24.06.2003
 Pubblichiamo di seguito l'intervento dell'On. Pierluigi Mantini, professore di Istituzioni di Diritto pubblico, avvocato cassazionista, parlamentare dell'Ulivo milanese, sulle questioni del lodo Berlusconi. PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà .
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, o norevoli colleghi, intervengo su questi emendamenti, che, come gli altri presentati dall'Ulivo saranno, presumo, respinti da una maggioranza oggi singolarmente unita e compatta, come non vediamo ormai da molti mesi neppure sui temi cruciali che riguardano il declino del nostro paese, per esprimere con convinzione ed anche con sdegno le ragioni della nostra contrarietà all'articolo 1, ovvero all'emendamento Schifani surrettiziamente introdotto al Senato nel contesto di un provvedimento di ben altro tenore e contenuto e che con motivazioni assai diverse avevamo approvato in quest'aula solo pochi mesi or sono.
Il primo rilievo è rivolto proprio nei suoi confronti, signor Presidente: lo dico con stima e con rispetto, è però francamente impossibile non rilevare che la sedes materiae di un tale emendamento, della norma che sospende i processi nei confronti delle alte cariche dello Stato, non poteva essere quella di una legge attuativa dell'articolo 68 della Costituzione, che ha per oggetto garanzie in capo ai parlamentari nell'esercizio dell'azione giudiziaria nei loro confronti. Sono diversi i soggetti, è diverso l'oggetto che non prevede affatto nel testo costituzionale, oggetto di attuazione, neppure l'ipotesi della sospensione sine die dei processi. Non occorrono sofismi giuridici e neanche il ricorso estenuante ai precedenti per dimostrare che è la stessa correttezza del procedimento legislativo ad essere lesa. Il secondo rilievo è di natura costituzionale ed è stato già argomento in alcuni interventi da parte dei colleghi nel corso del dibattito. È del tutto evidente che gli articoli 3, 68, 90, 96, 111 sulla ragionevole durata dei processi, 112 e 122 della Costituzione configurano un regime dei rapporti fra le autorità politiche e quella giudiziaria che è di rango costituzionale e che solo con norma costituzionale può essere legittimamente modificato. Su tali profili sarà inevitabilmente chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale e ciascuno può immaginare, da questo solo fatto, il clima di precarietà e di incertezza che ne deriva, mentre inimmaginabili sarebbero gli effetti concreti di natura giuridica ed in termini di discredito delle istituzioni che deriverebbero da una eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma. Già questi pochi rilievi, o norevoli colleghi, sono sufficienti a mio avviso per inquadrare e fondare una critica che è di merito e che è di natura politica. È stato ricordato ieri dal collega Boato che è ormai da anni che la maggioranza non ha una strategia politica sulle riforme costituzionali e sulla giustizia. Il collega Mancuso ha descritto questo provvedimento come una legge circostanziale; il senatore Calderoli, richiamato anche lui nel dibattito al Senato, ha riconosciuto che la maggioranza va avanti in queste materie a spizzichi e bocconi. È proprio questo il punto: noi possiamo tentare di nobilitare questa condotta attraverso espressioni più auliche, con il riferimento, ad esempio, alle citazioni care alla scuola degli Annales, al droit événementiel, il diritto del caso e delle circostanze. Ma qui il caso non c'entra proprio, c'entrano invece le circostanze, che sono sempre le solite, dettate dall'ossessione di tirare fuori, in ogni modo, da responsabilità giudiziarie pregresse gli imputati eccellenti del Governo e della maggioranza, secondo una logica ferrea e provvedimenti improvvisati e ad hoc, si chiamino essi diminuzione della pena edittale del falso in bilancio - che ha già prodotto la prescrizione in favore del Presidente del Consiglio nel processo All Iberian -, si chiami legge Cirami o si chiami emendamento Schifani. Misure ad hoc, provvedimenti emergenziali e parziali, tutti retti dalla medesima ossessione: sottrarsi ai processi, evitare l'accertamento giudiziale di fatti di gravissima entità , negando al paese l'elementare diritto di conoscere la verità sulle responsabilità penali di chi li governa. Si è scatenata così una guerra alla magistratura ed uno scontro tra le istituzioni senza eguali e gravissimo per il paese. Avevamo offerto, con l'idea sottesa al cosiddetto lodo Maccanico...
PRESIDENTE. o norevole Mantini, prego di concludere.
PIERLUIGI MANTINI. Concludo, signor Presidente. Avevamo offerto con l'idea sottesa al cosiddetto lodo Maccanico - che non a caso non è stato mai scritto - un segno di consapevolezza e di responsabilità : fermare questa guerra preventiva, riportare serenità nelle istituzioni del paese, aprire un confronto utile per migliorare l'efficienza della giustizia, che è una vera necessità , sentita dai cittadini italiani ed è invece ignorata dalla maggioranza. A questo segno di disponibilità e di responsabilità avete risposto, come sempre,
con arroganza e con strumentalizzazioni, rifiutando, ancora una volta, un confronto utile e necessario per il bene del paese. In questo modo, non farete che allontanarvi - come già il voto amministrativo ha segnalato - dalle reali necessità del paese. Noi vi offriamo senso dello Stato e moderazione, voi provvedimenti ad personam ed arroganza. Avremmo preferito vedere il Presidente del Consiglio dei ministri italiano assolto dalle sue gravi imputazioni con una sentenza pronunciata in nome del popolo italiano: voi ci impedite questa possibilità e preferite lasciare noi e gli italiani nel dubbio. È la vostra scelta, non è la nostra. Noi della Margherita non la condividiamo e temiamo che il discredito del paese possa essere ancora maggiore in questo grave momento di responsabilità internazionali (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
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