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Uncini e cuori a Sarajevo
28.08.2006
Da Sarajevo, scrive Nicola Falcinella / Osservatorio sui balcani

In corso il 12mo Sarajevo Film Festival. Un cuore che batte quasi ignorato nella città bosniaca. Anche se il cinema è tra i principali prodotti d'esportazione della Bosnia di oggi

Due uncini capovolti che si congiungono a formare un cuore. È il logo, simbolo di come gli oggetti (e le situazioni) possano essere ribaltati fino a cambiarne il senso, del Sarajevo Film Festival che in questi giorni sta vivendo la dodicesima edizione.
Un cuore che batte quasi ignorato dentro la città bosniaca: pochi se ne interessano, gran parte degli abitanti quasi non vi fa caso. Questo nonostante il cinema sia ora il principale prodotto d’esportazione della Bosnia insieme alle centinaia di migliaia di emigranti.
I film e i registi – Danis Tanovic, Jasmila Zbanic, Srdjan Vuletic, Pjer Valica, Ahmet Imamovic e altri – sono il miglior biglietto da visita di un Paese in tutti i sensi ancora troppo lontano dall’Europa.
I film – di finzione o documentari – di casa sono fra i più interessanti visti nei primi giorni. E anche i migliori fra gli stranieri – il croato “Put lubenica – La strada dei meloni” di Branko Schmidt e lo svizzero-serbo “Das Fraulein” di Andrea Staka – hanno a che fare con la Bosnia.
Accanto ai bosniaci, sono i rumeni i più apprezzati, con un gruppo di opere espressione di una stagione particolarmente fruttuosa (iniziata da “La morte del signor Lazarescu” di Cristi Puiu nella primavera 2005) che si spera non si arresti.
Il compatto e forte “Paper Will Be Blue”, opera seconda di Radu Munteanu, tutto ambientato nella notte del 21 dicembre che precedette la “rivoluzione” contro Ceausescu, e la commedia amara “12:08 East of Bucharest – C’era o non c’era” di Corneliu Porumboiu. Il tema, in chiave diversa, è lo stesso, ma Munteanu segue una pattuglia di soldati (e la loro contrapposizione alla Militia), Porumboiu cerca di estrarre la verità da tre “reduci”.
La Bosnia ha in gara ben 3 opere prime su 9 film nella competizione regionale. Il più applaudito (e fra i più votati dal pubblico dopo “The Road to Guantanamo” di Michael Winterbottom) è stato Jasmin Duraković con il pur debole e stereotipato “Nafaka”.
Una storia corale quella di Antonio Nuić con “Sve dzaba – All for Free”. Una sorta di favoletta protagonista un trentenne (che somiglia a Leonardo Pieraccioni) al suo primo lavoro, un modo per far emegere che non tutto va secondo i piani e a un’azione spesso non corrisponde la conseguenza desiderata. Alla morte dei suoi amici (per una vendetta amorosa) decide di vendere la casa di famiglia, acquistare un furgone e girare in tondo la Bosnia offrendo bibite gratis fra lo sconcerto (e la rabbia) generale.
Un film sull’impossibilità di capirsi e sull’impossibilità di evadere dalle situazioni: le soluzioni, le cose che ci cambiano la vita sono dentro di noi. Un po’ quello che ha detto Nick Nolte, ospite d’onore del Festival: “Il mondo oggi ha bisogno di pace, ma la pace non è solo assenza di guerra, è qualcosa che deve partire da dentro di noi e con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno”.
Il talentuoso ungherese Péter Mészáros ha mostrato in “Kythera” la vita di una coppia annoiata che passa il tempo guardando spot pubblicitari, partite di calcio e spettegolando sulle due belle vicine.
Su tutto il sogno e la suggestione del quadro “L’imbarco per Citera” di Watteau che suggerisce una vacanza risolutiva. Anche di un aborto lasciato sullo sfondo. Il film è visivamente molto ricco e curato (con un uso insolito dei dettagli) ma alla fine sembra lasciare il tempo che trova.
Anche “Put lubenica – La strada dei meloni” dell’unico autore “esperto” – ha realizzato già sette opere – selezionato per la gara, il croato Branko Schmidt, è un film che svanisce in fretta dalla memoria e dal cuore. Il regista di “Vukovar” (1994, il primo film sulla guerra) racconta amore, immigrazione clandestina e vendetta sulle rive della Sava. Siamo sul confine tra Bosnia e Croazia, un ricettacolo di perdenti che credono d’esser grandi e quando non sanno cosa dire sparano. Il giovane protagonista si tiene prima tutto dentro (il dolore e l’amore per una ragazza cinese, unica sopravvissuta al ribaltamento della barca durante un tentativo di traversata), poi esplode in una sparatoria alla Clint Eastwood.

Fonte: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6061/1/51/

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