Appunti per un quadro di
riferimenti teorico al "partito democratico"
Luciano Bonet, giugno 06
Nella discussione sul nuovo Partito
democratico (PD), è pericolosamente e colpevolmente assente qualsiasi richiamo a
modelli e teorie dei partiti in quanto tali, confermando la tendenza compulsiva
della politica a farsi sempre più intellettualmente sciatta e metodologicamente
"autoreferenziale". Propongo dunque qui uno schema d’analisi del tutto
svincolato dall’agenda quotidiana (di cui ne costituisce però la premessa),
convinto che se non si recupera un modo di ragionare più ampio, gli esiti
dell’operazione in corso -a confronto delle aspettative diffuse- saranno
deludenti, se non fallimentari. Senza contare che il volontarismo politico
(specie se retto da una forte etica della convinzione), rischia spesso di fare
danni e, comunque, di scontrarsi sempre e puntualmente con la logica stringente
delle interazioni sociali, e/o con la loro stessa imprevedibilità .
In altri termini, il mio non è un discorso
sul "dover essere", ma è, da un lato, un invito ad esplorare le condizioni
preliminari che lo rendano possibile; dall’altro, è un invito a mettere in
discussione lo stesso "dover essere", se questo è accettazione di umori e
stereotipi diffusi ma non sottoposti a sufficiente vaglio critico.
Svilupperò (schematicamente) i seguenti
punti:
1) come e perché nasce, ed eventualmente
muore, un partito politico;
2) i partiti storici, organizzati,
ideologici, di massa e la democrazia
3) la "rivoluzione silenziosa" delle culture
politiche dagli anni ’70 in poi;
4) la crisi delle democrazie
occidentali;
5) un quadro di riferimenti possibile per un
"partito democratico". ................
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prosegue.
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