Fra frenate e accelerazioni, il percorso del Partito Democratico non sembra né facile né chiaro a nessuno. Non lo è neanche l'approdo poiché, per citare soltanto una voce, Franceschini esclude rigorosamente che debba essere il Partito Socialista Europeo. Almeno in apparenza più chiara sembra essere l'intenzione (o la proposta?). Secondo alcuni non si dovrebbe neppure più discutere se fare il Partito Democratico, ma come farlo che è quanto, sperabilmente, insegneranno alla nascente scuola di partito.
Anche se non ricordo partiti nati a scuola né scuole di partito nate prima dei rispettivi partiti.
Mi sembra, invece, che non sia proprio possibile separare il se dal come. Infatti, saranno precisamente le modalità di costruzione del partito e di sua collocazione nel sistema politico italiano che potranno attrarre o respingere gli eventuali aderenti nei partiti già esistenti e nelle varie associazioni che premono per disporre di qualcosa di nuovo, di diverso, di coeso nella politica italiana. Al momento, per quel che riguarda il come, sul se non mi pronuncio ancora, vedo due problemi che non soltanto sono irrisolti, ma vengono regolarmente sospinti sotto il tappeto.
Il primo problema è quello della collocazione politica, non tanto in Europa quanto, piuttosto, in Italia. Al proposito, le tensioni e le opposizioni, che preferirei fossero coniugate con riferimenti precisi alle politiche (e molto meno alle ideologie/identità ) vengono dalla sinistra dei Democratici di Sinistra. Tranne qualche voce isolata, nessuna tensione e nessun dissenso sembrano esistere nella Margherita.
È troppo malizioso pensare che i dirigenti della Margherita ritengano che l'esito del percorso sarà un partito più vicino al centro, ovvero alle loro posizioni, che alla sinistra e che quindi ne deriveranno vantaggi politico- elettorali proprio alla loro parte? Per saperne di più, appare assolutamente indispensabile che si aprano il prima possibile congressi di entrambi i partiti, a cominciare dai livelli locali, dove il coinvolgimento non subalterno delle associazioni di cittadini interessati al Partito Democratico sarà sicuramente più efficace. Non è il tempo di spettacolari Convenzioni romane che ratifichino in un'apoteosi televisiva esiti che debbono essere costruiti con scienza e pazienza.
Per l'appunto, il secondo problema, che continua ad essere non soltanto irrisolto, ma quasi del tutto rimosso, riguarda l'organigramma, intendo proprio usare questo termine, del nuovo partito. Con organigramma voglio riferirmi sia alla struttura organizzativa del partito sia alla sua classe dirigente. Una pura operazione di vertice, di sommatoria di oligarchie (che, incidentalmente, agiscono come se il loro posto/ruolo sia già garantito) può anche riscuotere un temporaneo, ma limitato, successo elettorale. Certamente, non rinnova la politica. Neanche si deve pensare e sostenere che il rinnovamento passerà esclusivamente attraverso ringiovanimenti anagrafici (spesso è il contrario).
Tuttavia, un rimescolamento e nuove forme di reclutamento, di selezione e di promozione di amministratori e politici appaiono molto auspicabili. Le primarie sono state e saranno utili, anche se, come abbiamo dolorosamente visto, sono state accuratamente evitate per la «nomina» dei parlamentari. In materia, non propendo per il fondamentalismo: «soltanto primarie, sempre primarie», ma per un uso saggio e mirato che non pochi tardoprimaristi sacrificano alle loro personali ambizioni. Peraltro, diffido dei primaristi a tutti i costi, anche perché una qualche forma di rappresentanza mista che venga sia dalla politica che dalla società mi pare, in via di principio e almeno per un qualche tempo, auspicabile. Quello che, invece, risulta del tutto deprecabile è l'emergere di nuovi politici di professione, mentre sarebbe il caso di ridurre le cariche politiche elettive nelle regioni e nelle province.
Quanto alla struttura organizzativa, la debolezza del centro-sinistra sta nel suo mancato insediamento in alcune zone geografiche del paese: Milano è il caso più spettacolare, ma, all'altro capo, la Sicilia rimane un enorme problema. Troppo impegnati a Roma, gli esponenti del centro-sinistra non organizzano la loro politica dove servirebbe per cambiare, secondo modalità diverse, il rapporto con i cittadini. Infine, anche se raramente i partiti nascono per gemmazione ideologica, credo che, se il Partito Democratico vuole essere il Partito Riformista Italiano, un dibattito non manipolato e dal basso di idee e di proposte debba precederne la nascita e presiedervi.
Molti sembrano preoccupati dall'azzeramento del loro passato politico. Non intendo affatto minimizzare questo aspetto. Quanto a me, sono più interessato al futuro politico. Se si decide di farlo, il Partito Democratico, e lo si farà organizzando la politica dal basso, dove vorremmo che andasse, con quale idee e con quale visione riformista?
Gianfranco Pasquino
Pubblicato il 08.07.06
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