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RI-CENTRARE LA CITTA' DELL'UOMO
1.07.2003
Il tempo che stiamo vivendo è triste: la violenza è sotto gli occhi di tutti. Diverse sono le sue origini. Le guerre: quelle – poche – di cui i media si impadroniscono, salvo abbandonarle quasi improvvisamente. Chi ricorda più l’Afghanistan? E poi quelle relegate nel dimenticatoio del disinteresse, o perché non sono coinvolti interessi italiani o perché sono troppo lontane da noi… Quasi che la dignità dell’uomo si misuri in distanze chilometriche (nella povertà di informazione internazionale fornita dai media nazionali, dai giornali, ai giornali radio e ai Tg). E poi la povertà, tanto che il Papa aveva già ricordato, nel messaggio per la pace del 1° gennaio 1998, che "la giustizia cammina con la pace". E ancora la mancanza di istruzione e formazione, cioè la cultura che consente di accedere a una nuova e migliore qualità della vita.

Noi, che assistiamo a situazioni di violenza quotidiana, dovremmo capire perché non ha senso la guerra. Eppure l’abbiamo scatenata: noi, esponenti della "civiltà". Che chiamammo "barbari" quei popoli, che conquistarono il territorio dell’Occidente, perché privi di una cultura pari a quella romana, che aveva generato il diritto con il quale misurare la giustizia. Ma quale giustizia? Quella del vincitore? O quella che applica ai suoi giudizi i valori che fondano la civiltà occidentale? Ci siamo dimenticati forse che conquistammo la nostra libertà con il sangue, il nostro sangue, e potemmo conquistare così il rispetto presso chi ci aveva aiutati?


L’Occidente, che ha inventato la politica e la democrazia, è miseramente ricaduto nella guerra come politica condotta con altri mezzi.


Un interrogativo si impone: era inevitabile? Forse – e solo Dio sa quanto pesino queste parole – sì. Sì perché la forza delle idee che i movimenti per la pace hanno messo in moto non è stata sufficiente ad incidere sul piano della politica giocata nei palazzi. Possiamo criticare – ed è doveroso farlo, come le pagine di questa rivista documentano dal suo sorgere – la politica condotta nelle sedi del potere, ma sino a quando non si riuscirà a costruire una alternativa credibile e praticabile, saremo tra i perdenti. Forse in pace con la nostra coscienza – e non è cosa sulla quale ironizzare stupidamente – ma con un seguito tra la gente non sufficiente per governare. Perché in democrazia – ammoniva un vecchio saggio come Norberto Bobbio – i numeri contano.


Cosa può dire, allora, la nonviolenza a questa situazione? Perché costruire un numero di "Orientamenti" su questa questione? E perché proprio ora, visto che la guerra di cui si sono occupati i media era annunciata almeno dai mesi immediatamente seguenti il tragico e sconvolgente 11 settembre 2001?


La risposta, certo non facile e per nulla scontata, sta nel fatto che questa situazione – anche grazie all’elevato numero di persone che hanno manifestato, nei modi più diversi, la loro contrarietà alla logica della guerra e il favore per quella della pace – ha messo alla prova non solo la mobilitazione della gente, ma anche la possibilità di dare spazio reale a una grande intuizione gandhiana: l'esigenza di costruire un progetto politico realizzabile qui e ora, con i tempi della politica.


Questa è la sfida: la prassi della nonviolenza, così come si è venuta realizzando nel corso dell’ultimo secolo, sulla scia del Mahatma indiano e dei suoi discepoli sparsi per il mondo, è in grado di guidare verso una società e un mondo nuovi? È in grado di elaborare un programma politico positivo, oltre quel programma di lotta che ciascun osservatore attento della storia gli riconosce? Può essere intesa come teoria politica capace di ispirare una prassi quotidiana e progetti di medio e lungo periodo per la società occidentale?


Ecco allora le interviste riprese a cura di Federico Tagliaferri che presentano la nonviolenza in azione in due contesti diversi, come gli Usa e l’India; la testimonianza di un nonviolento italiano, Alberto Guariso, che ha messo in gioco la sua competenza giuridica sul campo per elaborare e produrre testi giuridici a partire dalla gente e le sue esigenze. E poi la riflessione di Raffaele Mantegazza sull’educazione nonviolenta e sulle sue possibili implicazione in relazione alla riforma della scuola, e quella di Sergio De Carli che introduce una lettura della nonviolenza come teoria politica. Su questa questione il dibattito potrebbe essere anche molto vivo e mettere in discussione molte acquisizioni date quasi per scontate nel mondo occidentale. Una verifica condotta attraverso confronti e dialoghi a più livelli potrebbe non essere inutile.


Se la nonviolenza è portatrice di forza e di coraggio, ed è fuori discussione questa sua caratteristica, perché non provare a prendere il toro per le corna e costruire questo dibattito? Anche questa è una sfida capace di sviluppare e far crescere la cittadinanza e il protagonismo dei cittadini, questioni delle quali ci occuperemo più specificamente in un prossimo numero.


* * * * *


Questo numero presenta alcune novità sia sul piano grafico e sia su quello dei contenuti. Senza tradire le radici, e quindi secondo una logica di continuità con i primi venticinque anni di vita, abbiamo cercato di rendere più appassionante e coinvolgente la copertina, la disposizione dello scritto nella pagina, aumentando i saggi che compongono ogni numero della rivista, sviluppando due filoni di pensiero che rimarranno costanti per l’intera annata. In questo modo l’offerta della rivista cresce in quantità e – speriamo anche – in qualità. Rimane ovviamente confermato anche il potenziamento di Libri e idee.


La copertina: ci è parso interessante ripensarla in modo tale da fornire al lettore – anche visivamente – l’oggetto di cui si occupa "Orientamenti". Abbiamo scelto il progetto di una città, Sforzinda (elaborato da Filerete nel XV secolo), una città ideale eppure estremamente reale (l’architetto indicò anche le maestranze necessarie, dodicimila maestri e ottantaquattromila lavoranti, per realizzarla), presentata in un Trattato scritto in volgare perché fosse comprensibile a tutti. Una città disegnata per essere vissuta, espressione della laboriosità milanese e insieme aperta a un grande respiro; una città in evoluzione frutto di ars et ratio, sintesi dell’incontro tra Oriente e Occidente (Milano pensata come crocevia di itinerari esistenti e futuri, culturali e artistici e non solo di potere commerciale). Modello urbanistico certo datato, ma intuizione che non è solo urbanistica e ancora molto attuale: è un "organismo vivente" che cresce con l’uomo e con il suo progetto di società perché – affermava Filerete – "io voglio sempre migliorare l’opera".


L’intuizione riunisce – secondo una sintesi progettuale certo originale per quel tempo – la possibilità di sviluppo in orizzontale con la valorizzazione di quel centro che costituisce (o dovrebbe costituire) per ogni città il perno e il riferimento politico, ma anche etico ed economico, culturale e religioso. Inoltre ci sia consentito il rimando a una figura milanese, Giuseppe Lazzati, che fece della città dell’uomo (di agostiniana memoria, e quale memoria per un maestro apprezzato di letteratura cristiana antica) l’oggetto della sua riflessione proprio in relazione alla politica e al suo valore per l’uomo. Lungo quel solco, che attraversò anche il nascente Centro Sociale Ambrosiano, ci piace pensare di poter continuare a camminare, coscienti dei limiti che ci caratterizzano in quanto esseri umani, insieme alle potenzialità volte a costruire una politica per l’uomo delle diverse città della terra.


Rimane inalterato il carattere monografico di "Orientamenti", che lo qualifica nel panorama della riflessione italiana. Gli si aggiungono alcune rubriche che costruiranno un legame continuativo con i lettori nel corso dell’anno: per il 2003 abbiamo pensato alla delineazione di alcune figure significative per la politica, l’azione e il pensiero, che hanno caratterizzato il Novecento appena concluso, proseguendo così nel lavoro di scavo iniziato con il numero 3-4 del 2000, e alla continuazione della ricerca biblica (il numero 7-8 dello scorso anno è stato apprezzato in diversi ambienti e ci sono giunte un numero consistente di note positive) in relazione alla politica. Due modi diversi per cogliere le radici profonde dell’impegno a servizio degli altri presenti nella memoria dell’uomo.


Sarà presente ogni volta anche una pagina di Epoché e logos: il mettere tra parentesi (epoché) che ha caratterizzato la filosofia di Edmund Husserl, per richiamare l’uomo del nostro tempo a prendere le distanze dal presente e – attraverso qualche pensiero di autori antichi eppure ancora freschi e nuovi – ripensare (il riferimento al logos) alle grandi categorie del pensiero in relazione all’uomo come valore nell’esperienza politica.

di Eugenia Montagnini e Sergio De Carli

da Orientamenti, la rivista monografica edita dal Centro Sociale Ambrosiano

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