23.05.2006
di Bruno Milone (Docente di Filosofia e studioso delle problematiche relative ai flussi migratori internazionali. Apprezzato autore di saggi sull’argomento
Il traffico di esseri umani nel mondo coinvolge secondo l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) circa 1milione di persone costrette alla schiavitù e ai lavori forzati, oppure usate per il prelievo degli organi. La maggior parte di esse, però, sono sfruttate sessualmente e sono convogliate verso le aree sviluppate dell’America e dell’Europa. Sono donne e uomini di giovane età , anche adolescenti, rapiti, venduti direttamente dalle famiglie oppure attratti dai trafficanti d’uomini con la promessa di cospicui guadagni. In Italia si stimano tra 19.000 e 26.000 gli individui stranieri che si prostituiscono sulle strade, con una concentrazione elevata in Lombardia (4.000/4.500 presenze), soprattutto nella provincia di Milano (2.000/2.500 presenze). Dal punto di vista della nazionalità , il mercato, che negli anni passati era monopolizzato dalle ragazze nigeriane e albanesi, vede negli ultimi tempi una crescita costante di donne e uomini provenienti dall’Europa dell’Est, cioè dalla Romania, dalla Bulgaria, dalla Repubblica Ceca, dall’Ucraina e dalla Moldavia. Al numero di “lavoratori e lavoratrici del sesso” stranieri che operano sulle strade, si devono aggiungere quelli che si prostituiscono part-time o nei locali al chiuso, le italiane, gli omosessuali e i trans. Anche se le cifre non sono sicure data la natura clandestina del fenomeno (ma tutte le ricerche effettuate concordano) nel nostro Paese dalle 50 alle 55mila persone vivono intorno al mercato del sesso in tutti i suoi aspetti: la prostituzione femminile, maschile e omosessuale, la pedofilia, la diffusione della pornografia, il turismo sessuale e i siti internet. Anche in Italia, come in tutte le società occidentali avanzate, il fenomeno tende ad aumentare piuttosto che a diminuire. Una prostituta ha in media una decina di clienti al giorno, se moltiplichiamo questa cifra per le migliaia di “lucciole” che operano in Italia, abbiamo più di 400mila clienti che quotidianamente pagano per delle prestazioni sessuali. Poiché non sono sempre gli stessi, è evidente quanto la pratica sia diffusa e popolare e non rientri tra i comportamenti considerati patologici o socialmente riprovevoli. Il sex business, ha scritto l’Economist, l’autorevole rivista inglese di politica economica, è l’unico settore che non ha risentito nell’ultimo decennio di alcuna crisi economica, è in continua espansione e garantisce una sicura redditività agli investimenti. Dal lato dell’offerta, il sesso a pagamento ha a che fare da sempre con le differenze di reddito e di opportunità tra i vari gruppi sociali e le diverse aree del mondo. Tranne i tossicodipendenti, che si prostituiscono per procurarsi la droga, o i casi, ancora limitati ma indicativi di una tendenza in atto, di ragazze e ragazzi del ceto medio che si avvicinano alla “professione” per rendersi autonomi dalla famiglia, pagarsi gli studi o accedere a consumi lussuosi (è quanto racconta una “squillo” brasiliana ne “Il dolce veleno dello scorpione”, il caso letterario e mediatico di questo inizio d’anno in America latina), il sesso a pagamento rientra nelle strategie di sopravvivenza o di promozione sociale degli strati più deboli della popolazione mondiale: non necessariamente i ceti più poveri, ma quelli socialmente più a rischio o in progressivo impoverimento per improvvise crisi economiche e politiche, guerre o catastrofi naturali. I precedenti storici sono numerosi. Durante le guerre dell’antichità , nel periodo della tratta degli schiavi africani verso le americhe tra il XVI e il XIX secolo, oppure nel corso dell’emigrazione contadina dalle campagne irlandesi e inglesi nel XIX secolo, soprattutto le donne diventavano serve e/o concubine dei vincitori e dei loro padroni, quando non venivano avviate direttamente alla prostituzione.
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Fonte: http://www.viator.it/index.htm
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