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Unione, quanti errori non capisci più il nord
12.04.2006
da la Repubblica del 12 aprile 2006 - De Rita: programma inutile, non parlava ai cittadini - intervista di Ettore Livrini

MILANO - «Il flop del centro-sinistra nel Nord-Italia non è figlio di un errore di comunicazione sulle tasse, come sostiene Prodi, ma di un vero e proprio errore di comprensione dell'elettorato».

Giuseppe De Rita, presidente del Censis, non ha dubbi. L'effetto-Ici non è stato l'unico collante che ha ricompattato l'elettorato del centro-destra dal Piemonte al Friuli. «Certo l'antipatia per il Fisco, come l'odio verso Roma, è una delle spiegazioni antropologiche valide per capire il fenomeno. Non penso però che abbia pesato così tanto sull'esito del voto. Le radici dell'incomunicabilità tra l'Unione e quest'area del paese sono in realtà molto più profonde»

Quali errori ha fatto il centro-sinistra al nord?
«Tanti. Il primo, a suo modo nobile, è quello di aver continuato a parlare di interesse collettivo e non di interessi tout court. L'italiano sarà bizantino, ma il bene comune non lo capisce più. Forse aveva senso all'epoca delle ideologie. Quando si delegava al comunismo o alla Democrazia Cristiana l'interpretazione e la realizzazione dei propri bisogni. Ma adesso non è più così. Prendiamo il risanamento dei conti pubblici: al nord non è percepito come un valore collettivo. Non passa il messaggio. E se non si fa un vero censimento degli interessi dell'elettorato, non si riesce a parlargli e a conquistarlo politicamente. Il centro-sinistra doveva giocare di più sugli "interessi plurali" e scoordinati per riuscire a farsi capire dal nord. Berlusconi l'ha fatto. Con la sua sensibilità animalesca e la grande capacità da giocatore d'azzardo ha portato fino alle estreme conseguenze il tema degli interessi. Giocando la carta delle tasse con cui ha ritrovato i suoi elettori che a loro volta hanno "fiutato" il nemico da battere correndo in massa alle urne».

E il secondo errore?
«Il programma. E non perché fosse un libro dei sogni. Il guaio, per me, è stato articolarlo per temi. Io l'avrei costruito dividendolo sulle esigenze del territorio, area per area. Mi spiego con due esempi: la polemica sulla Tav in Piemonte ha portato voti al centro- destra. Che ha monetizzato le paure di chi teme di tagliar fuori la parte più dinamica del paese dalla ripresa europea. Al Friuli poi devi spiegare come l'Italia aggancerà i mercati dell'Europa centrale e orientale. Se no ti vota contro. Il territorio è stato il grande assente dai programmi fin dal '98».

Eppure nelle ultime amministrative il centro-sinistra sembrava essere riuscito a riconquistare un po' di terreno anche al nord.
«Un fuoco di paglia. La questione settentrionale ha altre spiegazioni sociologiche che l'Unione non è riuscita a "leggere" in anticipo. I blocchi sociali, ad esempio, per me esistono ancora. In questo sono bertinottiano puro. Gli elettori di Lombardia, Piemonte e Veneto pensano che il centro sinistra sia il simbolo della lotta al precariato, il paladino dei dipendenti pubblici, il difensore dei lavoratori dipendenti, di quelli pubblici e del clientelismo. Incapace quindi di ascoltare un'area dove vivono e prosperano la piccola media impresa e il lavoratore autonomo. E nessuno è riuscito a sradicare questa idea. Berlusconi invece è uomo del nord. Vive pelle a pelle con questi interessi da sempre. Incarna d'istinto le aspettative di chi pretende siano difesi. Come ha fatto questa volta con il blitz su tasse, Ici e successione».

L'Unione ha fatto un'altra scelta. Limitandosi a non far promesse irrealizzabili e ricordando che cinque anni di centro-destra hanno messo in ginocchio il paese. Sbagliato anche questo?
«Ripetere che l'Italia era allo sfascio non ha fatto alcuna presa al nord. Dove la gente non sta peggio di cinque anni fa, anzi ha continuato ad arricchirsi. Il pessimismo radicale va bene per il ceto medio che non arriva al 27 del mese. Ma è il ceto medio umbro e del Lazio. Non certo quello di Lombardia, Piemonte e Veneto».

La frattura tra Unione e Nord-Italia è irreversibile?
«Certo non è un problema di facile soluzione. Il centro-sinistra deve trovare qualcuno in grado di parlare a queste regioni. È un mondo difficile da capire. Serve una persona con responsabilità e potere reale che faccia da "antenna del nord". In grado di intuire che qui vive gente che vuole fare la sua corsa autonoma nella società, in una cultura plurale delle diversità».

Un identikit che sembra quello di Enrico Letta o Pierluigi Bersani...
«A loro andranno dei ministeri a Roma. A dire il vero nell'Unione c'è un uomo che una volta capiva al volo questi problemi, capace di entrare in sintonia subito con i bisogni di quest'area e dei suoi cittadini: è Romano Prodi. Ma con gli anni all'Iri, la presidenza del governo e l'esperienza a Bruxelles le cose sono cambiate. Il territorio va capito da dentro».

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