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In ricordo di Kaj Munk (di Paolo Tognina)
6.04.2006
Nel 1944 moriva assassinato il pastore luterano e drammaturgo Kaj Munk, una delle voci più vigorose della resistenza antihitleriana in Scandinavia.

La sera del 4 gennaio 1944 membri del “gruppo Skorzeny“, il commando autore della spettacolare liberazione di Mussolini sul Gran Sasso d’Italia, inviati da Berlino, su ordine di Himmler, rapiscono il pastore luterano danese Kaj Munk. Il mattino dopo, sulla strada di Hörbylunde Bakke, nei pressi di Silkeborg, viene ritrovato il suo corpo, crivellato di colpi. L’8 gennaio 1944 una grande folla assiste ai funerali del pastore, drammaturgo e giornalista, che viene sepolto nel piccolo cimitero di Vedersoe, sulla costa occidentale dello Jütland.

“Si dice che il cristianesimo non debba occuparsi di questioni politiche e che la chiesa debba occuparsi soltanto della salvezza delle anime“, aveva detto Munk, nel novembre del 1941, in una predica. “È una gran bella religione, che piace all’imperatore e alla quale sua maestà concederà certamente la propria protezione. Una simile religione non gli darà mai fastidio. Ma è una religione che merita il nome di bestemmia. La verità non è tranquilla e piena di dignità e ossequiosa; al contrario, la verità morde e urta e colpisce. La verità non fa per i timorosi e per i prudenti; questi non hanno bisogno della verità, bensì di un divano. Che insulsa richiesta è mai quella che pretende dalla chiesa un atteggiamento prudente? I martiri erano forse prudenti?. Il popolo danese deve smettere di avere paura se non vuole correre il pericolo di morire per eccesso di prudenza“.

Kaj Munk è nato nel 1898 a Maribo, sull’isola di Lolland. I suoi genitori morirono quando era ancora ragazzino e fu perciò adottato da una coppia di parenti. Crebbe in un ambiente contadino, impregnato dagli insegnamenti del pietismo danese di Grundtvig.

Da adolescente cominciò a scrivere ballate, poesie e drammi. E negli anni trascorsi a Copenhagen come studente in teologia accarezzò l’idea di abbandonare l’università per dedicarsi completamente alla letteratura. Ma i genitori adottivi, che avevano fatto non pochi sacrifici per mantenerlo agli studi, glielo impedirono.

Dal 1924 fino alla morte, Munk visse e lavorò come pastore a Vedersoe, sulla costa atlantica dello Jütland. Sposato, padre di cinque figli, curatore d’anime e predicatore, appassionato cacciatore, non smise mai di scrivere. Nel 1928 il suo dramma “En Idealist“ fu messo in scena al Teatro Reale di Copenhagen, con scarso successo. La sua popolarità quale autore drammatico fu decretata dal dramma “Cant”, messo in scena quattro anni dopo. La sua fama si consolidò con i drammi “La Parola“ (da cui il regista Theodor Dreyer ricavò, nel 1955, il celebre film “Ordet“) ed “Egli siede al crogiuolo“. Il primo si basa su una vicenda realmente accaduta a Vedersoe: la morte di una giovane donna, deceduta, insieme al figlio, durante il parto. Il secondo, scritto nel gennaio 1938, è un atto di accusa nei confronti della persecuzione degli ebrei in Germania.

Nel corso degli anni ’30 Kaj Munk si dedica a una intensa attività giornalistica pubblicando, sui maggiori quotidiani danesi, articoli e commenti non solo su temi ecclesiastici, ma anche culturali e politici. Le sue posizioni sono spesso criticate. Giudicando il parlamentarismo poco adatto allo sviluppo di un popolo, Munk asprime più volte ammirazione per il fascismo italiano e per il suo duce e vede nella ripresa economica tedesca sotto Hitler la conferma del carattere positivo della dittatura nazionalsocialista. Munk ritiene che il carisma del dittatore possa imprimere nuovo slancio al popolo tedesco.

Le sue posizioni nei confronti dell’Italia cambiano quando Roma decide di invadere l’Abissinia (il dramma “La vittoria“, del gennaio 1936, è una dura critica a quell’avventura bellica del fascismo). E la brutalità del regime nazista nei confronti degli ebrei lo porta a distanziarsi dall’hitlerismo. Il 17 novembre 1938 pubblica, nel quotidiano Jyllands Posten, una lettera aperta al duce del fascismo nella quale chiede a Mussolini di convincere Hitler ad abbandonare la politica di persecuzione degli ebrei. Il vero destinatario della lettera è tuttavia il pubblico danese che cinque anni dopo, mettendo in salvo la quasi totalità degli ebrei residenti nel regno, traghettandoli, sull’Öresund, verso la libera Svezia, dimostrerà di condividere appieno il suo appello.

Dopo l’invasione tedesca della Danimarca, nell’aprile 1940, Kaj Munk diventa il simbolo della resistenza nazionale. Il suo dramma storico “Niels Ebbesen“, l’epopea di una sorta di Guglielmo Tell danese che si batte per l’indipendenza dello Jütland contro il tedesco conte Gert di Hollstein, e la raccolta di prediche “Presso i fiumi di Babilonia“ (evidente richiamo alla situazione di cattività del popolo danese, paragonata a quella di Israele dopo l’invasione babilonese) circolano clandestinamente in decine di migliaia di copie contrabbandate anche nella Norvegia occupata.

Nel 1943 Munk entra a far parte del partito d’opposizione “Dansk Samling“ e protesta contro la decisione del ministero danese per gli affari ecclesiastici di vietare ai pastori di parlare pubblicamente della resistenza della chiesa norvegese. La censura controlla la sua produzione letteraria e le librerie non possono più esporre le sue opere.

“Amare il tuo nemico non significa accettare le sue opinioni e dargli ragione. Al contrario, significa essere disposti a sputargli in faccia piuttosto che lasciargli credere, mentendogli, che tu accetti i suoi metodi. La bontà di Dio è dolce e paziente, ma non scende mai a compromessi con il male“. Kaj Munk pagò con la vita la propria fedeltà a questo insegnamento di Cristo.

(da Voce evangelica – Ticino)

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