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Nuovomondo e la carota gigante
2.10.2006
di Tonino Pintacuda [questo pezzo è già stato pubblicato nel numero odierno di La Gente d'Italia]

Carote come canoe, olive della stessa dimensione di palloni da basket e galline grosse come trichechi, questa è l'America che sogna Salvatore Mancuso, il protagonista di Nuovomondo (The golden door), il nuovo film di Emanuele Crialese.

Partono da Petralia Sottana Salvatore e la sua famiglia insieme a due ragazze che vanno a maritarsi al di là del grande Oceano, richiamate da quei fotomontaggi che mostrano quegli ortaggi enormi e perfino alberi in cui crescono dollari d'argento come nel Campo dei Miracoli di Pinocchio.

Ma il film, delicato e onirico, con punti di palpabile drammaticità si ferma sulla soglia di quell'America, la terra delle opportunità viene vista solo attraverso i vetri troppo alti del centro di raccolta di Ellis Island.

Il regista stesso ha vissuto sulla sua pelle il senso dell'emigrazione, partito per l'America inseguendo pure lui il suo sogno, quello di far cinema, raggranellati tre milioni è partito per New York, con una borsa di studio di 150000 dollari ha seguito i corsi del Dipartimento di Cinema della Tish School of the Arts della New York University. Questo primo periodo l'ha raccontato trasfigurando la sua esperienza nel suo primo lungometraggio "Once we were strangers" ammesso al Sundance Film Festival di Robert Redford.

Quindi Crialese la conosce bene quest'America, e sceglie di non mostrarla mai, proprio perché durante la preparazione di questo film - il suo terzo lungometraggio dopo "Once we were strangers" e il sorprendente "Respiro" – ha studiato per un anno ad Ellis Island scoprendo che tra il 1910 e il 1930 sono state sterilizzate sessantamila persone: malati, analfabeti, affetti da imperfezioni. Scelta dettata per evitare che "razze inferiori" soppiantassero l'America Wasp (white anglo-saxon protestanti), e anche per arginare le eventuali spese mediche. Servivano italiani pala-e-piccone, buoni per lavorare alle infrastrutture americane, già pronti per essere inghiottiti dalla catena di montaggio del sistema fordistico.

L'America resta distante, viene sognata di continuo in intermezzi onirici ma la nebbia non si dirada. La famiglia di Salvatore vende tutto, lascia le bestie e la casa in cambio di scarpe e vestiti di baroni morti, insegue la chimera per sfuggire alla morte certa in una terra pietrosa e inospitale in cui i due figli di Salvatore, Angelo e Pietro, quest'ultimo rosso di pelo e perfino muto, sono destinati alla miseria, la stessa miseria efficacemente sintetizzata nella scena iniziale in cui Salvatore e Angelo scalano il monte con una pietra in bocca per chiedere un segno al santuario della Madonna. Salvatore, visti i fotomontaggi, decide di partire, vincendo perfino le resistenze della madre, Donna Fortunata, il personaggio più riuscito, che simboleggia in pieno tutto il vecchio mondo incapace di capire e accettare le regole del nuovo mondo.

L'addio del paese è celebrato dal parroco che impone alla folla sorrisi per la scelta effettuata da Salvatore, loro sono nuova semenza che va a mettere radici in una terra nuova e ricca. Al porto la famiglia Mancuso è attaccata dai pescatori che cercano di imporgli il pescato, Salvatore supera la cortina di pesci e supera pure il primo controllo medico, rifiutando un'improbabile medicina per guarire il mutismo di Pietro.

Alla prima selezione incontrano Lucy Reed che loro per il resto del viaggio chiameranno Donna Luce, Lucy è un'inglese che cerca qualcuno che la sposi per entrare in America. Salvatore se ne innamora e continua a sognare la sua America, sogna una vita nuova in cui ricominciare a credere, una terra in cui respirare progresso e "picciuli", quei soldi che costituiscono l'ossessione di tutti i miserabili, ora il sogno si concretizza, concimato dai discorsi degli altri siciliani che nella cabina passano la notte a far lievitare il mito di questa terra delle opportunità, e Salvatore assorbe tutto e lo concretizza nelle sue visioni, felliniane per definizione dello stesso regista. E Salvatore che non sa nuotare si sogna immerso in un mare di latte di ascendenza biblica, lui e i suoi figli nuotano in quel mare bianco.

La scelta di Crialese si rivela vincente, questo film sceglie la microstoria di Salvatore per raccontare la storia di tutti quegli italiani che sbarcarono a frotte nel porto di New York tra la fine dell'Ottocento e il primo quindicennio del Novecento, prima che l'Immigration Act del 1921 definisse le percentuali delle varie etnie. Ma Crialese si ferma sulla porta, una porta che appare d'oro secondo lo stesso titolo scelto per il mercato internazionale, una terra di case alte cento e cento piani, la terra degli impossibili ascensori, una terra dove il pane è così morbido che a Salvatore alla mensa di Ellis Island sembra d'addentare una nuvola.

Dopo un viaggio massacrante, con una tempesta che ne ha ridimensionato il numero, i viaggiatori della terza classe approdano all'isola da dove si intravede finalmente perfino la Statua della libertà, qui li aspettano gli assurdi test di Ellis Island che servono a mantenere l'ordine morale della società americana, i nuovi americani devono essere intelligenti perché le tare mentali sono ereditarie e gli Americani non possono essere contagiati.

È Donna Fortunata l'unica che ha il coraggio di rifiutare i test, non accetta di essere giudicata da questi del Nuovo Mondo che si sentono domineddio. Lasciamo così Salvatore ad Ellis Island in attesa del matrimonio con Luce, con Donna Fortunata e Pietro che stanno per essere rimpatriati. Il film si chiude con l'ennesima visione: un mare di latte in cui nuotano Salvatore, Angelo, Luce e tutti gli altri che sperano in futuro migliore.

La carotona gigante però implicitamente ci rimanda al vecchio luogo comune dell'usare il bastone e la carota, alternando cioè gentilezza e pugno duro, se la carota è di tali dimensioni, che solenni bastonature attendono quelli che diverranno finalmente italo-americani?

La risposta ci arriva da due libri e dall'opera incessante di Rudolph J. Vecoli, italo-americano di seconda generazione che ha dedicato decenni a studiare il fenomeno dell'immigrazione italiana in America, quell'America che nel 1927 giustiziò Sacco e Vanzetti, quella stessa America che accettava a malincuore le feste patronali dei chiassosi italiani ghettizzati nelle Little Italies.

Il primo dei due libri è di Gian Antonio Stella, firma di prestigio del Corriere della Sera, col significativo titolo "L'Orda. Quando gli albanesi eravamo noi.", Rizzoli, Milano 2002. L'altro fondamentale libro è "Verso L'America. L'emigrazione italiana e gli Stati Uniti", Donzelli, Roma 2005. Quest'ultimo è una raccolta di saggi che analizzano l'emigrazione italiana in tutte le sue sfaccettature, dalle origini, alla fondamentale importanza delle rimesse, i soldi che a costo di sacrifici incredibili, gli emigrati facevano giungere in Italia. Proprio dalla prefazione di Salvatore Lupo al volume traiamo un commento perfettamente consonante al tono del bellissimo film di Crialese – di così tanto valore che alla Mostra di Venezia hanno dovuto confezionare un premio ad hoc creando il Leone d'argento per la rivelazione - :

"In maniera più o meno estrema, un po' tutti gli osservatori colti del tempo ritenevano che i problemi degli italiani andassero riferiti alla loro incapacità di contaminarsi coi valori del Nuovo Mondo, alla loro ostinazione nel vano tentativo di "trapiantare" in esso gli elementi costitutivi del Vecchio. Trovò pochi proseliti la tesi alternativa, che le cause di criminalità e marginalità in genere andassero ricercate nelle difficoltà e nelle asprezze della loro nuova vita più che nel bagaglio che si erano portati dietro da casa. Si pensò che gli immigrati che si affollavano nei tenements, i palazzoni delle Little Italies, fossero affetti da patologica tendenza all'auto-segregazione, che essi, unici tra i vari gruppi etnici, volessero rimanere in comunità isolate […]. È sin troppo ovvio che prima dell'auto-segregazione va considerata la segregazione, il fatto cioè che i nativi riservavano agli stranieri spazi ristretti e marginali dal punto di vista fisico e non solo".

Oggi la situazione è radicalmente mutata, gli italo-americani sono perfettamente integrati, costituiscono una risorsa preziosa per l'America ma ciò non toglie che quella segregazione effettivamente ci fu e iniziava proprio su quella porta d'oro, lì ad Ellis Island, tanto che Crialese ha deciso di dedicare a questa verità taciuta il suo prossimo documentario, Black drop.

Una scelta coraggiosa perché, secondo le stesse parole del regista, "Quello che ho scoperto ad Ellis Island, ed è uno dei motivi per cui ho voluto fare il film, è che è stato il primo laboratorio nella storia dell'umanità in cui c'era la presunzione di studiare e misurare l'intelligenza. Erano studi che oggi chiamiamo eugenetica, studi iniziati lì che sono degenerati nell'eugenetica nazista. Sottoponevano gli immigrati a questi test per capire le caratteristiche di ogni razza e per capire chi meglio si sarebbe adattato al nuovo mondo, alla catena fordista".

Crialese e il protagonista, l'attore Vincenzo Amato, sono due emigrati che sono riusciti a realizzare il sogno di tutti quelli che sono partiti: tornare nel proprio paese e poter dire "ce l'abbiamo fatta", un ritorno che nel caso del regista ha dovuto abbracciare più meridiani: "Io per fare un film in Italia sono dovuto partire per l'America e poi passare per la Francia. Pensate che giro che ho fatto".

Fonte:  http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/09/nuovomondo_e_la.html#more

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