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€ 856.700.000 spesi: la destra ha bocciato l'election day
30.08.2006
In tre consultazioni (senza l'election day proposto dall'Unione ma bocciato dal Polo) sono stati spesi almeno 856,7 milioni di euro - L'ha appena data “Il Sole-24 Ore” con un documentatissimo paginone dedicato al costo dei tre turni elettorali di quest’anno...

Giorgio Frasca Polara dal Magazine di dsonline.it

Una conferma insospettabile e documentata della denuncia di Magazine circa le conseguenze del blocco, imposto in primavera da Berlusconi, della proposta dell’Unione dell’election day che avrebbe fatto risparmiare all’erario almeno 150 milioni di euro, qualcosa come trecento miliardi delle vecchie lire? L’ha appena data “Il Sole-24 Ore” con un documentatissimo paginone dedicato al costo dei tre turni elettorali di quest’anno: almeno 856,7 milioni, in lire millesettecento miliardi, senza contare il costo per i partiti (diciamo prudentemente altri 133 milioni di euro) delle liste bloccate: con il proporzionale senza preferenze la spesa maggiore si è trasferita dai singoli candidati alle strutture che li hanno presentati.

Nel marzo scorso, dunque (qui a sinistra, in basso, tra le vecchie note c’è il riferimento utile, e scusate la autocitazione) Magazine denunciò che, se il governo di centrodestra non avesse bloccato l’idea per miserabili interessi elettoralistici, per giunta rivelatisi perfettamente vani, una unificazione del voto politico e del voto amministrativo avrebbe comportato un rilevante risparmio e una conclusione più soft delle lezioni scolastiche. Niente da fare: giocò solo il terrore berlusconiano dell’effetto trascinante dell’ottima gestione dei comuni e delle province “rosse”.

Con quali risultati? Ecco i dati forniti dal “Sole” sulla base di stime del ministero dell’Interno. Per le elezioni politiche del 9 e 10 aprile le spese ammontano almeno a 427,7 milioni di euro compresi i 34,6 milioni spesi per lo scrutinio elettronico effettuato in parallelo in quattro regioni-campione. Commento del quotidiano economico: “Cifre non ancora definitive che rendono però evidente il risparmio che si sarebbe ottenuto accorpando politiche e amministrative secondo una vecchia proposta di legge firmata Ds (no, era firmata dai capigruppo di tutto il centrosinistra, ndr), circa 150 milioni”.

Per le successive elezioni amministrative (28 e 29 maggio) che hanno coinvolto milleduecento comuni, otto province e la regione siciliana, il costo stimato da Viminale, regione Sicilia e grandi comuni è di 200 milioni. Solo per le quattro città metropolitane sono stati spesi 30,7 miliardi, e per fortuna che in nessuna delle quattro è stato necessario il ricorso al secondo turno: sarebbe stato necessario un supplemento di spesa non irrilevante…A questo proposito vale la pena di segnalare (non tutti sono tenuti a saperlo) che una parte rilevante delle spese per le amministrative sono a carico dei singoli poteri locali che, come lo Stato, avrebbero avuto tutto da guadagnare dall’election day. Ad esempio gli uni risparmiandosi le spese per pagare i componenti i seggi e per il ri-montaggio dei seggi e l’altro risparmiandosi tutta una serie di spese accessorie a carico dell’erario centrale.

L’unica consultazione che, per legge, dev’essere isolata – non può cioè essere accorpata ad altra/e consultazioni – è il referendum: quello sulle irresponsabili riforme costituzionali imposte dal Polo (25-26 giugno) è costato, parliamo sempre e solo di stime, 226 milioni di euro cui bisogna aggiungerne altri 3 per rimborsare alla Tirrenia e a Trenitalia le agevolazioni di viaggio per gli elettori lontani. Qui però bisogna risalire alle origini: tutti sapevano che le riforme sarebbero state bocciate (magari i più non immaginavano che il “no” avrebbe vinto con l’enorme proporzione sortita dalle urne), e allora perché provocare un braccio di ferro così aspro approvando a maggioranza quella che appariva come una destrutturazione selvaggia della Carta costituzionale. Risultato al danno della riforma (fallita) si è sommata la beffa di accollare il danno delle spese elettorali alla collettività.

Ancora due considerazioni. Una riguarda gli effetti della cervellotica legge elettorale proporzionale senza preferenze (altra geniale operazione del Polo che contro il centrodestra si è risolta): il risultato è che la gran parte della spesa elettorale è finita a carico del partito di riferimento del candidato che, con la legge elettorale precedente, si assumeva oneri assai maggiori per il diretto interesse, mediato dalla propria presenza, al successo della lista di riferimento. Se i Ds hanno chiesto e ottenuto da ciascun candidato una partecipazione alle spese (proporzionale alle concrete possibilità di elezione: diciamo dai 30 ai 40mila euro), Forza Italia ha raddoppiato il proprio investimento. L’altra considerazione riguarda l’idea lanciata dal nuovo ministro dell’Interno Giuliano Amato (farina del suo sacco sono molte delle cifre cui ha fatto riferimento “Il Sole-24 ore”) di alternare gli anni in cui si vota, in pratica un election year. Ben più complessa del votare-tutto-in-una-sola-data, l’unificazione delle elezioni un-anno-sì-un-anno-no imporrebbe proroghe e/o anticipazione dei mandati, senza contare che in un’occasione (le elezioni europee) la scelta del giorno, del mese e dell’anno non dipendono dall’Italia, e in un'altra (il referendum) il meccanismo è regolato dalla Costituzione e da specifiche leggi.

da http://www.dsonline.it/magazine/documenti/dettaglio.asp?id_doc=36185

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