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Toledot
11.06.2006
Intervista a Moni Ovadia di Laura Tussi /girodivite.it -

L’impegno politico alla luce di una profonda, costruttiva e lucida critica marxista nella “lotta” di rivendicazione per le pari dignità sociali... In Italia, per una cultura delle memorie di ieri e pluriappartenenze di oggi.

Una piacevole discussione ed animata conversazione con Moni Ovadia, uomo di teatro e di immensa cultura, ricercatore ed abile, poliedrico interprete di una tradizione antica proveniente dai tempi più remoti dei primordi dell’umanità: l’identità culturale Yddish. Ovadia uomo d’estro e d’ingegno, politicamente impegnato sul fronte del mondo in fermento dei sindacati per le tutele dei lavoratori e delle rivendicazioni per diritti dei “più deboli”, nell’impegno culturale militante delle pari dignità sociali, per la fratellanza universale tra uomini...nella militanza “senza armi”, disarmante degli strapoteri, finalizzata ad un’utopia realizzabile, sociale comunista e socialista con risvolti comunitari e democratici de facto...

Il Suo parere circa “Il Calendario del Popolo”, rivista che compie 57 anni, nasce dal movimento della Resistenza antifascista e si è sempre proposta come uno strumento culturale di avvicinamento tra una divaricazione popolare, sorta nel dopoguerra, più accentuata rispetto agli schemi attuali, tra una “cultura alta”, “d’elite” e “bassa”; Rivista che veniva letta sia dal bracciante, operaio, contadino, che dal docente universitario; Rivista pensata e fondata da un intellettuale, l’avvocato Trevisani, e via via da altri importanti esponenti della cultura italiana...

A Suo parere quale atteggiamento dovrebbero impostare oggi gli intellettuali nei confronti della Nostra Rivista? Cosa ne pensa di questa attiva funzione divulgativa di area e cultura marxista o comunque di Sinistra, attualmente? Oggi che viviamo direttamente, ossessivamente in modo impellente il “revanchismo” delle Destre?

Il linguaggio e le modalità d’approccio della Sinistra al problema della memoria storica ed alla tematica relativa ad una cultura da poter diffondere e mantenere viva, fervida, militante, una relazione culturale tra la Sinistra ed i suoi interlocutori, anche intellettuali, risulta molto difficile perché implica una questione di codici interpretativi, canoni, schemi e linguaggi comunicativi, che parte da una constatazione la quale occorre sia radicale per trovare uno sviluppo, una funzione effettiva, attuale, militante.

Noi siamo stati sconfitti. Una sconfitta epocale. Abbiamo perso la guerra, non una battaglia. Se non si acquisisce una radicalità di tale consapevolezza, risulterà difficile assumere un ruolo.

Mentre quando “Il Calendario del Popolo” nasce, si assiste ad un enorme, immane coinvolgimento delle masse nella cultura anticapitalista, il Partito Comunista era fortissimo, profondamente radicato nel substrato popolare. Attualmente i partiti della Sinistra stanno sempre più perdendo il rapporto, il radicamento con le masse, la relazione schietta, genuina con il popolo, con le classi sociali che dovrebbero ancora riconoscerlo, rivalutarlo, essergli riconoscenti, recuperarne i valori civili, sociali, culturali... Oggi le masse si sono profondamente trasformate.

Assistiamo ad una progressiva diminuzione delle classi lavoratrici operaie e contadine, a favore di impiegati del terziario. Si assiste ad una falsa, finta, ipocrita imprenditorializzazione del ceto basso, perché tutti aspirano a diventare piccoli imprenditori e poi ingrandirsi e poi arricchirsi voracemente. Naturalmente a loro insaputa verranno sfruttati, però in forme nuove. Questa diversa, mutata condizione produrrà un ulteriore tipo di risposta culturale allo sfruttamento. Se non sapremo anticiparla ed esserne interpreti innovativi, ci troveremo arretrati, sorpassati, obsoleti, con vecchie categorie inette, non inserite. La classe operaia è ancora consistente, ma è in via di progressiva diminuzione (è un fenomeno inarrestabile), sostituita dalla manodopera extracomunitaria, che però utilizza altri linguaggi e mezzi, perché non sono i discendenti della classe operaia italiana ed europea che ha avuto rapporti diretti con la cultura comunista e marxista. La cultura marxista, comunista o comunque di sinistra non è stata strutturata dalla classe operaia, perché si è optato molto più per gli slogan e le ideologie che per la profondità dei concetti e dei valori: significa automaticamente democratizzazione.

Quando si deve strutturare il partito, con una democrazia ed una consapevolezza, si acquisiscono maggiori spinte critiche. Probabilmente il Partito Comunista è stato democratico, ma anche con forti rigidità dirigenziali al suo interno. I risultati li ritroviamo oggi nei DS, un partito che stenta a trovare un’identità. D’altro lato la Sinistra radicale (Rifondazione Comunista) rappresenta il 5% dell’elettorato e non sa risolvere, non sa crescere a seconda delle spinte di protesta. Siamo diventati solo nostalgici.

Vedi il seguito dell'intervista: http://www.girodivite.it/Intervista-a-Moni-Ovadia.html

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