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Indonesia: la fallita prevenzione
22.07.2006

Invocano aiuto e hanno paura di essere trascurati dai soccorsi i circa 23 mila sopravvissuti allo tsunami di ieri a Pangandaran. La famosa località turistica è stata la più colpita dall’onda anomala abbattutasi sull’isola di Java in seguito a un forte sisma sottomarino a largo di Jakarta. Nel disastro sono morte almeno 379 persone. E il bilancio è ancora provvisorio. Intanto laddove non arrivano gli aiuti ufficiali i locali si mobilitano come possono - riporta l'agenzia Asianews. Centinaia di rifugiati, che hanno dormito all’aperto la notte scorsa in moschee e campi allestiti d’urgenza, lamentano che il governo locale non ha ancora distribuito sufficiente cibo e acqua, né vestiti. A Cilacap, altra zona fortemente colpita dal maremoto, circa 2500 sfollati oggi sono tornati a casa. Erano fuggiti in località più elevate ieri per paura di nuove scosse. Molti ancora i feriti da curare: il governo di Java centrale si è fatto carico delle spese sanitarie che dovranno affrontare i sopravvissuti, mentre oggi il vicepresidente, Jusuf Kalla, ha annunciato lo stanziamento di 100mila dollari per la prima fase degli aiuti post tsunami.
 “La situazione è molto seria. Tutti quelli che vivevano vicino alla spiaggia sono stati duramente colpiti; solo allontanandosi di cinquecento metri dal mare non ci sono più segni del disastro” - segnala l'agenzia Misna. Gli abitanti, anche quelli non direttamente colpiti dal disastro, restano sotto forte shock: il cataclisma di ieri è il terzo a colpire l’Indonesia in un anno e mezzo, il più grave dei quali è stato lo tsunami che il 26 dicembre 2004 causò letteralmente la devastazione dell’intera costa occidentale della provincia di Aceh (isola di Sumatra) con 170.000 vittime. A maggio di quest’anno, poi, la zona di Yogyakarta, 200 chilometri a sud di Pandangaran, è stata colpita da un terremoto che ha provocato 5700 vittime e centinaia di migliaia di sfollati.
 Stamattina sono iniziate le ricerche di eventuali sopravvissuti al disastro. La zona più colpita è stata quella di Pandgandaran, una piccola stazione balneare della costa sud-est di Giava. Il responsabile dei soccorsi nella zona ha reso noto che sono circa 1.500 i soccorritori impegnati nel tentativo di localizzare i feriti e i morti. "Crediamo che molte persone - ha dichiarato - si trovino ancora sotto le macerie. Purtroppo ci mancano strumenti adatti come le pale meccaniche". Il lavoro dei volontari è divenuto una corsa contro il tempo , sulla costa regna un caos che evoca il disastro provocato dallo tsunami del 26 dicembre 2004: il litorale è disseminato di frammenti di pescherecci e edifici distrutti.
 Intanto si indaga sulle responsabilità ed è polemica sulle misure di sicurezza: l'allarme ha suonato in ritardo, in tanti erano ancora sulla spiaggia quando l'onda si è abbattuta. E come hanno riferito fonti ufficiali, la parte meridionale dell'isola di Giava era completamente priva di un sistema di controllo in grado di avvertire tempestivamente la popolazione. Ed anche per quanto riguarda gli aiuti la Tsunami Evaluation Coalition (Tec), organizzazione con il compito di monitorare l'utilizzo dei soldi raccolti a favore delle popolazioni indonesiane, aveva dichiarato che il denaro raccolto nel 2004 nella maggior parte dei casi è stato speso «rapidamente e in modo ostentato» ma senza badare alla reali esigenze della popolazione. Per le catastrofi future, la Tec auspicava modalità di intervento radicalmente differenti. [GB]

Fonte: http://unimondo.oneworld.net/article/view/136638/1/

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