30.04.2006
La gerarchia ecclesiastica legge i risultati elettorali: cattolici i vincenti, cattolici i perdenti. Che fare?
ROMA-ADISTA. La rappresentazione di un'Italia divisa politicamente a metà sembra preoccupare il mondo cattolico istituzionale. Questo, almeno, ciò che emerge dalla lettura "sinottica" di tre autorevoli fonti ecclesiastiche: Avvenire, Sir e Radio Vaticana. Preoccupazione che appare dettata, a tutta prima, da ramor patrio. Ma dietro la "litania" del Paese spaccato a metà ("col sistema bipolare poteva fose essere spaccato in tre?", osserva Marco D'Eramo sul manifesto del 18/4) potrebbe rivelarsi un utile grimaldello per scompaginare i Poli, indebolire i settori più radicali della maggioranza che sostiene Prodi ed aprire la strada nel prossimo futuro, se non ad un rimescolamento delle coalizioni, almeno ad ampie convergenze politiche su temi ritenuti "di interesse nazionale". Senza contare che in questo modo il centrodestra (o almeno alcune delle forze che lo compongono), sostenuto dalla gerarchia anche in questa tornata elettorale, uscito dalla "porta" elettorale potrebbe rientrare dalla finestra delle "larghe intese". Così il quotidiano dei vescovi Avvenire, sia martedì 11 che mercoledì 12, decideva di non dare ai suoi lettori la notizia della vittoria dell'Unione. Piuttosto di titolare, l'11/4: "Voto spaccato. Ma il Paese è uno". E il giorno successivo, quando ormai ogni possibile incertezza sulla maggioranza dell'Unione sia alla Camera che al Senato era stata fugata: "La cautela che serve a tutti". In entrambi i casi, l'editoriale in prima pagina era affidato a Marco Tarquinio. Nel suo primo intervento ("Scomodi segnali pretendono generosità "), Tarquinio scriveva che "nella situazione data, sarebbe un segnale incoraggiante e, per così dire, pacificante se il copione che si propone alle forze politiche nelle settimane a venire fosse interpretato con generosa sagacia ‘inclusiva'". Fino a ventilare l'ipotesi che nei prossimi mesi "le attuali leadership dei due poli risultassero superate o, in ogni caso, compromesse". Il giorno dopo, in un pezzo dal titolo "Misurarsi con la ruvida realtà ", Tarquinio tornava ad invitare il mondo politico a "spogliarsi di ogni sicumera manicheistica, soprattutto di quelle ostentate in campagna elettorale" e accettare "di misurarsi con la realtà e non con la rappresentazione di essa che risulta più comoda e funzionale agli scopi della propria parte. Ed è un fatto – proseguiva Tarquinio - che, oggi, la realtà è grave; quella di un popolo che si divide radicalmente in due nel voto". "Archiviando la stagione delle forzature interessate, dei vittimismi esasperati, dei catastrofismi d'occasione, delle scomuniche reciproche", Tarquinio ribadiva la necessità di "includere", piuttosto che "escludere": "C'è da unire e riunire, curando ferite e ricucendo slabbrature, non sulla base di astratte dichiarazioni di volontà , ma con concreti sforzi di comprensione delle ragioni altrui": "C'è da preservare il nostro Dna culturale, preparando per questa via un futuro di libertà , nella giustizia e nella solidarietà , per i nostri figli". Tarquinio non dimentica però di lanciare una scialuppa di salvataggio al centrodestra sconfitto, perché, scrive, "la verifica dei dati elettorali e l'esito degli accertamenti sulle schede contestate, soprattutto in considerazione dell'esiguo margine di vantaggio dell'Unione alla Camera, potrebbe anche riservare sorprese a vantaggio di Berlusconi e dei suoi alleati". […]
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