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Il OGM non è esportabile
28.06.2003

Non è esportabile il modello degli OGM
di Francesco Baldarelli

Il dibattito sugli OGM è il modo peggiore per affrontare il tema della fame nel mondo, come ha fatto invece il Presidente Bush nei giorni scorsi.
E’ sconcertante come, ancora oggi, prevalga l’idea che la questioni dell’autosufficienza alimentare dei popoli sia legata semplicemente all’utilizzo di organismi geneticamente modificati e alla possibilità di ampliamento della base quantitativa della produzione.
In realtà, per soddisfare l’attuale fabbisogno alimentare globale basterebbe prendere la decisione politica di riorganizzare i flussi alimentari tra Nord e Sud. Se ciò non avviene è per evidenti ragioni di potere e a causa di culture economiche egoiste che negano il libero scambio e impediscono la sovranità alimentare.
Gli Stati Uniti in questi ultimi anni hanno aumentato enormemente non solo la produzione di mais e soia con OGM ma, attraverso posizioni monopoliste nella gestione del mercato dei cereali e dei semi, hanno imposto a molti altri paesi in Sud America e in Asia, un modello in cui il ciclo riproduttivo naturale viene completamente sottratto alla sovranità alimentare di quei popoli: OGM e chimica orientata diventano elemento prevalente di un nuovo dominio.
Come si vede non stiamo contestando la necessità di una scienza e una ricerca libere, nel campo della biotecnologia, ma, dietro la giusta rivendicazione di libertà della scienza, nel dibattito corrente si nasconde uno scontro di potere economico e di modelli organizzativi che nulla hanno a che vedere con la fame nel mondo.
Il tema della sovranità alimentare non riguarda solo le produzioni consapevoli degli agricoltori ma coinvolge anche la sfera dei diritti di libertà e la possibilità di scelta responsabile dei consumatori.
La politica agricola statunitense ha supportato il proprio modello organizzativo attraverso un aumento considerevole dei sussidi diretti ed indiretti alla produzione; attraverso il “farm bill” si è operata un’inversione di tendenza rispetto agli impegni presi a livello di WTO relativi al progressivo abbandono dei contributi all’agricoltura.
L’Europa, pur tra contraddizioni e con forti resistenze, sta cercando di riorientare la sua politica agricola in direzione di una riduzione del sostegno delle produzioni e verso una apertura ai paesi terzi.
In questo tentativo dell’UE si manifesta anche una sensibilità verso i paesi più poveri, con i quali peraltro esistono già politiche di associazione e strategie comuni consolidate nel tempo, anche attraverso scambi multilaterali.
L’organizzazione produttiva dell’Unione Europea, specialmente in agricoltura, ha nella sua impostazione una sensibilità molto elevata verso le tematiche della sicurezza alimentare, dell’ambiente, della tutela della biodiversità.
I temi della ricerca pertanto sono stati affrontati sempre con la cultura della precauzione. E’ evidente che questo senso comune contrasta fortemente con il modello produttivo che gli Stati Uniti tendono ad esportare.
Pensare che gli OGM possano trovare in Europa un’applicazione analoga al modello agricolo statunitense è impossibile, non solo culturalmente, ma anche economicamente per come l’identità agricola europea si è sviluppata, per il valore che hanno i suoi prodotti tipici, la sua biodiversità, la sua identità, il rapporto diretto con il territorio e la sensibilità consapevole dei consumatori, in particolare dopo le gravi crisi alimentari.
Il tema dell’apertura dei mercati deve fare i conti anche con le esigenze dei consumatori europei che pretendono la riconoscibilità e la tracciabilità dei prodotti e con la garanzia di continuità di una agricoltura sostenibile.
Al contempo l’Europa non rinuncia ad essere punto di riferimento per molti paesi del Sud del mondo che vogliono tutelare, nello sviluppo del commercio, la propria identità e sovranità alimentare.
La ricerca europea ha comunque di fronte a sè una sfida e, cioè, la valorizzazione delle biotecnologie in direzione di un modello agricolo e di biodiversità europeo, che orienti anche l’agricoltura tecnologicamente evoluta in direzione della sostenibilità e che tenga presente i modelli di cambiamento climatico. Questo non per rimanere chiusi nella propria torre d’avorio, ma per competere davvero con gli Stati Uniti su un terreno più avanzato, così come è avvenuto per l'energia.
Il confronto non è quindi tra Bush e Prodi o tra l’Europa e gli Stati Uniti, che si incontrano domani e avranno discussioni presumibilmente dure su questi temi, così come non è giusto dare una valenza ideologica a due modelli agricoli diversi, come quello europeo e quello degli Stati Uniti.
La sfida vera consiste nella capacità di far coesistere identità e modelli diversi: sovranità alimentari responsabili, accesso ai mercati, consumatori garantiti. La sede adatta a questa discussione non potrà che essere il WTO.
Al prossimo vertice di Cancun, in Messico, si discuterà non solo della giusta eliminazione delle barriere doganali, ma anche dell’identità e dei valori delle produzioni agricole di tutti i popoli e di come i profitti del commercio di queste derrate possa essere redistribuito in maniera equa ai produttori.

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