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Quirinarcore (di Marco Travaglio)
11.05.2006
Il Cavalier Bellachioma, quando vuole, sa essere meraviglioso.

Ieri, per esempio, lo era. Dopo l'elezione di Giorgio Napoletano al Quirinale, s'è molto rammaricato perché «avevamo proposto un uomo super partes, ma la sinistra ha preferito un comunista». A questo punto qualche curioso si domanderà chi fosse l'uomo super partes individuato dal premier uscente e quasi uscito per la più alta carica dello Stato. E lui, meravigliosamente, ne ha fatto il nome: «Gianni Letta, che anche molti protagonisti della sinistra ci avevano detto riservatamente di ritenere il candidato migliore». Ma poi, si sa, è intervenuto il Comintern e non c'è stato nulla da fare.

Ora, per carità, tutto è relativo: visti gli uomini che circondano Bellachioma, fra un Dell'Utri che frequentava boss mafiosi e un Previti che corrompeva giudici, Gianni Letta si staglia come un Cavour redivivo. Ma, se si esce dal museo degli orrori di Arcore, l'idea che costui possa essere super partes è decisamente da camicia di forza. Basti pensare che, prima di seguire il capo a Palazzo Chigi, Letta era vicepresidente della Fininvest. E,come tale, nel '90 aveva accompagnato amorevolmente nei corridoi del Parlamento il cammino della legge Mammì e il relativo piano delle frequenze (elaborato da un giovane assistente del ministro omonimo poi divenuto consulente della stessa Fininvest). E, come tale, nel '93 era stato indagato per corruzione dalla Procura di Roma che ne aveva chiesto addirittura l'arresto al gip Augusta Iannini, consorte di Bruno Vespa, la quale si era spogliata del caso perché «amica di famiglia» di Letta (l'insetto infatti aveva iniziato la sua luminosa carriera al «Tempo» di Angiolillo, esattamente come Letta). L'inchiesta era stata poi archiviata, con motivazioni non proprio esaltanti.

Un'altra inchiesta, invece, era stata scippata anni prima alla Procura di Milano dal porto delle nebbie romano: quella di Gherardo Colombo sui fondi neri dell'Iri, nella quale l'allora direttore del «Tempo» Gianni Letta aveva allegramente ammesso nel dicembre 1984 di aver ricevuto 1 miliardo e mezzo di lire in nero dall'ente statale per ripianare i buchi del suo disastrato giornale. Un giornale che, scrissero Scalfari e Turani in «Razza padrona», era «in vendita ogni giorno, ma non solamente in edicola».

Letta-Letta, come lo chiamava Sergio Saviane, passò poi alla corte del Cavaliere nella doppia veste di gran ciambellano nei palazzi della politica e di conduttore tv su Canale5: le sue interviste ai boss democristiani e socialisti sotto la sigla «Italia domanda», rimasero per anni un capolavoro di sviolinate ineguagliato. Fino all'arrivo di «Porta a Porta» e «Telecamere», si capisce.

Solo in un paese di bocca buona e stomaco forte come il nostro, uno così potrebbe passare, anche a sinistra, come un «uomo delle istituzioni», una «figura super partes», il simbolo della «destra buona con cui si può dialogare». Ma il solo fatto che questa brillantina dal volto umano non si metta le dita nel naso e si pettini più volte al giorno, vista la compagnia lombrosiana che affianca Bellachioma, ne ha fatto uno statista di fama mondiale e ha indotto parecchi leader uliveschi a trascorrere intense serate nella sua casa alla Camilluccia, per stipulare patti della crostata e della Bicamerale poi regolarmente violati dall'azionista di maggioranza di Letta-Letta.

Ecco, se si ha presente il concetto che Bellachioma ha dell'espressione «super partes», si comprende meglio perché Napolitano non può andargli bene.

Per lui i super partes sono quattro o cinque, non di più: Letta, Galliani, Confalonieri, Dell´Utri, Previti (finalmente restituito all'affetto dei suoi cari grazie all'apposita ex Cirielli) e Licio Gelli. Prima c'era anche Vittorio Mangano, ma poi purtroppo ci ha prematuramente lasciati.

Il suo posto è rimasto a lungo vacante, ma ora sta per arrivare il sostituto: l'ha scovato, dopo lunghe e severe selezioni, l'ottimo Nando Adornato, del quale alcuni giorni fa avevamo segnalato allarmati la scomparsa. Bene, siamo felici di comunicare ai lettori che Nando è tornato, giusto per rilasciare questa dichiarazione alla Stampa: «Noi di Forza Italia siamo garantisti. Giraudo, Bettega e Moggi non si toccano. Anzi, se Moggi è l'Andreotti del calcio potrà concorrere alla prossima presidenza del Senato».

Resta da sistemare Vanna Marchi, ma per ora sconta il suo peccato di ingenuità: se usi la televisione per truffare poche migliaia di italiani, il minimo è la galera; se invece la usi per truffarne 20 milioni, la pena massima è la presidenza del Consiglio.

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