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Paura del passato (G. Pasquino su l'Unità ) |
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22.09.2006
Sia o no da perseguire attivamente, e non soltanto a parole, la prospettiva del Partito Democratico non è finora apparsa trascinante per molte ragioni. Non credo, anzitutto, che si debba mettere da parte come irrilevante il problema della collocazione internazionale, ovvero, più precisamente nel Parlamento europeo, dell´eventuale nuovo partito italiano. L´impossibilità di trovare una soddisfacente collocazione europea non è un´obiezione dirimente a condizione che i prossimi dirigenti del Partito Democratico abbiano sufficiente immaginazione politica e capacità di convinzione; ma non è neanche una obiezione da scartare come un non-problema. Non penso neppure che coloro che riluttano di fronte a una prospettiva nient´affatto definita, anzi largamente velleitaria e fatta discendere da culture politiche rigorosamente del passato, abbiano, come scrive Stefano Ceccanti, paura del futuro.
Né che quelli che si lanciano in un futuro oscuro siano automaticamente cittadini e politici migliori. Dovrebbe, invece, preoccupare il presente, anche dei gruppi unici dell´Ulivo e dei molti ambiziosi che saltano su un carro che non sanno dove li porterà , ma che contano sul loro "mettersi vicino" a chi li dovrebbe portare. La mia preoccupazione deve, piuttosto, essere espressa sotto forma di "paura del passato", meglio del passato che non passa.
Gli incontri fra (ex)comunisti ed ex(democristiani), tentati e avvenuti, non hanno mai dato risultati particolarmente apprezzabili, e non soltanto sul tema della laicità . Da quello che ho letto, la posizione espressa da Rodotà era tanto laica quanto adeguatamente documentata e, in materia di diritti, Rodotà non è sicuramente, come direbbero i giovani, "antico". Le valutazioni espresse dagli ex-democristiani della Margherita mi sono sembrate prevalentemente ispirate alle vecchie posizioni di un passato che rimane e che si estende sul presente e sul futuro.
L´altro passato di cui ho, almeno metaforicamente, paura è quello dell´organizzazione partitica e delle modalità di formazione delle decisioni in seno ai partiti. Il minimo che si possa dire è che i democristiani avevano costruito un loro sistema di oligarchie competitive finanziate e influenzate dall´esterno e che i comunisti esercitavano una possente opera di compressione non soltanto del dissenso, ma della possibilità stessa di esprimere quel dissenso. Poiché non ho sentito finora che nessuno dei due maggiori partiti contraenti abbia messo all´ordine del giorno delle sue organizzazioni di base il tema: «Partito democratico: perché, con chi, come (e quando)?», credo di essere giustificato se affermo di temere che la decisione verrà presa dai vertici, comunicata ai dirigenti di base che, in particolare fra i diessini, si impegneranno, approfittando del classico riflesso del conformismo comunista, a imporla agli iscritti e ai simpatizzanti. Un´altra strada, che consisterebbe nella mobilitazione del leggendario popolo delle primarie, non è neppure stata iniziata. Eppure, i partiti non soltanto si sono intascati gli ingenti contributi versati da quel popolo in occasione delle primarie, ma dispongono dell´indirizzario di quegli elettori. Potrebbero, dunque, procedere, se lo volessero, alla loro convocazione (magari lasciando aperte anche ad altri le possibilità di partecipazione). A proposito di paure, chi ha avuto paura ad estendere il metodo delle primarie di circoscrizione in casi scelti per la selezione dei candidati al Parlamento 2006? Chi ha detto che tecnicamente non si potevano fare quando circolava ampiamente un regolamento garantista per i partiti, ma tale da consentire agli elettori del centro-sinistra di partecipare alle procedure di selezione dei parlamentari? Infine, la mia paura è che l´eventuale (non troppo) nuovo partito si trovi già compresso da un passato che pesa, ovvero da quelle 281 pagine di programma che sicuramente non furono opera del popolo delle primarie e che sulle istituzioni contengono pagine raccapriccianti. Non so dove quando e chi discuterà di alcune delle questioni che sollevo né se avrò titolo a parteciparvi. (Per esempio, chi, quale popolo delle primarie, ha scelto i relatori di Orvieto? Come se non sapessimo per l´esperienza del passato che la scelta dei relatori determina ambito e taglio della discussione e delle decisioni praticabili!) Oppure, se, proprio come nel passato, ci sarà qualcuno che precuoce la minestra e la porta in giro obbligando molti, con l´argomentazione dello stato di necessità : "non favorire il ritorno della destra al governo", a tacere e ad ingoiare. So, però, che anche coloro che ritengono che sia importante costruire un partito democratico e riformista vorrebbero, per superare il passato e proiettarsi nel futuro, cominciare a vedere chiaro nel presente.
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