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Vedi alla voce esame di maturità (Paolo Prodi su Unità)
8.07.2006

Può sembrare quasi fatuo parlare dell´esame di maturità in giorni in cui il paese e la sua classe dirigente devono affrontare problemi di estrema gravità per la sopravvivenza stessa delle istituzioni democratiche e per lo sviluppo economico. Di solito l´esame di maturità, che pur interessa circa mezzo milione di giovani cittadini ogni anno, esce sulle pagine nazionali soltanto in occasione dell´estrazione dei temi delle prove scritte poi tutto torna nel silenzio più assoluto sino alla pubblicazione, in questi giorni, nelle cronache locali, degli elenchi dei promossi: il numero dei promossi è di solito vicino al 100% dei candidati.

Con l\\\\\\\'esclusione soltanto di qualche povero diavolo che proprio non ce l\\\\\\\'ha fatta nemmeno a scrivere o dire qualcosa e anche le votazioni conseguite non contano quasi più nulla in vista delle selezioni le quali, quando e se vengono fatte, lo sono in base a altre prove che i maturati devono sostenere nei mesi successivi.

Non si tratta soltanto di un problema di dispersione di risorse finanziarie (purtroppo gli insegnanti sono pagati tanto poco che le somme erogate incidono quasi nulla sui bilanci statali) o di risorse umane (con le frustrazioni enormi di studenti e docenti): si tratta di un problema che è fondamentale se vogliamo uscire dai discorsi generici sulla centralità della scuola e dell\\\\\\\'istruzione per lo sviluppo della società italiana. Anche i progetti di riforma e di controriforma che si sono susseguiti si fermano a proposte di modifiche sul rapporto tra commissari interni e commissari esterni e provvedimenti palliativi di questo tipo, considerando l\\\\\\\'esame di maturità come una specie di appendice al capitolo sulla scuola media superiore. Io credo invece che proprio dall\\\\\\\'esame di maturità si debba partire per un riesame delle strutture della scuola media superiore e dell\\\\\\\'università.

L\\\\\\\'esame di maturità ha svolto per lungo tempo una funzione fondamentale nella vita del paese, funzione testimoniata dal nome stesso che ora appare quasi ridicolo. La prima constatazione è dunque quella che questa funzione di filtro tra la formazione secondaria superiore e la vita universitaria o il primo ingresso nel mondo del lavoro attraverso il diploma non esiste più. Non è certo possibile qui analizzare le radici molteplici di un fenomeno che si è sviluppato negli ultimi decenni sia per le trasformazioni della società contemporanea verso la complessità, sia per la demagogia con la quale questi problemi sono stati affrontati dalla classe politica: pensiamo al ruolo sociale che un diploma di ragioniere o di geometra aveva nella società italiana un cinquantennio fa e al loro ruolo attuale, senza voler dare giudizi di valore. Non parliamo poi dell\\\\\\\'accesso all\\\\\\\'università che ha perso ogni razionale canalizzazione: si iscrivono a lettere studenti che non hanno mai studiato un\\\\\\\'ora di latino o di greco; dall\\\\\\\'altra parte i corsi di laurea in discipline scientifiche sono disertati perché le preliminari nozioni di matematica o di fisica ricevute nella scuola media superiore non sono sufficienti ad affrontare un corso di livello universitario: così nell\\\\\\\'università si è costretti ad abbassare il livello dei corsi, organizzare moduli di ricupero sperando soprattutto che la libera iniziativa degli studenti riesca a ricuperare queste lacune. Bisogna dire che la demagogia di una certa sinistra ha facilitato questa degenerazione: come sappiamo tutti la giusta lotta contro la discriminazione di classe si è trasformata in una confusione totale in cui i meriti e il lavoro del singolo non hanno più alcun riconoscimento; non solo la scuola non è più strumento di promozione sociale ma al contrario solo coloro che hanno le spalle coperte da famiglie ricche o culturalmente dotate possono salvarsi, magari andando a studiare all\\\\\\\'estero.

Dunque occorre avere il coraggio di abolire, non riformare l\\\\\\\'attuale esame di maturità. Lo si può sostituire con un sistema a due gradini: con un prova interna alla fine del quarto anno di corso delle superiori e con un esame di ammissione all\\\\\\\'università o un diploma professionale, se lo studente preferisce fermarsi a questo livello, alla fine del quinto anno. Occorre quindi riorganizzare un quinto anno già finalizzato, dopo il superamento della prova interna alla fine del quarto anno, al diploma professionale o alla preparazione ad un\\\\\\\'area di «sapere» universitario, anno che garantisca, anche eventualmente con la partecipazione di docenti universitari ma sfruttando soprattutto le competenze ora sotto-utilizzate dei docenti di scuola secondaria superiore (che hanno ancora un livello molto alto ma non possono attualmente fare valere la loro competenza e sono costretti ad abbassarsi per portare tutti i loro allievi alla «maturità») che lo studente possegga gli strumenti fondamentali per seguire i corsi, ad esempio, per l\\\\\\\'area delle materie letterarie e umanistiche, per quella delle scienze giuridico-economiche, per le scienze fisiche e matematiche, per le scienze biologiche e naturalistiche.

Questo doppio gradino dovrebbe anche consentire un maggior collegamento complessivo all\\\\\\\'interno dei vari canali della scuola secondaria, permettendo una rete di passaggi da un canale all\\\\\\\'altro senza le «predestinazioni» alla fine della scuola media inferiore. Si potrebbe ovviare in questo modo, senza traumi, ai tentativi di restaurazione di canali separati proprio dell\\\\\\\'ultima controriforma della scuola media superiore del ministro Moratti, senza cadere in nuove demagogie pedagogiche. La razionalità del nuovo snodo tra scuola media ed università, sostituendo all\\\\\\\'esame di maturità un esame d\\\\\\\'ammissione, sembra evidente in corrispondenza alle esigenze dell\\\\\\\'attuale società «complessa»: naturalmente essa deve coniugarsi con il necessario processo di vera autonomia e concorrenza tra le istituzioni universitarie e con la creazione di scuole superiori professionalizzanti extra-universitarie legate alle esigenze del territorio e dei distretti produttivi, a livelli corrispondenti sia a quello di diploma che di laurea (scuole nelle quali la ricerca deve essere subordinata rispetto alla didattica), con costi minori, frequenza obbligatoria e maggiori servizi per gli studenti, come esistono in paesi europei.

La trasformazione dell\\\\\\\'esame di maturità in esame di accesso all\\\\\\\'università o di abilitazione professionale implica dunque in ogni caso l\\\\\\\'abolizione dell´esame di Stato, cioè una specie di «liberalizzazione» sia in campo scolastico che in campo universitario sostituendo, ad ogni livello, ai controlli attuali burocratici e totalmente inefficienti la formulazione di parametri di conoscenze e sistemi di valutazione adeguati capaci di certificare ilo livello delle conoscenze acquisite.

Quanto allo sbocco sul mercato del lavoro, se ha un senso il discorso sul principio dell\\\\\\\'autonomia si deve dedurre che i titoli di studio non hanno e non devono avere lo stesso peso come oggi formalmente si continua a far credere. Non si tratta di riprendere la discussione,ormai senza senso, sul valore legale del titolo di studio (che esiste soltanto per il settore pubblico e che le ultime svendite di crediti, di diplomi e lauree hanno svalutato completamente), ma di restituire ad una specie di magistratura tecnico-scientifica la funzione di controllo sull\\\\\\\'idoneità del diplomato o del laureato ad esercitare nella società determinate funzioni e professioni, così come avviene già oggi in alcuni settori e così come in altri settori questo controllo viene esercitato dal mercato. Ovviamente ciascuna struttura sarebbe stimolata da un confronto di questo tipo e sarebbe obbligata ad affrontare non soltanto il problema del curriculum degli studenti ma anche quello dell´inserimento professionale dei propri diplomati e laureati.

Pubblicato il 08.07.06

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