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Il custode delle acque
25.06.2003

Chi sarà custode dell’acqua?
La chiamano “oro blu”: l’acqua è risorsa strategica che muove eserciti e interessi economici. Intanto il mondo è sempre più assetato. Ma la notizia non sembra da prima pagina.
“...Reverendo Padre (…) lei mi parlò di una mappa, trovata a Qumran. Era vero. Ciò che non corrispondeva era il contenuto della mappa. Non riporta l’esatta ubicazione dell’Arca, ma l’elenco dettagliato delle fonti d’acqua in Cisgiordania. Fonti antichissime che, se esistessero ancora, darebbero a chi le possiede sicurezza e forza. Nelle mani dei Cugini del Muro renderebbero stabile il loro dominio sulla regione. In quelle degli Amici della Roccia garantirebbero la loro totale indipendenza dagli israeliani. (…) Lo spettro della guerra dell’acqua, da queste parti, è sempre in agguato. Il braccio di ferro tra Israele, Giordania, Siria e palestinesi per il controllo dei bacini compresi tra il fiume Yarmuk, il Giordano, sino al mare di Galilea e le sorgenti della Cisgiordania, non fu nel ‘67 una delle cause che scatenarono la guerra dei sei giorni? (…) Reverendo Padre, se il ventesimo secolo è stato il secolo del petrolio, il ventunesimo sarà quello dell’acqua. Chi la possiede diventa il suo custode e regola pace, guerra e ricchezza. Il custode dell’acqua, Reverendo Padre, era lei (…). Potremo un giorno offrire a Gerusalemme la pace che lei aveva in mente? ...”
Sipario sui due protagonisti, due frati francescani, di un recente – e premiato – romanzo di Franco Scaglia. Parlano di una mappa misteriosa, che cela un segreto per cui si uccide, custodita da un guardiano insospettabile.
Sembra solo un giallo, una costruzione da fantapolitica … Invece il controllo delle falde acquifere è una delle cause antiche, profonde e attualissime della guerra infinita tra israeliani e palestinesi. E di tante altre guerre. Anche quella in Iraq, oltre agli interessi che orbitano intorno al petrolio, affonda le sue radici nel controllo delle risorse idriche: l’Iraq è il paese mediorientale più ricco d’acqua, in particolare nella zona del Kurdistan irakeno, guarda caso, area storica di “conflitto nel conflitto” tra la minoranza curda e i vari pretendenti alla ricchezza sommersa (lo stesso Iraq, l’Iran e la Turchia).
L’acqua, causa sotterranea di conflitti di oggi e di ieri e, probabilmente, di quelli di domani. È una grande questione aperta, su più fronti, ma che ancora – aldilà delle dichiarazioni di intenti di governi e organismi internazionali – stenta a preoccupare l’opinione pubblica dei paesi più ricchi, forse fin troppo abituati a godere con poca parsimonia di un bene tanto prezioso per la nostra vita. Né ci possiamo rassicurare, cinicamente, ritenendo il problema un altro dei tanti mali che affliggono solo i paesi poveri. In epoca di globalizzazione questo non è comunque vero per definizione e, nel caso in esame, non lo è in assoluto: la questione acqua tocca tutte le aree del pianeta ed è legata a doppio filo con tutti i processi economici che alimentano la vita della Terra, ormai interdipendenti.
Le cifre sono clamorose ma, perse tra tanti numeri, rischiano di scivolare nell’oblio. Ci limitiamo pertanto all’essenziale.
Circa 1 miliardo e 500mila persone nel mondo – ossia un quarto della popolazione del pianeta – oggi non hanno accesso all’acqua potabile. Tra 25 anni si stima che il problema potrebbe riguardare la metà della popolazione totale, indistintamente in tutte le zone del globo. Trentamila persone ogni giorno muoiono per cause legate alla mancanza o alla impurità dell’acqua. Tutto questo tenendo conto che, ad esempio, noi italiani consumiamo in media 270 litri di acqua potabile al giorno (in alcune zone Usa si arriva anche a 600 litri!), mentre ci sono paesi africani in cui si fatica a disporre di 20 litri d’acqua non trattata a persona (noi ne usiamo 20 solo per lavare i piatti di un pranzo) e che in molte aree il prezzo dell’acqua si è innalzato a quote irraggiungibili. Da sottolineare il fatto che circa il 75% dell’acqua consumata viene utilizzata (male) in agricoltura, il 15% nei processi industriali (ci vogliono, per esempio, 15.000 litri di acqua per “produrre” un kg di carne) e solo il resto per usi civili. Se, infine, teniamo conto delle iniquità distributive che contraddistinguono anche la gestione di questa preziosa risorsa (solo l’11% della popolazione mondiale, in grande prevalenza dei paesi occidentali, controlla e gestisce l’88% dell’acqua disponibile) comprendiamo bene la gravità e la complessità della questione acqua.
Sarebbe bello poter semplificare e individuare, in due parole, quale sia il nodo che minaccia di strozzare la vita di tanti esseri umani e che sta alla base di una crisi annunciata. Non è facile: solo scarsità, più o meno naturale (vedi sprechi, inquinamento, etc.) o colpevole mancanza di equità nell’accesso alle risorse idriche? Probabilmente entrambe le cose. La comunità internazionale è chiamata a dare una risposta credibile e ad individuare modelli di intervento efficaci; ma le posizioni sono a volte molto discordanti e il multilateralismo, evidentemente, se guardiamo alla crisi irachena, è in crisi. La verità è che la questione acqua, silenziosamente ma progressivamente fattasi avanti nella gerarchia dei grandi temi, è solo un’icona esemplare dell’attuale e più ampio dibattito sulla globalizzazione, dove si fronteggiano, con varie sfumature il modello economicistico del neoliberismo ed il desiderio di una società globale fondata sulla giustizia sociale e sulla equità.
L’Onu ha proclamato il 2003 “Anno mondiale dell’acqua dolce” ed ha messo così in calendario l’ennesimo – e affollato – vertice planetario, tutto dedicato all’acqua. A Kyoto, in Giappone, nella settimana tra il 18 e il 23 Marzo scorso, le delegazioni di governi e organizzazioni internazionali e alcuni rappresentanti dell’area non governativa si sono date appuntamento sull’onda degli impegni formalmente ribaditi a Johannesburg e ancor prima all’Aja (“dimezzeremo, entro il 2015, il numero di persone che non hanno accesso all’acqua”) e sulla spinta del recentissimo rapporto Unesco, che oltre a confermare le cifre e le preoccupazioni di cui sopra, ha per la prima volta ufficialmente messo in dubbio, anche sul piano dell’efficienza – ossia quello gradito ad imprese e governi – l’opportunità di una progressiva privatizzazione della gestione del prezioso “oro blu”. Le cronache ci raccontano dell’ennesima dichiarazione di principio: il documento finale della conferenza ministeriale propone diversi impegni per i firmatari, ma non esiste una rete di vincoli per la loro effettiva realizzazione e soprattutto non è stato indicato dove e come reperire e monitorare le necessarie risorse (pubbliche?) per i 422 progetti complessivamente proposti (di cui 40 presentati orgogliosamente dalla delegazione italiana, guidata dal sottosegretario all’Ambiente, Tortoli).
Il finale annunciato del vertice e la convinzione di un appoggio de factu, da parte della comunità internazionale rappresentata a Kyoto, alla liberalizzazione del “neonato” mercato dell’acqua, hanno animato invece i promotori del primo Forum mondiale alternativo dell’acqua. Al “controvertice” di Firenze – organizzato dal Comitato internazionale del Contratto mondiale dell’acqua – associazioni, movimenti e anche amministratori e politici provenienti da varie parti del globo, hanno voluto esprimere l’urgenza di dichiarare prima possibile l’acqua “bene comune dell’umanità” e di sancire ufficialmente il diritto all’accesso all’acqua quale diritto inalienabile per l’uomo. Il documento finale del Forum, prodotto con qualche fatica, ha lanciato la campagna Sete Zero, perché tutti gli abitanti della Terra abbiano accesso all’acqua potabile entro il 2020. Il Forum chiede che questo diventi un impegno politico formalizzato e riconosciuto dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali con la firma di un “Contratto mondiale dell’acqua” entro la fine del 2003, anno internazionale dell’acqua.
Qualora le Nazioni Unite respingessero l’organizzazione di tale evento, i promotori del Forum s’impegnano a convocare, nel dicembre 2003, insieme ad un gruppo mondiale di parlamentari, un’Assemblea dei cittadini per la firma del Contratto: nelle intenzioni, un vero e proprio Parlamento mondiale dell’acqua. Sullo stile dei forum di Porto Alegre.
Ong, associazioni e movimenti mantengono la mobilitazione e si danno ora appuntamento a Cancun, dove si terrà (10-14 Settembre 2003) il prossimo vertice della Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Tra i primi punti in discussione, l’implementazione del processo di privatizzazione e libera commercializzazione dell’acqua, avallato anche a Kyoto. Il Parlamento italiano – a seguito della pressione della società civile – ha già ottenuto l’impegno del Governo di chiedere la cancellazione di questo punto dell’agenda ufficiale: al momento l’acqua “privata” è solo poco meno del 10% del mercato complessivo, ma questa quota è in rapida crescita negli ultimi due anni. A Cancun, quindi, si potrebbero decidere i futuri custodi dell’acqua del globo: speriamo che non siano mercanti.
Simone Sereni
fonte: www.acli.it

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