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Janette (con due t)
16.07.2006
Veronica Tomassini / La Sicila

Cambiano le siracusane e questo è il momento buono per prendere appunti. La muta scivola di dosso, abbastanza velocemente, prima di ferragosto, entro e non oltre. Le ragazzine godono del privilegio, sono casta chiusa, elette a splendere di giorno, ad accecare, addirittura, la notte. E bastano le pailettes di un top a realizzare la mimesi. Diciamola tutta, siamo saturi di mode e glamour (odiosissimo inglesismo), di passerelle e “cosce lunghe” col solleone. Quante ne abbiamo viste? Quanti concorsi, quante fasce, quanto rimmel? Cominciò il tatoo, poi l’ombelico scoperto (la Raffa nazionale ne può ben donde), poi le meches multistrati, gli strass sui jeans a pinocchietto. Quindi la terra d’India sul viso, le mascherone danzanti in un qualsiasi privé.

Il sudore misto ad una spruzzata di Diorissimo, il deodorante dimenticato sul lavabo. Abbiamo lo stomaco sotto e sopra. Siamo sazi. La graziosa Veruska (prendiamone una, và) non è mica brutta. Diciotto anni a settembre, tanga do brasil, nera da far paura, applique sulla “testolina”, ovvero transazione complicata in quanto premio promozione. E’ generalmente bella, risponde alla globalizzazione del canone estetico: ha le gambe depilate, exstension lunghe come liane, frequenta il lido di Ognina; è meritevole dai glutei in poi. Ottimo. L’amica: dice di chiamarsi Janette, ma “no, non sono straniera, è che mia madre si vedeva una soap“ e allora povera fanciulla, esoticamente parlando, doveva pur rimanere convincente.

Bikini con frangia, ovvio; treccioline e pietre africane ramificate dalla nuca alla fronte. Sembra niente, eppure è un cilicio, essere adolescenti, insomma, “in”, a la page. Un tempo bastava meno (parla la vecchia barbogia), bastavano un paio di Stone Island d’inverno, e un micro tubo d’estate, con spalline posticce (horror da anni ’80). Cotonare i capelli era faccenda da principianti, le acconciature piuttosto monotone, colorazioni per gradi, mai mischiare giallo e blu, altrimenti si finiva con un verde pisello. Oggi, si divide la ciocca, una zucca al cartoccio, ed è fatta: hai le nouances giuste. Sei giusta. Sicuro. Rischiamo di diventare indigesti, come la trippa al sugo, ma pensate alle siracusane di Dionigi o giù di li. Che c’entra? Altro che. Se malauguratamente avessero dovuto indossare vestiti o pendenti di fiori o gioielli di preziosa fattura, apriti cielo.

C’era una legge, non si scherzava, dovevi declamare la tua eterosessualità (e meno male, meglio di un’ignominia da pederasta, senz’altro). Sennò erano guai. E gli uomini? Uguale, vestire chitoni di alta manifattura? Che poi erano tuniche di lino, meno preziose di quello di Amurgo, ma di qualità eccellente. Macché. Loro, bè, dovevano testimoniare pubblicamente una tendenza effeminata, spacciarsi od essere muliebri per gli altri, guardarsi allo specchio e sguinzagliare una sfilza di erre ruvide, di vocaloni aperte, di “cciao bbello” e così via. Ecco qui. Esagerati. Furbo, Dionigi. Lui intanto se la rideva sotto i baffi, spedendo tonnellate di ori, incensi e drappi ricamati, all’amica Olimpia. Vitaccia. Fortunatamente, tutto cambia.

Le siracusane, dicevamo. Seguiamo Janette (“due tti, ti prego”), nel suo shopping quotidiano, sedute timorose sulla coda di uno scooter svettante tanto quanto la padroncina. Parandoci dai colpi delle treccine imperlate, aggrappate con avidità al vitino esile della eterea giovinetta, subiamo il rinculo del posteggio, rapido, senza troppe storie, temendo veramente per un inizio di cervicale. Intimeria. Ok. In vetrina, il solito manichino con un decolté come minimo taglia terza. Il costumino bianco è perfetto. Janette con due “tti” prova anche un mini pareo, poi abbina una cordata di tutine, sopra e sotto l’inguine, con o senza bretelle. Di seguito: perizoma color carne; reggiseno con balconcino; culotte trasparenti; canottiera di filo; fantapantaloncini di tela ruvida.

Finito? Domandiamo con un filo di voce. “No, adesso serve la borsa”. Di nuovo in sella, a destra, rotatoria, a sinistra, semaforo, frenata, bestemmia: “vaff…”, ancora a destra, breve curva, il sellino vibra, un colpo di freni, sdrucciolata. Arrivati. Una borsa: sembra facile a dirla così. Borse marsupio, sacche, tracolle, bustine, è un inferno. I colori galleggiano in un’orbita spaventosa, Janette “con due tti” non smette di ridacchiare e provare e sculettare. Il condizionatore è al massimo: temperature artiche, uno sbalzo climatico da shock anafilattico. Pesante, essere in auge. Janette tira fuori la carta di credito. “Mio padre mi spezza le gambe” e ride, ride di gusto. Stasera, tutti a nanna, promesso?

“Sei fuori? C’è la festa sulla spiaggia” (non citiamo il lido, ma vi basti sapere che è il più gettonato, neanche a dirlo). “Minimo le cinque”. Tequila boom boom, negroni, mandorle tostate, sabbia tra i denti. E’ un massacro. Janette non prende “qualcosa”, è pulita. “Con il jen seng, vai diritta fino al mattino”. Dessimo credito alla profezia? E’ un culto metropolitano, val la pena di fidarsi, darà i suoi benefici. E ora? “Adesso mare. Torniamo da Veruska, due tuffi, un gelato, telefonata a Marco” e a casa, su’ (sic!). Poddarsi. Prima un sms, forse, due chiacchiere sotto il gazebo, sulla riva. E nel frattempo, abbiamo capito tutto. Sul serio. E’ una figata. Tvtb.

Fonte: http://www.lasicilia.it/giornale/1107/SR1107/SR/SR04/navipdf.html

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