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Il Congresso sull'Aids, chiusura con retorica
19.08.2006

La sedicesima conferenza internazionale sull´Aids di Toronto si chiude con poche novità e la consapevolezza che sarà decisivo realizzare un approccio globale contro l'Aids, basato sull'accesso ai farmaci per tutti ma anche sulla prevenzione e un cambiamento sociale e culturale. «Da una fase di eccezionalità di deve passare ad una fase più costruttiva», ha detto Peter Piot, direttore del programma delle Nazioni Unite per la lotta contro l'Aids (Unaids). «Per i prossimi 25 anni - ha osservato - la sfida fondamentale sarà avere un approccio su larga scala. Si dovrà proseguire sui binari della ricerca e del cambiamento sociale, non con interventi eccezionali, ma sarà cruciale avere programmi duraturi».

Si sta aprendo una nuova pagina nella lotta all'Aids anche per il direttore del dipartimento Aids dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Kevin De Cock. «Siamo soltanto all'inizio. Abbiamo raggiunto- ha detto - appena un quarto della gente Sud del mondo e il numero di coloro che hanno bisogno della terapia continuerà ad aumentare. Stiamo affrontando un'opportunità senza precedenti, ma anche una grande vulnerabilità. Da un lato i finanziamenti e il supporto politico non sono mai stati così alti, ma si potrà di perdere credibilità e sostegno. Se nei prossimi anni non otterremo un impatto significativo, soprattutto con la prevenzione, sarà difficile continuare ad attirare l'interesse di finanziatori rispetto ad altre priorità globali che inevitabilmente emergeranno, come nuovi agenti infettivi, questioni di sicurezza e ambientali».

La posizione dell'Italia
L'Italia è l'unico Paese del G8 a non avere una rappresentanza al congresso. «L'Italia si trova in una situazione imbarazzante rispetto al problema dell'Aids e forse non vuole prendere una posizione», dicono i rappresentanti delle Ong, pochi tra medici e ricercatori, intervistati in un articolo del Corriere Canadese di Toronto. «L'Italia non ha adempito alla promessa di contributo al Fondo Globale - affermano Iacopo Viciani e Eleonora Tantaro, attivisti di ActionAid International -. Non ha ancora versato 20 milioni di dollari per il 2005 e 130 milioni di dollari per il 2006. Nonostante il viceministro degli Esteri, Patrizia Sentinelli, che ha la delega alla Cooperazione e allo sviluppo, abbia dichiarato che la donazione sia una priorità, di fatto non è stata messa a bilancio».

Terapie e prevenzione
Che le terapie da sole contro l'Aids non basteranno è chiaro per tutti, come è chiaro che la battaglia sarà ancora lunga e difficile. Per il presidente del congresso Mark Wainberg, dell'università del British Columbia «l'Aids continua ad essere il nemico numero uno». Portare la terapia nel Sud del mondo e proseguire sui binari della ricerca e della prevenzione sono le indicazioni per il futuro. Secondo Giuseppe Pantaleo, dell'università di Losanna, la conferenza mondiale che si chiude oggi «avrà un peso importante perché per la prima volta la prevenzione è stata proposta come un approccio globale. Non è sufficiente - ha rilevato - dare farmaci nei Paesi in via di sviluppo. La difficoltà dei prossimi anni non sarà aumentare il numero delle persone in terapia, ma riuscire a mantenere a lungo termine questo standard. Questa sarà indubbiamente una delle difficoltà maggiori e la sfida più importante. Come si garantirà la continuità? È questo il grande punto interrogativo».

Anche per Stefano Vella, direttore del Dipartimento del farmaco dell'Istituto Superiore di Sanità, «dobbiamo renderci conto che con la terapia da sola non ce la faremo. Sicuramente ci sarà bisogno di un vaccino terapeutico e di strategie per sostenere il sistema immunitario. In Africa - ha aggiunto - per ogni paziente che riusciamo a mettere in terapia se ne infettano dieci. Il problema è sostenere lo sforzo incredibile che stiamo facendo. Si tratta di andare avanti per anni». E tra i grandi punti interrogativi con cui si chiude il congresso di Toronto, c'è quello delle possibili conseguenze che a breve potranno esserci per il fatto di avere portato nei Paesi in via di sviluppo terapie estremamente semplici e che potrebbero indurre il fenomeno della resistenza del virus alle cure: «Attenzione - ha detto Vella - al fatto che non c'è una terapia di seconda linea: in Africa sono state portate solo terapia molto semplificate e questo tra alcuni anni potrebbe diventare un boomerang. I soldi ci sono, diamo le cure giuste. Meglio trattare dieci pazienti bene che venti male, bisogna portare giù l'eccellenza, altrimenti si rischia uno spreco di risorse».

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=58950

 

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