, i primi poveri (non possidenti) europei di un nuovo tipo. In Italia, sia detto una volta per tutte, la “precarizzazione”, cioè l’adeguamento competitivo del rapporto di lavoro a vantaggio delle classi finanziarie e possidenti, nasce 13 anni fa, con il pacchetto Treu, non con la cosiddetta, pasticciatissima, "legge Biagi". Alla faccia della flexicurity danese, a fare da cornice a quella legge c’era il compromesso sociale e la “concertazione”, sottoscritta nel 1993 dal governo Ciampi, dai sindacati e dalla confindustria, e trasformatasi in un favoloso regalo a quest’ultima, in un accordo senza contropartita che non ha minimamnete contribuito a creare le basi per il rilancio economico italiano ma ha consegnato le future generazioni al lavoro precario, cioè povero di reddito e di diritti, quand’anche fosse “regolare”.

Oggi possiamo serenamente affermarlo: quel compromesso al ribasso non ha portato alla modernizzazione del paese, delle sue infrastrutture, dei suoi mercati, ma allo svuotamento dei servizi e dei beni comuni, alla distruzione dei saperi e della sperimentazione, a una distribuzione esponenzialmente più ingiusta della ricchezza. Per sbarazzarsi di Berlusconi, la sinistra corre oggi con chi in questi 13 anni ha accumulato enormi profitti proprio con la finanza, i monopoli e le multiutility, ma ora invoca più innovazione e concorrenza. Si può dubitare delle loro intenzioni o prenderli sul serio ma, in ogni caso, come ha osservato Sergio Bologna sul Manifesto “ Se nessuno raccoglierà il messaggio francese, per questo Paese non ci sarà futuro. Con o senza Berlusconi. “ E, aggiungiamo noi, con o senza Prodi.

Fonte: http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=1251

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