«Che grossolano autogol. Il minimo che possa fare il presidente del Consiglio è un gesto riparatore. Lo deve tanto all’istituzione parlamentare europea quanto al paese che rappresenta». Fosse un altro, direbbe esplicitamente di essersi vergognato per la recitazione a soggetto di Silvio Berlusconi, ma è Giorgio Napolitano, e non c’è da stupirsi che il suo rigore istituzionale lo spinga a preoccuparsi che lo scivolone del premier non risulti rovinoso per il semestre di presidenza italiana dell’Unione. Che sia alieno da pregiudizi politici, del resto, il presidente della Commissione Affari costituzionali Giorgio Napolitano l’ha dimostrato proprio nel suo intervento, invitando Berlusconi a guardare «con serenità e apertura» al dialogo col Parlamento europeo
Si è pentito, sentendo sbattere la porta con tanta rozzezza?
«Affatto. Ci credo, io. Quel che è accaduto è grave, tanto più che avevo potuto esprimere, come italiano, la soddisfazione per il riconoscimento venuto dal Parlamento nei confronti del ruolo storico del nostro paese nel processo di integrazione europeo».
Le perplessità e le riserve sul presidente del Consiglio attuale, che hanno accompagnato quel riconoscimento, rischiano di segnare una soluzione di continuità ?
«Personalmente ho avuto la sensazione che riserve, preoccupazioni e sollecitazioni rispecchiassero quel che tutti legittimamente si attendono da un semestre di presidenza all’altezza di un grande paese fondatore e federatore dell’Europa comunitaria. Francamente avevo sperato che il discorso introduttivo di Berlusconi, che non ho remore nel definire politicamente corretto, potesse dar luogo a un inizio positivo del semestre. Anche il dibattito, nell’insieme, è stato proficuo, aperto. Certo, con delle punte polemiche riferibili alla situazione italiana e alla personale posizione del premier, che avrebbero potuto anche non essere raccolte. Invece, Berlusconi si è avventurato in una replica per certi aspetti risibile, per altri di inaudita rozzezza e violenza».
È uscito - come dire - al naturale?
«Credo abbia rivelato una assoluta mancanza di senso della opportunità e di rispetto della normale fisiologia del dibattito parlamentare. La replica ha fatto a pugni con il discorso introduttivo. Quando non ha avuto un tracciato da seguire, un testo preparato, e si è abbandonato alle sue esibizioni personali, Berlusconi ha fatto molto danno a se stesso e, quel che è peggio, alla presidenza italiana dell’Unione».
Non avrà confuso il Parlamento europeo con quello italiano dove, grazie alla forza dei numeri, Berlusconi crede di poter fare da padrone?
«Non è questo il punto. Una replica del genere sarebbe stata inammissibile anche nel Parlamento italiano. Il punto è che - proprio come il parlamentare tedesco Martin Schulz ha osservato prendendo la parola per fatto personale - Berlusconi non sopporta che gli siano rivolte critiche in una sede istituzionale».
Non concede nemmeno l’attenuante, invocata da qualche esponente di Forza Italia, del clima ostile dell’assemblea?
«Soltanto per qualche cartello issato per alcuni istanti da pochi deputati? Il dibattito si è svolto nella massima compostezza, particolarmente nelle file dei socialisti che poi Berlusconi ha preso così di petto. È con la replica che si è cambiato registro».
Perché le polemiche, particolarmente quelle sul conflitto di interessi, hanno toccato il nervo scoperto della legittimazione?
«Sono state polemiche specifiche, che nulla hanno a che fare con la questione della legittimità di Berlusconi a governare. E che non si risolvono con aggressioni e ingiurie persino personali. In realtà , ha mostrato di non avere un minimo di autocontrollo e di senso di responsabilità verso le istituzioni».
Irrimediabile?
«Tocca a Berlusconi riparare al danno che ha provocato. E mi auguro non si esiti a compiere ogni sforzo per recuperare un confronto fra il governo nel suo insieme - Berlusconi, ma anche Fini, Frattini e Buttiglione - e le istituzioni europee. Che possa svilupparsi in termini corretti e obbiettivi».
Magari con un po’ di buona volontà dall’altra parte?
«Non credo che manchi. Lo prova come è stato accolto, il giorno primo, Pier Ferdinando Casini: senza alcun pregiudizio politico. Anzi. Il presidente della Camera dei deputati italiani ha avuto un lungo e assai costruttivo incontro con l’ufficio di direzione del gruppo socialista. E anche la riunione di Casini con tutti gli europarlamentari italiani, presieduta da Renzo Imbeni, si è svolta in un clima di autentico dialogo. Questo credo sia il modo corretto in cui far fronte, ciascuno per la propria parte, alle responsabilità che derivano dall’impegnativo semestre italiano».
Ciascuno per la propria parte perché l’ostinazione di Berlusconi nel condizionare gli indirizzi del semestre europeo a un preambolo italiano, ha vanificato ogni possibilità di convergenza bipartisan?
«La confusione, in effetti, rende tutto più difficile. Ma il fatto che al Senato si sia giunti a un voto comune sulla Convenzione europeo dice che anche nel Parlamento italiano, se lo si vuole, si possono aprire spazi utili a un dialogo produttivo».
Ammesso e non concesso che, dopo quel che è avvenuto a Strasburgo, Berlusconi possa ripensarci, quali margini di confronto restano?
«Il problema resta quello di passare dalle parole ai fatti. Sia pure tardivamente, al Parlamento europeo è stato presentato un programma che comprende enunciazioni importanti, su cui nel dibattito sono stati chiesti chiarimenti. Ad esempio su come accompagnare le politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina con politiche di governo dei flussi migratori e di garanzia dei diritti degli immigrati legali. O, ancora, sul superamento delle remore italiane circa il mandato di cattura europeo, sulla credibilità degli impegni annunciati per lo sviluppo di grandi reti infrastrutturali europee, sull’ambiguo discorso relativo alla sostenibilità dei sistemi pensionistici. Queste e altre questioni cruciali richiedono chiarezza e coerenza. Come le richiede la questione dirimente della Costituzione europea».
Teme si possa tornare indietro?
«Il nostro impegno, e la nostra sfida, è a un ulteriore avanzamento del progetto scaturito dalla Convenzione, con l’assunzione netta di quelle scelte essenziali rimaste irrisolte. Ma guai se, dopo 16 mesi di intenso lavoro, si dovesse regredire e mettere in questione le innovazioni più significative per il futuro dell’Europa».
da www.unita.it