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Ma la giustizia sportiva è giusta
16.07.2006
Diego Corrado /lavoce.info -

La lunga estate calda del calcio italiano sottopone tifosi e appassionati a una continua doccia scozzese. A pochi giorni dalla conquista di una storica e insperata Coppa del mondo, l’attesa sentenza della Caf sarà, con ogni probabilità, anch’essa storica, anche se purtroppo per opposti motivi. Con la più che probabile retrocessione della Juventus (in B o C poco importa), con le sanzioni inflitte ai correi, si chiude un’epoca del nostro calcio, che sinora appunto aveva avuto nella squadra torinese il proprio baricentro. Salvo infatti poche parentesi, la storia secolare del nostro sport più popolare è storia di duelli a due, bianconeri da una parte, contendente del momento dall’altra.

Critiche ingiuste

Non sorprende allora la vivacità del dibattito alimentato nelle settimane scorse dalla prospettiva che il prossimo campionato di serie A perda una delle sue storiche protagoniste. Via via che il processo dello stadio Olimpico compiva il suo iter, personalità di vertice della politica e del diritto (tra gli altri il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, il giurista Giuliano Pisapia) hanno criticato, anche aspramente, la corte presieduta da Cesare Ruperto, e prima ancora il contesto normativo in cui questa si è trovata a giudicare.

Due i principali filoni di critica. Il primo, con tono neppure troppo celatamente demagogico, si chiedeva se fosse giusto che assi amati dal pubblico come i neo-campioni del mondo Cannavaro e Buffon giocassero il prossimo anno in una delle serie cadette. E più in generale se fosse accettabile che le colpe di pochi dirigenti fossero pagate da milioni di incolpevoli tifosi, colpiti nel loro passatempo domenicale preferito. Il secondo, più tecnico, seppure illustrato con immaginifici paragoni (l’aula del processo sportivo come il Colosseo in cui poveri innocenti venivano dati in pasto ai leoni) criticava la sommarietà procedurale della giustizia sportiva, che in pochi giorni perviene a sentenze che interessano realtà che sono ormai a tutti gli effetti colossi economici privati, ai quali dunque sarebbe necessario assicurare ben altre garanzie di difesa.

Entrambe le questioni, alle quali ha peraltro già risposto il commissario straordinario della Figc Guido Rossi nell’audizione del 12 luglio alla Camera, sono a ben vedere mal poste. Pur senza entrare nel merito del giudizio (ancora in corso) è comunque possibile svolgere alcune considerazioni di carattere generale.

Il decreto 231

Il fatto che società e altri enti possano essere chiamate a rispondere per gli illeciti commessi da propri esponenti è, ormai dal 2001, norma generale del nostro ordinamento.

Il decreto legislativo 231, approvato in esecuzione di una convenzione Ocse contro la corruzione, è volto a evitare che taluni soggetti economici collettivi (società di capitali, ma non solo) possano trarre vantaggio – a danno dei propri concorrenti diretti – da alcuni specifici reati previsti dallo stesso decreto, compiuti dai loro dirigenti. Prevede sanzioni pecuniarie e interdittive (come il divieto a contrattare con la pubblica amministrazione) a carico dell’ente, irrogate dallo stesso giudice che giudica sulla responsabilità penale delle persone fisiche. Sanzioni che possono essere preventivamente evitate, ove l’ente si sia dotato di modelli organizzativi volti a minimizzare il rischio della commissione di quei medesimi reati. È evidente l’incentivo alla prevenzione, che è il vero obiettivo della legge. Oltre a infrangere il millenario principio del nostro ordinamento societas delinquere non potest (derivante direttamente dal diritto romano), il decreto legislativo 231, come la giustizia sportiva, pone ovviamente il problema di bilanciare tutela della competizione economica e difesa dei diritti dell’ampia platea di incolpevoli stakeholder dell’ente sanzionato (pensiamo ai lavoratori, ma anche agli azionisti, ai clienti o ai fornitori), che sono certamente danneggiati, sia pure in modo prevalentemente indiretto, dalla sanzione alla società. Ma il problema di individuare questo difficile equilibrio non si risolve certo consentendo che questi stessi stakeholder beneficino, come accadeva in passato, delle malefatte dei dirigenti. Ciò infatti implicherebbe un vulnus al funzionamento del mercato, che ove invece sia tutelato, come appunto cerca di fare il decreto, costituisce il miglior meccanismo di tutela di quegli stessi stakeholder. Clienti e fornitori possono rivolgersi a soggetti più corretti, gli stessi lavoratori possono cambiare posto di lavoro. Così, tornando al mondo del pallone, e per quanto ciò possa sembrare oggi doloroso al tifoso bianconero, i neo-campioni del mondo Buffon e Cannavaro possono andare a giocare altrove.

Non è giustizia sommaria

Quanto alla sommarietà della giustizia sportiva, il solo porre la questione come l’abbiamo letta sui giornali è indice di scarsa dimestichezza con l’intero movimento. Provate a immaginare un ordinamento che preveda tre gradi di giudizio contro il fischio dell’arbitro, che pure con l’assegnazione di un rigore, con la convalida o l’annullamento di un gol (decisioni assunte in una frazione di secondo, magari dopo l’affannosa rincorsa a un contropiedista di venti anni più giovane) può determinare redistribuzioni di reddito dell’ordine di centinaia di milioni di euro (anzi decine di miliardi, se stiamo all’ormai famoso studio di Abn Ambro sugli effetti della vittoria mondiale). Scherzi a parte, introdurre le corpose garanzie giustamente previste nei tribunali ordinari vorrebbe dire risolvere, forse, i problemi procedurali, con grande soddisfazione dei giuristi, ma uccidere il campionato, con grande scoramento dei milioni di tifosi (quegli stessi che oggi sono abbattuti dalla sentenza Caf). Che senso avrebbe una competizione in cui uno dei contendenti gioca sub iudice, o l’arbitro è sotto processo per collusione con uno di loro? Provocatoriamente, ma non tanto, visto l’infelice stato della nostra giustizia ordinaria, civile e penale, potremmo ribaltare le critiche giunte alla Caf nelle ultime settimane. Invece di invocare per la giustizia sportiva le garanzie di quella ordinaria, sarebbe più opportuno invocare per questa almeno un po’ della celerità e speditezza della prima.

Fonte:  http://www.lavoce.info/news/view.php?id=9&cms_pk=2277&from=index

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