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Eutanasia: occorre sempre rispettare le libertà personali
26.09.2006
Non buttiamo in rissa un tema tanto serio
Intervento di Gilberto Corbellini su Il Riformista del 26 settembre 2006

Come c'era da temere, l'impeccabile lezione di etica istituzionale che il presidente Napolitano ha consegnato al mondo politico e civile rispondendo alla lettera di Piergiorgio Welby, non è stata compresa da una casta politica e culturale, a cui ormai aderiscono anche persone che hanno avuto una storia liberale, che continua ad avere una visione strumentale, moralistica e personalistica del confronto politico. Si sta cercando di svuotare del suo valore culturale ed etico un tema dolorosamente serio, trasformandolo in una becera diatriba ideologica da dare in pasto all'incivile pratica massmediatica dello scontro tra comari. Così, ancora una volta, per tutti coloro che hanno assistito un parente o un amico malato terminale e per quella stragrande maggioranza del paese che è ben più matura di chi li rappresenta e li governa, si profila il rischio di non vedersi riconosciuto un diritto costituzionale, e di non potere accedere a un livello di qualità dell'assistenza nelle fasi terminali della vita che oggi è alla portata dei cittadini che vivono nei paesi occidentali democraticamente più avanzati.

Alcune reazioni alla lettera di Welby e alla risposta del presidente della Repubblica sono davvero squallide e infamanti. Tipiche di chi non ha argomenti culturali o non è all'altezza del compito che dovrebbe svolgere. Mi riferisco alle reazioni di taluni politici, secondo i quali il radicale Welby sarebbe oggetto di una strumentalizzazione politica, come è stato per Luca Coscioni, o che dicono che Welby non è ben assistito, che non è circondato dagli amici giusto… o addirittura che è depresso! Nonché alla posizione di chi dice che non si deve discutere dell'argomento sull'onda delle emozioni. Perché? Forse qualcuno riesce a vivere il dolore fisico e morale, l'avvicinarsi della morte propria o di un congiunto senza partecipazione emotiva? Chi non risponde emotivamente a situazioni che implicano tali reazioni, per la nostra storia evolutiva e per come siamo biologicamente fatti, di fatto è neurologicamente disturbato. A costoro vorrei solo dire, non tanto come co-presidente dell'associazione Coscioni insieme al radicale Welby, quanto come studioso e docente di bioetica, che se alcuni anni fa ho cambiato opinione sulle questioni di etica di fine vita è stato proprio leggendo quello che hanno scritto e detto le persone come Welby, ma anche coloro che temevano di essere eutanasizzati mentre la loro volontà era di vivere fino all'ultimo respiro anche le sofferenze.

Sono queste persone, insieme a uomini ben più noti che hanno affrontato gestito questi momenti, da Sigmund Freud al premio Nobel Peter Medawar per citare due giganti del Novecento che la pensavano diversamente, che mi hanno convinto della necessità di legalizzare un contesto di scelte problematiche, dove spesso si commettono abusi e dove le libertà personali sono più facilmente schiacciate.

Ho cambiato idea verificando direttamente che vi è altrettanto amore in chi chiede e organizza con i medici la sedazione terminale di un proprio caro, quanto in chi rispetta e tutela l'attaccamento alla vita biologica di una persona nelle stesse condizioni. Mentre chiunque obblighi una persona in condizioni terminali a vivere o morire contro la sua volontà è obiettivamente prigioniero di una cattiveria patologica. Spesso purtroppo travestita con altisonanti sproloqui moraleggianti.

Co-presidente dell'associazione Luca Coscioni.
Ordinario di Storia della medicina dell'Università La Sapienza

fonte: http://www.ilriformista.it
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