8.10.2006
Tina Ingaldi / socialpress.it -
Per la Chiesa si tratta del solito ritornello, ripetuto non poco tempo fa anche in relazione alla interruzione di gravidanza: assassini, quanti sono d’accordo con la somministrazione della “morte dolce”." Il libero confronto è già viziato in partenza di fronte alle accuse sempre infamanti da parte del Vaticano.
Prima di ogni dibatto si dovrebbe liberare il campo e la mente dai nostri sentimenti religiosi, nessuna argomentazione religiosa dovrebbe esservi introdotta; la religione e il suo sentire sono un fatto privato non possono essere sempre presenti nelle discussioni sulla gestione laica di una questione che coinvolge tutti, anche i non credenti.
Ma in Italia sembra che nulla possa, orami, discutersi senza l’ingombrante presenza della chiesa: PACS, interruzione di gravidanza, eutanasia, fecondazione assistita. Ognuno può e deve decidere liberamente, e trovo inaudito che un gruppo sebbene maggioritario (o presunto tale) possa decidere della mia vita e soprattutto della mia morte.
Una vita è tale se consapevole, dignitosa e piena. Ancora una volta sulla pelle di chi soffre si rimpolpa lo scontro tra uno stato laico e una chiesa invadente.
Il giuramento d’Ippocrate all’intero del quale si trova scritto: "Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio" non può non essere almeno sottoposto ad una attenta valutazione determinata dalla variazione sostanziale del mondo di oggi. E’ come se continuassi ad adottare una forma lessicale orami non più adatta ai tempi, un fatto linguistico e non solo. Ci sono stati momenti in cui la morte sopraggiungeva, come stadio naturale ad una vita che si chiudeva, le conoscenze mediche non erano in grado di far fronte al male con cure idonee; ma il progresso medico e tecnologico hanno esteso il momento dell’agonia, dilatandone tempi e modi oltre ogni logica: nel tentativo di allungare la vita si rischia di rendere la gioia del vivere un dolore ancora più toccante della morte stessa. Oggi mi sembra che si sia travalicato il senso di “cura”, la vita è il dono più grande che ci possano aver fatto, e forse è su questo concetto che bisognerebbe ritornare: vivere come partecipazione alla propria esistenza privata e pubblica, come condivisione, come gioia e consapevolezza. Non riesco a vedere niente di tutto questo in qualcuno che viene tenuto in vita artificialmente e soprattutto contro la sua volontà .
La domanda è quindi non EUTANASIA SI o EUTANASIA NO, la domanda vera è: quale dei due gesti è veramente un atto d’amore? Lasciare che una persona perda la sua dignità in un esistenza priva di qualunque emozione, gioia, condivisione scandita dal dolore e dalla malattia o lasciargli la scelta di morire dignitosamente, integro nel fisico e nel ricordo delle persone che lo amano?
Oggi la questione è regolata dal codice penale: l’eutanasia attiva è considerata alla stregua di un omicidio volontario, con le attenuanti. Il codice penale afferma che " chiunque causi la morte di un uomo con il consenso di lui, é punito con la reclusione da 6 a 15 anni" (art. 579), lo stesso vale per il suicidio assistito ("se si fornisce ad un ammalato un veleno che il paziente ingerisce da solo, si commette omicidio del consenziente"). Sanzioni penali sono previste anche dall’art. 580 che disciplina l’istigazione al suicidio.
Nel mondo non va meglio, negli Stati Uniti ogni stato ha diritto a legiferare in materia sulla base di quanto affermato dalla Corte Costituzionale Federal e ad oggi solo lo stato dell’Oregon disciplinato in questo senso.
In Olanda, invece, da circa 20 anni è una pratica legale, a tutela dell’ammalato sono state poste alcune limitazioni e importanti condizioni, mentre in Svizzera è previsto e tollerato il suicidio assistito. Se si volesse veramente discutere, e non semplicemente riportare in tv un po’ di “toccante” spettacolo, ci si dovrebbe rifare all’esperienza di quei paesi dove l’eutanasia ha trovato asilo, interrogarsi sulle modalità e le condizioni necessarie per la sua corretta applicazione. Ma questo è il paese dei reality e quando l’audience s’abbassa si porta “la vita in diretta”.
Fonte: http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=1424
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