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Partito democratico; Orvieto, un'opportunità |
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22.09.2006
E invece bisogna accelerare col Pd, Il centrosinistra non ha altra scelta
Un secondo matrimonio, secondo Samuel Johnson, rappresenta il trionfo
della speranza sull'esperienza: un'osservazione che le discussioni
sull'allargamento della maggioranza e sulle grandi intese estendono
al secondo governo Prodi. Un esecutivo che ha già la febbre alta. La
causa è da ricercarsi nella gestione amatoriale del caso Telecom e
nell'ambigua natura di alcuni rapporti politici all'interno della
maggioranza, di cui il caso De Gregorio è solo la punta dell'iceberg,
ma che ha serio fondamento nella difficoltà di affrontare in maniera
compatta le grandi riforme di cui il paese ha bisogno. Come dieci
anni fa, anzi con grande anticipo rispetto alla prima volta di Prodi
a Palazzo Chigi, sono iniziate le grandi manovre per esplorare nuovi
scenari parlamentari. Oggi, è sottinteso - come lo era allora - che
spetterebbe ad altri guidare il governo con una maggioranza diversa
da quella emersa dalle urne. D'altro canto, c'è una discreta
abbondanza di aspiranti premier sia nel caso di un esecutivo politico
sia di una soluzione istituzionale.
L'unica novità , rispetto alla prima stagione dell'Ulivo, è il
progetto del partito democratico: una variabile indipendente e un
deterrente. Il partito democratico ha potenti nemici. Ci sono
resistenze dentro i Ds e la Margherita, dove alcuni prospettano tesi
alternative quali la semplice alleanza elettorale fra soggetti
diversi o la federazione. La legge elettorale, i regolamenti
parlamentari e le norme per il finanziamento della politica
incoraggiano la frammentazione e assicurano alle oligarchie un potere
di cooptazione decisivo. Invece, il partito democratico presuppone la
semplificazione, il bipolarismo, l'alternanza, la riduzione della
distanza ideologica, il quadro maggioritario. Sono visioni
configgenti che spiegano le forti resistenze alla nascita del partito
democratico.
Eppure, il nuovo soggetto politico segnerebbe la chiusura di una fase
transitoria della politica italiana. I due maggiori azionisti del
centrosinistra sono a loro volta esperimenti recenti.
Esperimenti
incompiuti e falliti. Non c'erano nel 1992, quando insorsero le cause
acute di morte del sistema dei partiti del dopoguerra. E' singolare,
quindi, che proprio loro si facciano difensori di storie antiche che -
se i propositi dell'alba della seconda repubblica erano sinceri -
non esistono. In ogni caso, sia che Fassino, Rutelli e D'Alema
vogliano fare sul serio o no, la variabile indipendente del 2006, il
Pd, rende più difficili approdi alternativi al governo scaturito
dalla striminzita vittoria alle elezioni politiche e condiziona
perfino l'inespressa volontà di limitarsi a una fusione di apparati e
di classi dirigenti.
Limitiamoci a esaminare i fatti. Il presidente del Consiglio, nel suo
messaggio al forum dell'associazione per il partito democratico, il 4
luglio al Radisson, ha invitato tutti ad accelerare il passo. C'è poi
un governo di chiara impronta riformista, sebbene offuscata da pochi
estremisti vocianti e inopportuni (oltre al travaglio
sull'Afghanistan, all'annuncio di barricate per la finanziaria, anche
le insensate dichiarazioni su Fidel Castro). Il partito democratico
avrebbe fra le immediate priorità il rafforzamento della componente
riformatrice e il ridimensionamento dell'ala radicale della sinistra.
Per quanto i leader dei partiti si diano da fare, tutto ruota ancora
intorno a Prodi. Se resterà in sella a lungo e otterrà qualche
risultato come premier, il governo diventerà il catalizzatore del
passaggio al nuovo sistema dei partiti. Se sarà sbalzato, il
professore potrà scegliere di mettersi a disposizione della
Repubblica come padre nobile e carta di riserva, oppure potrà rompere
gli indugi e mettersi alla testa del Pd. C'è da scommettere che
molti, illusi dalla speranza e scottati dall'esperienza, lo
seguirebbero. In entrambi i casi, con o senza Prodi, si
determinerebbe una spinta a procedere e quanti oggi si battono per
costruire un nuovo partito insieme a Ds e Dl potrebbero decidere di
fare da soli, suonando la diana della competizione all'interno dello
stesso recinto del centrosinistra. Tanto più con una legge elettorale
che, sia per le europee ma ancor più per le politiche, favorirebbe un
esperimento di questo tipo.
A Orvieto, i leader delle due maggiori formazioni del centrosinistra
si preparano all'ennesimo seminario sull'agenda del futuro partito.
Perché non sia ancora una volta un inutile esercizio di meditazione e
di retorica, converrà passare da una fase di impegni generici a un
percorso che sia realmente condiviso e partecipato, lasciando da
parte la pretesa di tenere tutto sotto controllo, nel tentativo di
evitare che il processo costituente sfugga di mano ai gruppi
dirigenti. Il meccanismo ormai è in moto e l'eventuale caduta di
Prodi potrebbe addirittura accelerarlo. In mezzo a tante variabili,
dipendenti e indipendenti, due certezze. La prima: la finestra di
opportunità è destinata a chiudersi con le elezioni europee del 2009.
La seconda: l'irrazionalità e l'imperfezione degli esseri umani è
effettivamente mitigata dall'esperienza.
Claudio Lodici su Il Riforimista
www.ilriformista.it
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