Welfare Italia :: Il punto :: Morando: relazione sulla Finanziaria 2007 Invia ad un amico Statistiche FAQ
27 Aprile 2024 Sab                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Morando: relazione sulla Finanziaria 2007
20.10.2006
L'obiettivo centrale del DPEF è preciso: contribuire a riportare il Paese su di un sentiero di crescita significativa e duratura (vicina al 2% all'anno, per molti anni). Difficile trovarne uno più ambizioso: negli ultimi dieci anni - rispetto all'area dell'Euro, che pure è quella che cresce meno, nell'economia globale - l'Italia ha accumulato un ritardo di ben dieci punti.

Il DPEF individua chiaramente anche la causa di questo lento procedere dell'economia: la produttività totale dei fattori - un indicatore sintetico della sostenibilità di lungo periodo della crescita del PIL - ha cominciato a stagnare a metà degli anni '90, e da molti anni decresce. Facendo così emergere la drammatica sottodotazione del sistema infrastrutturale (materiale e immateriale) del Paese; il carattere chiuso di molti mercati (energia, professioni); le disastrose performances di comparti essenziali della Pubblica Amministrazione (giustizia, formazione di eccellenza).

Dati questi fattori di difficoltà, il DPEF definisce tre scelte fondamentali, quali capisaldi di una strategia di politica economica che - consapevole dei suoi limiti, in un'economia aperta - aiuti il sistema produttivo di beni e servizi a crescere.

La prima, è quella relativa alla immediata e forte riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro. Cinque punti in meno, in un breve lasso di tempo, tre a favore delle imprese, due a favore dei lavoratori. Dal lato delle imprese, la scelta ha un valore analogo a quello delle vecchie svalutazioni competitive della moneta: un forte shock positivo, che consente di recuperare - sia pure per un breve periodo - margini di competitività di prezzo. Con una differenza, rispetto alle svalutazioni monetarie del passato: il taglio del cuneo (per la parte che riguarda i lavoratori) sostiene la domanda interna (consumi delle famiglie) senza dar luogo ad effetti indesiderati sull'inflazione.

La seconda scelta, deve essere compiuta nel breve lasso di tempo (12 mesi) in cui l'economia si gioverà dell'intervento sul cuneo, e riguarda le liberalizzazioni di tutti i mercati chiusi e la ripresa di controllo della finanza pubblica. La lotta all'evasione fiscale e all'economia sommersa - in questo contesto - è il trait d'union tra liberalizzazioni e risanamento: un economia con tassi di "nero" attorno al 20% è per definizione nemica della concorrenza; e l'esiguità delle basi imponibili emerse costringe a "spremere" chi paga (perché vuole o è costretto a farlo) al di là del giusto (economicamente e socialmente). Il decreto Bersani-Visco del luglio scorso ha avviato il processo. Ma il piatto forte deve ancora venire: energia, credito e finanza, servizi pubblici locali, fondi pensione integrativi e regole di corporate, per superare l'"opacità" del capitalismo italiano. Non è un caso che, in tutti questi settori, il DPEF abbia previsto - attraverso la Nota di aggiornamento - la presentazione di organici disegni di riforma, "collegati" alla Legge Finanziaria.

Sul versante della finanza pubblica, il DPEF - sia per conseguire obiettivi di risparmio, sia per accrescere il contributo della Pubblica Amministrazione alla produttività del sistema - prevede incisive riforme strutturali nei quatto comparti più "sensibili": previdenza, sanità, enti locali e pubblica amministrazione centrale. Riforme, non tagli, per una ragione essenziale: i tagli possono risultare efficaci per far rientrare il livello dell'indebitamento sotto il 3%, ma quasi mai hanno carattere strutturale (non crescono col tempo; anzi, spesso spariscono) e, in ogni caso, non servono per aumentare l'efficienza della Pubblica Amministrazione. Alla ripresa di controllo della finanza pubblica, può e deve venire un contributo anche dalla politica delle entrate. Ma -scrive il Governo nel DPEF e, più chiaramente, la Risoluzione parlamentare che lo ha approvato - i proventi da lotta all'evasione e all'elusione fiscale dovranno essere progressivamente chiamati a finanziare la riduzione del carico fiscale sui contribuenti più leali.

La terza scelta, ha tempi di sviluppo assai più lunghi. Si tratta di determinare un progressivo innalzamento del "capitale fisso" del Paese: infrastrutture materiali (porti, autostrade, ferrovie) e immateriali (livello medio di formazione, giustizia, ricerca). È quell'insieme di obiettivi per i quali - come prescrive la cosiddetta golden rule - vale la pena di ricorrere all'indebitamento: alle future generazioni, assieme al debito, trasmettono un paese più forte e competitivo, nel quale le imprese possono sviluppare la loro attività (di successo o meno che sia) in un contesto "amico", capace cioè non di deprimere, ma di esaltare la loro produttività.

*****

Nella discussione in corso sulla Legge Finanziaria, qualcuno ha sostenuto che di tutto ciò - obiettivi fissati dal DPEF e politiche volte a conseguirli - non è rimasto nulla. Non sono d'accordo. È vero che nella Legge Finanziaria presentata alle Camere dal Governo ci sono scelte in tutto o in parte contraddittorie con l'impianto del DPEF. E, soprattutto, è vero che nella Legge Finanziaria, e nel decreto "collegato" non ci sono tutte le scelte che potevano e dovevano essere adottare per tradurlo in atto. Ma le "presenze" contraddittorie e le "assenze" non sono tali da travolgere il rapporto di stretta parentela che lega la Finanziaria al DPEF. Così che chi ha apprezzato il DPEF può legittimamente criticare scelte anche molto rilevanti della Finanziaria, ma non può seppellirla sotto una condanna generale e senza appello.

Provo a motivare rapidamente questi tre giudizi.

A - la Legge Finanziaria traduce in precise scelte il DPEF, su punti essenziali. In primo luogo, riduce strutturalmente il cuneo fiscale e contributivo sul lavoro. L'entità della riduzione è quella prevista. Il tempo di piena applicazione è breve (un anno e mezzo). Non si può dire oggi, credibilmente, che produce effetti di entità modesta (a regime, tra imprese e lavoratori, l'intervento riduce la pressione sul lavoro per circa 8 miliardi). Soprattutto, non lo può dire chi - contemporaneamente - lamenta come "gravissimo" un aumento della pressione fiscale complessiva che l'ISAE ha stimato in poco più di mezzo punto di PIL (più o meno, gli 8 miliardi di "costo" del cuneo). Se è rilevante l'aumento della pressione fiscale (e lo è, intendiamoci), lo è anche l'effetto della riduzione del cuneo.

In secondo luogo, la manovra corregge strutturalmente i conti pubblici, perché 1- l'indebitamento netto delle Pubbliche Amministrazioni va sotto il 3% nel 2007 e ci resta negli anni successivi, giungendo a zero (!) nel 2011; 2- l'avanzo primario - diventato disavanzo nel 2006 (-0,3) - torna positivo: +2% già nel 2007, e raggiunge il 5% nel 2011; 3- il volume globale del debito (che cresce da due anni) torna a scendere, e arriva sotto il 100% nel 2011; 4- la spesa corrente primaria (+3% del PIL negli ultimi cinque anni) arresta la sua crescita e, secondo l'ISAE, si riduce dello 0,3% del PIL (pag. 18 rapporto ISAE alle Commissioni Bilancio). Attiro l'attenzione su quest'ultimo punto (n.4): evidentemente, la manovra contiene misure efficaci anche dal lato della spesa. Infine, la manovra di Bilancio - per la prima volta dopo anni - riporta il volume della spesa in conto capitale (quella che serve per l'infrastrutturazione materiale e immateriale del Paese) sopra il livello dell'indebitamento della Pubblica Amministrazione. In altre parole, con questa Finanziaria, il bilancio pubblico italiano rispetta la golden rule.

B - Vengo ora agli aspetti della Legge Finanziaria che considero - in tutto o in parte - contraddittori rispetto ai capisaldi del DPEF. Ricorro, per comodità, a due soli esempi. Il primo, riguarda la decisione di imporre un contributo ad elevata aliquota (il 10%) sui lavoratori apprendisti. La norma ha l'effetto di prelevare ben un miliardo di Euro (tanto vale, secondo la Relazione Tecnica) a carico di un'attività - la formazione di giovani da parte di imprese, soprattutto artigiane - che andrebbe semmai incentivata, e non penalizzata. Colpisce che forze (e Ministri) di sinistra mostrino di considerare l'apprendistato come un istituto sostanzialmente omologabile a quelli che alimentano il precariato, quando dovrebbe risultare chiaro il contrario. Ci sono oggi abusi e storture? Si possono e si devono correggere con interventi sull'ordinamento e l'attività ispettiva. Non certo con un aggravio dei costi che colpisce proprio quell'attività attraverso la quale l'impresa - artigiana in particolare - svolge un'essenziale funzione di sostegno all'innalzamemto della produttività del lavoro (una migliore formazione dei giovani).

Ad esiti analoghi conduce l'analisi dell'intervento sul TFR. È ormai certo che interverranno modifiche: o nel senso di dare alla norma carattere transitorio (come sarebbe preferibile); o attraverso l'esclusione delle imprese con pochi dipendenti; o creando un fondo di garanzia per favorire l'accesso al credito compensativo da parte delle imprese; o, infine, attraverso un mix di questi interventi. Ma, anche quando queste modificazioni fossero tutte intervenute, la scelta del forzoso trasferimento di una quota dell'accantonamento del TFR al fondo INPS resterebbe problematica e contraddittoria. Perché istituisce in capo allo Stato uno strano conflitto di interessi: da un lato, la Finanziaria anticipa al 2007 l'opzione dei lavoratori per il trasferimento dell'accantonamento TFR ai fondi pensione integrativi. E, addirittura, stanzia 17 milioni di Euro per una campagna di "propaganda" presso i lavoratori a favore del trasferimento ai Fondi. Dall'altro, la stessa Legge Finanziaria stabilisce che quanto più grande sarà la quota di accantonamento "lasciata" dai lavoratori all'azienda, tanto più grande sarà il volume di risorse messe a disposizione del neoistituito fondo INPS per gli investimenti. Evidente il cortocircuito: se c'è interesse del Paese - e c'è - alla immediata costituzione di forti fondi pensione (nuovi investitori istituzionali e migliore tasso di sostituzione pensione/salario tra vent'anni), la norma sul fondo INPS contrasta con gli interessi di fondo del Paese.

Due esempi - tutt'altro che esaustivi, purtroppo - che sembrano documentare una sorta di parziale smarrimento del robusto filo conduttore fornito dal DPEF. Il Parlamento potrà metterci parziale rimedio. Ma la defaillance resta. E spiega l'accoglienza ricevuta dalla Finanziaria assai più di quanto possono farlo i pur significativi "errori di comunicazione".

C - Infine, la manovra non contiene tutte le scelte "promesse" dal DPEF. Nella polemica estiva con il Prof. Giavazzi, il Ministro Tommaso Padoa Schioppa aveva ribadito: risparmi certi - e crescenti nel tempo - attraverso riforme - non grazie ai tagli - nei quattro settori di spesa fondamentali: previdenza, Pubblica Amministrazione, enti locali e sanità. Era quasi esplicito - nel DPEF e nell'orientamento del Ministro - una sorta di corollario in tema di pressione fiscale: proprio perché si vogliono riforme e non tagli, potrà essere necessario - nel 2007 - chiamare la pressione fiscale a compensare risparmi di spesa che avessero bisogno, per realizzarsi, di un po’ di tempo in più. L'importante - sembrava dire il DPEF - è che le riforme ci siano e siano strutturali: i risparmi crescenti - nel 2008 e successivi - potranno così sostituirsi alle maggiori entrate 2007 nel garantire il rientro nei parametri. Ora, a Finanziaria presentata, possiamo facilmente verificare il grado di coerenza tra la linea espressa nel DPEF e la manovra di bilancio: in due comparti di spesa (enti locali e sanità) ci sono risparmi di spesa che derivano da riforme. Negli altri due comparti, no. È una riforma la riscrittura del Patto di Stabilità interno, perché la logica degli obiettivi di saldo (equilibrio tra entrate e uscite) sostituisce quella dei tetti di spesa, che aveva caratterizzato le versioni "di centro-destra" del Patto stesso. Ed è una riforma la riscrittura dell'accordo tra Regioni e Governo sulla dotazione e la gestione del fondo sanitario nazionale (non va dimenticato che la organizzazione sanitaria è materia di esclusiva competenza regionale).

In tema di previdenza, invece, il Governo ha scelto di lavorare alla stesura di un protocollo coi sindacati, che rinvia al 31 marzo prossimo la definizione di un intervento di aggiustamento strutturale della spesa previdenziale (la riforma, qui, è già stata fatta nel 1995. Il problema resta nella gestione della transizione). Ci sono misure di aumento del livello dei contributi dei lavoratori autonomi e parasubordinati. Ed è obiettivamente difficile non considerarli giustificati: con le aliquote contributive attuali e le attuali basi imponibili - le dichiarazioni IRPEF - più dell'ottanta per cento dei lavoratori autonomi avrebbero, tra venti anni, pensioni inferiori all'attuale pensione sociale. Ma è altrettanto difficile spiegare perché - in materia di previdenza - tutto sia stato rinviato al 31 marzo 2007, salvo questo aumento dei contributi. Tanto più che - a ben vedere - anche le organizzazioni dei lavoratori dipendenti avrebbero avuto interesse - quindi avrebbero dovuto avanzare rivendicazioni in questo senso - ad un'iniziativa immediata per superare il cosiddetto "scalone" del primo gennaio 2008. A meno che - come suggerisce qualche commentatore malizioso - sia il Governo, sia i leader sindacali non abbiano scelto il rinvio ("non si interviene sulle pensioni con la Finanziaria") col tacito accordo di lasciare in vita lo "scalone". Del resto, se si arrivasse a giugno 2007 senza aver fatto nulla, chi sarebbe in grado di trovare, nel bilancio dello stato, i cinque miliardi che sono necessari - a regime - per compensare l'eliminazione dello scalone? Anche senza fare il processo alle intenzioni - il tempo sarà galantuomo - resta il fatto che - tra il 1995 e il 2005 - l'attesa di vita al momento del pensionamento si è innalzata di due anni e mezzo: un mutamento (positivo) di questa portata non può non essere "registrato" da un sistema previdenziale che - a regime - è già in grado di adeguarsi alla mutevole realtà sociale, economica e demografica, ma non lo è nell'immediato, quando vige ancora il vecchio sistema di calcolo retributivo della pensione (ah, se si fosse fatto per tempo il pro-rata temporis per tutti). Tanto più che, dopo 11 anni, resta insoddisfatta l'esigenza - prevista dalla Dini - di individuare con atto amministrativo i lavori usuranti (chi li ha fatti per vent'anni deve andare in pensione prima degli altri). Col risultato che "siamo tutti metalmeccanici alla catena di montaggio".

In tema di riforme e ristrutturazione della macchina pubblica, la Legge Finanziaria contiene molti interventi, nessuno dei quali ha il carattere di una riforma strutturale. Si può naturalmente osservare che - in pochi mesi - era difficile fare di più; e che, con la Nota di variazione del DPEF, il Governo si è impegnato a presentare un disegno di legge di ristrutturazione di tutte le amministrazioni centrali. La delusione delle attese suscitate dal DPEF, tuttavia, resta, perché la Finanziaria sembra rinviare ad un incerto futuro anche ciò che sembrava pronto. Ad esempio, la unificazione di INPS e INPDAP; o la concentrazione in un unico "ufficio del Governo" delle sparse e scoordinate rappresentanze del Governo centrale in ognuno dei capoluoghi di Provincia.

Dunque, e riassuntivamente: chi continua a ritenere corretta la impostazione del DPEF, non ha da assumere un atteggiamento liquidatorio della Finanziaria. Piuttosto, dovrebbe concentrarsi sulla attività di rimozione/correzione delle scelte in tutto o in parte contraddittorie (apprendistato-TFR). E impegnarsi perché nel 2007 si facciano quelle riforme (previdenza e Pubblica Amministrazione) che sono state rinviate. Un collegamento, tra questi due distinti campi di iniziativa, potrebbe essere fornito da iniziative parlamentari per riforme che anticipino quelle, più complesse, da adottare nel corso del 2007: è il caso - che cito a titolo di "buon" esempio - di una decisione parlamentare che disponga l'unificazione di INPS e INPDAP.

Un'iniziativa dei riformisti dell'Unione nel senso indicato è indispensabile anche per affrontare costruttivamente la polemica sulla "Finanziaria tutta tasse"; se nel 2007 si realizzeranno anche le riforme che mancano all'appello (previdenza e Pubblica Amministrazione), i risparmi di spesa - realizzati a partire dal 2008 e crescenti nel tempo - potranno fornire un crescente contributo all'aggiustamento dei conti, sostituendo quello "straordinario" che - nel 2007 - viene dall'aumento della pressione fiscale.

Sulle dimensioni di questo aumento, tuttavia, va fatto un discorso di verità, uscendo dalla propaganda agitatoria. In primo luogo, va detto che la Finanziaria 2007 stabilizza (secondo l'ISAE, addirittura riduce) la spesa corrente primaria. Quindi, non è fatta solo di tasse. In secondo luogo, va chiarito che è nel 2006 - a regole tremontiane in vigore - che si realizza un forte aumento della pressione fiscale. L'ISAE documenta che "nonostante la riduzione dell'IVA dovuta agli effetti della sentenza europea, la pressione fiscale passa dal 40,6% del 2005 al 41,4 del 2006". Dunque, un aumento di quasi un punto di PIL dopo avere scontato gli effetti della sentenza IVA sulle auto di impresa (una "restituzione", quest'ultima, che è per ora solo virtuale, meramente contabile): il che significa, nella economica reale, un aumento di pressione di quasi due punti di PIL. Sempre l'ISAE stima che - al netto dell'intervento sul TFR, che l'ISTAT contabilizza come aumento della contribuzione, ma non è perfettamente assimilabile a quest'ultima - la Finanziaria porterà la pressione fiscale 2007 al 42,3: quasi un altro punto di PIL. Sostenibile? Sì, se l'aumento verrà "riassorbito" già a partire dal 2008, quando arriveranno i risparmi da riforme. No, se permanente. Infine, dopo tante righe dedicate a mettere in relazione la Legge Finanziaria e il DPEF, un'osservazione sul rapporto tra la realtà dell'economia italiana che sembra emergere dalle novità di questi ultimi mesi (aumento delle entrate, miglioramento del fabbisogno) e la Legge Finanziaria.

L'aumento del gettito, al netto degli effetti di misure una tantum (rivalutazione dei beni di impresa), è ben superiore a quello giustificato dal miglioramento del ciclo economico. Per dare l'idea, basterà richiamare il fatto che il Governo ha usato, per calcolare l'elasticità all'aumento del PIL delle entrate 2007, il livello di elasticità del 2005, e non quello - come si era abituati a fare - dell'anno precedente. Cosa ci dice un aumento delle entrate così significativo e "strutturale" (non dipendente dall'andamento del ciclo)? Che il sistema produttivo, sotto la sferza della competizione globale, si è ristrutturato - nelle sue imprese più dinamiche - ed appare in grado di ripartire. Nel corso di questo processo, molte imprese hanno ripiegato (e molte, hanno anche "mollato"). Ma altre hanno reagito e, malgrado lo scarso contributo della politica economia e il basso profilo della crescita del Paese, si sono messe in grado di competere.

Se dietro il miglioramento delle entrate c'è questa robusta realtà - l'avvenuta ristrutturazione delle medie imprese che costituiscono l'ossatura del capitalismo italiano - sembrano esistere le condizioni per respingere le sirene del "le cose vanno meglio, rinviamo le scelte difficili" e muoverci nella direzione opposta: proprio perché le cose vanno meglio dedichiamo il 2007 a fare le riforme "di sistema" necessarie e fissiamo da subito (nell'articolo 1 della Legge Finanziaria?) l'impegno ad usare il miglior andamento delle entrate per finanziarie sgravi sul lavoro e sulle imprese che competono.

Enrico Morando
Relazione sulla Finanziaria

La relazione uscirà, in forma ridotta, nel numero di novembre de Le Nuove Ragioni del Socialismo, il mensile di Emanuele Macaluso.

Fonte: www.libertaeguale.com

-----------------------------------------
Welfare Italia
Hits: 1799
Il punto >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti