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Le ACLI invitano a votare «no»
28.05.2006
Roma, 26 maggio 2006 – Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani prendono ufficialmente posizione in vista del referendum del 25 e 26 giugno prossimi, invitando i propri iscritti e tutti i cittadini ad andare a votare NO, «convinti e consapevoli». Un documento approvato dalla Direzione nazionale espone in maniera dettagliata le ragioni di questa scelta ed esorta tutte le Acli provinciali e regionali ad aderire e sostenere le strutture dei Comitati per il No al referendum.

La contrarietà delle Acli alla legge di riforma costituzionale sottoposta a referendum confermativo riguarda anzitutto il metodo della sua approvazione, nello scorso novembre, con soli 9 voti in più della maggioranza richiesta nell’ultima lettura e con il solo sostegno della coalizione di governo. «Mai come nella materia costituzionale – si legge nel documento – il metodo si fa sostanza». «Le riforme della Carta Costituzionale non dovevano, non devono e non dovranno mai essere affidate alla sola maggioranza di governo», occorrendo invece «una maggioranza qualificata e trasversale».

Quanto ai giudizi di merito, le Acli contestano il carattere «evidentemente contraddittorio» di una riforma «viziata complessivamente da una logica di scambio avvenuto attraverso la sommatoria eterogenea delle varie posizioni in materia costituzionale presenti nei partiti che componevano la maggioranza di centro destra».

In particolare, si esprimono «preoccupazione e sconcerto» per alcuni elementi specifici della riforma. Le Acli parlano di «dispotismo del Primo ministro» con riferimento alla possibilità concessa al Premier – non riscontrabile in nessun paese di democrazia avanzata – di “sciogliere” la Camera che abbia espresso un voto di sfiducia nei suoi confronti. Con «l’effetto dirompente che è sostanzialmente la Camera che si regge sulla “fiducia” del Primo Ministro e non il contrario». Sotto accusa anche il «federalismo di facciata» propugnato dalla Legge: contraddetto di fatto dal potere “centralista” del Primo ministro e dalle incongruenze nei criteri di elezione e rappresentanza “nazionali” dei Senatori che pur si vogliono “federali”; e tuttavia funzionale ad introdurre surrettiziamente nella Costituzione «il retropensiero secessionista di alcune forze politiche».

Altri punti critici, evidenziati dal documento: «l’indebolimento del potere legislativo», risultato di un meccanismo di formazione delle leggi reso più «complesso, gravoso e arzigogolato»; «l’insofferenza ai contrappesi e alle garanzie costituzionali», che ispira tutto il disegno della riforma, con il «dimagrimento» delle figure indipendenti in molti organismi fondamentali: dal Presidente della Repubblica, che non avrà più il potere di sciogliere le Camere, alla Corte costituzionale, in cui aumenteranno i membri di nomina parlamentare, al Consiglio superiore della magistratura, in cui potranno essere nominate persone politicamente “affidabili” anche se prive di competenza giuridica.

Una riforma costituzionale dunque – quella sottoposta al giudizio dei cittadini i prossimi 25 e 26 giugno – che «non migliora la governabilità e la partecipazione popolare, non promuove il principio di sussidiarietà e la valorizzazione della società civile, non adegua l’ordinamento statuale ai nuovi scenari europei sopranazionali». Giudizi che conseguentemente inducono le Acli a schierarsi per il NO al Referendum, seppur con l’auspicio che «non appena sarà scongiurata questa riforma costituzionale, le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione, vogliano dialogare con la società civile ponendo mano ad un adeguamento della Carta Costituzionale per rispondere alle sfide attuali del paese e rinnovare i valori che sono alla base della nostra civile convivenza».

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