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Un passaggio stretto per le minoranze (L. Enriques da lavoce.it)
21.09.2006
Il piano di Telecom Italia è di costituire due nuove società controllate, nelle quali confluirebbero separatamente le attività di telefonia mobile e la rete di accesso locale. Molti sostengono che queste operazioni non siano nell’interesse della società e dei suoi azionisti, bensì soltanto del gruppo di controllo.

Supponiamo in via di ipotesi che questa tesi sia fondata (ma sia chiaro che chi scrive non ha elementi per giudicare se ciò sia vero) e mettiamoci nei panni di un azionista di minoranza: quali speranze ha costui che il piano non venga portato avanti, ovvero di ottenere perlomeno il risarcimento del danno conseguente alla sua esecuzione?

Le regole di governance di Telecom Italia

L’azionista di minoranza può anzitutto contare sul fatto che quattro dei ventuno consiglieri d’amministrazione sono espressione di una lista presentata da investitori istituzionali: dovrebbero essere particolarmente sensibili all’esigenza di tutelare gli interessi di tutti gli azionisti. Non importa che si tratti di una minoranza: la presenza di amministratori (potenzialmente) combattivi, per pochi che siano, può avere effetti significativi sulle dinamiche del consiglio di amministrazione.

Inoltre, nel ben tredici sono gli amministratori che la società ha qualificato come indipendenti (inclusi tra questi i quattro di minoranza). (1) Soltanto con l’assenso di almeno una parte di questi consiglieri il piano potrà passare.

Telecom Italia si è dotata di una specifica procedura per l’approvazione delle operazioni con parti correlate, ossia che abbiano come controparti, tra gli altri, i soci che detengano più del dieci per cento delle azioni. (2) Si tratta di principi all'avanguardia nel panorama italiano.

Peccato però che il piano in questione non sarebbe una "operazione con parti correlate" e che dunque la procedura non si applicherebbe nel caso di specie (a meno di una scelta in tal senso del Cda).

Di conseguenza, si applica il codice civile, che consente anche agli amministratori in conflitto d’interessi di votare, previa dichiarazione del proprio interesse nell’operazione (articolo 2391).

L’incompetenza dell’assemblea e il rinnovo delle cariche

Un piano come quello prospettato da Telecom non richiederebbe un voto degli azionisti, poiché nessuna delle operazioni previste sarebbe di competenza dell'assemblea.

Ma la prossima assemblea annuale di Telecom fornirà l’occasione per mettere in discussione l’operato degli amministratori: il consiglio dovrà essere rinnovato e, pertanto, tanti soci che aggreghino almeno l’1 per cento delle azioni potranno presentare proprie liste di candidati.

La lista alternativa potrebbe raccogliere voti grazie a una sollecitazione di deleghe di voto (che può essere promossa da qualunque azionista in possesso almeno dello 0,5 per cento delle azioni) e potrebbe in teoria ottenere un numero di voti sufficiente a nominare la maggioranza del consiglio.

È però improbabile che il gruppo di controllo, al 18 per cento, si presenti in quell’assemblea senza alleati in numero sufficiente per eleggere uomini di propria fiducia.

I rimedi

Supponendo che il piano sia approvato dal consiglio d’amministrazione, cosa potrebbero fare gli azionisti di minoranza per evitare che sia eseguito o perlomeno per ottenere il risarcimento del danno?

L'annullamento della delibera per conflitto d’interessi potrebbe essere richiesto solo da eventuali amministratori assenti o dissenzienti o dal collegio sindacale. Il singolo azionista, quale che sia la percentuale di azioni che possiede, non vi sarebbe legittimato. (3)

La strada del risarcimento del danno può essere percorsa, nei confronti degli amministratori, da tanti azionisti che aggreghino almeno il 2,5 per cento del capitale. Non solo la percentuale è assai elevata, ma la condanna andrebbe a favore della società e non dei soci, che dunque avrebbero ben pochi incentivi ad esercitarla.

Ciascun azionista potrebbe agire nei confronti della società che esercita un’attività di direzione e coordinamento nei confronti di Telecom Italia. Quest’azione sarebbe assai complessa: occorrerebbe dimostrare qualcosa che Pirelli e Olimpia hanno sempre negato, ossia che esse esercitano un’attività di direzione e coordinamento su Telecom. Inoltre, si dovrebbe dimostrare che la società capogruppo, agendo nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, ha violato "i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale" (checché ciò significhi). E i convenuti potrebbero liberarsi da responsabilità dimostrando che il danno che l’azionista lamenta di aver subito in ragione del comportamento della controllante "risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento" (articolo 2497 codice civile).

Si tratta d’una azione così oscura nei presupposti che, anche a causa dell’assenza di precedenti, presenta un rischio d’insuccesso notevole, quali che siano le specifiche circostanze del caso.

In conclusione, la tutela degli azionisti di minoranza è nelle mani degli amministratori di Telecom Italia e, in particolare, di quelli indipendenti. Se questi approvano il piano (che qui per mera ipotesi e a fini espostivi si è supposto dannoso per Telecom), le strade per gli azionisti di minoranza sono due, entrambe impervie. O si coalizzano in una maggioranza alternativa nella prossima assemblea - ma i problemi di azione collettiva sarebbero enormi. O si cerca una tutela in giudizio, che, anche ignorando i tempi biblici della giustizia civile, resta limitata nei mezzi e poco promettente sul piano dei risultati.

*****

(1) Per essere qualificati indipendenti, gli amministratori devono essere liberi da relazioni con gli amministratori esecutivi e con il gruppo di comando tali da inficiarne la libertà di giudizio nel perseguire l’esclusivo interesse sociale.

(2) Principi di comportamento per l’effettuazione di operazioni con parti correlate (http://www.telecomitalia.it/TIPortale/docs/investor/principi_operazioni_parti_correlate.pdf).

(3) A rigore, egli potrebbe tentare di dimostrare che Telecom Italia è sotto la direzione e coordinamento del gruppo di controllo e di convincere il giudice che, essendo mancata una motivazione analitica della deliberazione (art. 2497-ter, cod. civ.), questa è annullabile perché in contrasto con la legge e come tale impugnabile dal socio che abbia subito una lesione dei propri diritti (art. 2388 cod. civ.): una strada quanto mai impervia e con ben poche chance di successo.

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