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Monfalcone, la fabbrica degli abusi
23.09.2006

Più di 400 imprese, tra appalti e subappalti. Solo 1.800 lavoratori diretti, quando in cantiere lavorano attualmente non meno di 4.500 persone. Oltre 1.100 infortuni all’anno. E tra i 400 e i 500 addetti (ma in questi casi è difficile quantificare) il cui rapporto di lavoro non è regolato da un contratto, ma da un accordo individuale, la cosiddetta “paga globale”, dove tutto, persino i diritti sindacali, è monetizzato, con un sistema che al datore di lavoro consente lauti margini d’evasione fiscale e contributiva. Questo è quanto accade a Monfalcone, nel più grande cantiere del gruppo Fincantieri.
“La situazione è preoccupante – dichiara Giuseppe Torraco, delegato aziendale e segretario provinciale Fiom di Gorizia –. Oggi a Monfalcone oltre il 40 per cento delle lavorazioni è appaltata, in barba a quanto previsto dall’accordo tra azienda e sindacati nel ’99, con cui Fincantieri s’impegnava a non appaltare più del 25 per cento dei lavori”. Il problema è che gli organici sono sottodimensionati e, a monte, che l’accordo di gruppo del 2004 (firmato dalle tre organizzazioni sindacali e dall’azienda) è nei fatti completamente disatteso. “Con quell’accordo, che giungeva al termine della dura vertenza per il precontratto, si prevedevano, tra l’altro, nuove norme sugli appalti, il reintegro automatico del turn-over e l’incremento degli organici a fronte di nuove commesse”, spiega Torraco.
I risultati a Monfalcone si commentano da soli: le nuove commesse sono arrivate, ma i lavoratori sono diminuiti di 120 unità rispetto al 2003. Sugli appalti, lo stesso accordo prevedeva che le ditte dovessero contare almeno 20 dipendenti, mentre, secondo uno studio della Fiom, la maggior parte delle società appaltanti attualmente, contando solo sui propri lavoratori, riuscirebbe a fare non più del 10 per cento del lavoro. “E così anche il subappalto è diventato strutturale”. Persino sull’orario di lavoro, che in alcuni casi supera anche le dieci ore giornaliere, si sono trovati escamotage: doveva esserci la gestione automatizzata della timbratura in entrata e in uscita, secondo le richieste sindacali, mentre quello che oggi succede è che in certe aziende, soprattutto subappaltanti, a timbrare è il datore di lavoro.
Una beffa. Per non dire della “paga globale”, fenomeno diffuso soprattutto nella giungla dei subappalti, dove la catena del controllo difficilmente riesce ad arrivare. Un accordo individuale tra il datore e il lavoratore al limite della legalità, con il quale, oltre ai minimi contrattuali, finiscono in busta paga tutti i diritti previsti dal contratto nazionale, dalle ferie alla malattia, finanche ai permessi sindacali. Il risultato è una paga mensile gonfia (si arriva anche a 2.500 euro al mese), ma un reddito annuale bassissimo, perché una parte è completamente in nero, mentre sull’altra una serie di espedienti consentono ai datori di lavoro ampi margini d’evasione.

(www.rassegna.it, 22 settembre 2006)

http://www.rassegna.it/2006/lavoro/articoli/fincantieri3.htm

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